L’uomo nella società Yán Huí andò a trovare Zhòng Ní (1) e gli chiese licenza di partire. “Dove vuoi andare?” gli domandò il Maestro. “Voglio andare a Wèi” (2) gli rispose Yán Huí. “A far che?” domandò ancora il Maestro. Yán Huí gli spiegò: “Ho sentito dire che il duca di Wèi è un uomo nel pieno vigore degli anni, ma agisce senza consultare nessuno e ritiene cosa facile governare un paese. Non si rende conto dei propri errori e non si preoccupa se la gente muore. (3) Si vedono cataste di morti dappertutto, nei campi e nelle risaie. La gente non sa più cosa fare. Voi mi avete insegnato che occorre lasciare gli Stati ben governati e recarsi in quelli in cui regna il disordine. (4) Ora, c’è affollamento di malati dinanzi alla porta del medico. Vorrei,grazie al vostro insegnamento, curare i mali del ducato di Wèi, se si può sperare di guarirli.” “Ahimè” esclamò il Maestro “Tu rischi soltanto di andare incontro a dei guai. Dovresti applicare un solo metodo senza aggiungerci nulla. Qualsiasi altro elemento tu ci aggiunga, lo farà diventare un cumulo di rimedi. Non avendo più a che fare con un insieme unico e coerente, ti troverai in difficoltà. La difficoltà ti renderà ansioso e l’ansia ti perderà. I saggi dell’Antichità perfezionavano se stessi prima di andare a correggere gli altri. (5) Se non padroneggi perfettamente te stesso, dove troverai il tempo per occuparti della condotta di un tiranno? Inoltre, sai come si può sprecare il talento di un uomo e come si può gettar via il sapere? Il talento si spreca cercando la fama e il sapere si butta via impegnandosi nelle dispute con gli altri. Gli uomini che vogliono diventare famosi si schiacciano a vicenda e riducono il sapere ad uno strumento di contesa. Entrambe le cose sono fonte di male e immiseriscono in modo ingiusto il comportamento di una persona. (6) Puoi essere un uomo di grande talento e di solida integrità, ma se non capisci l’animo di chi vuoi influenzare, finirai per urtarlo. Puoi essere un uomo che non ambisce alla celebrità, ma se non intuisci il modo di pensare del tiranno ed insisti con forza sull’umanità e sulla giustizia, usando un linguaggio franco e diretto , farai sì che egli, vedendo in te un uomo giusto, ti odi e pensi che tu lo abbia ingiuriato.(7) Ora,chi ingiuria riceverà necessariamente il contraccambio, perché ingiuriare qualcuno è pericoloso. Ma ammettiamo che, per caso, tu ti trovi di fronte ad un sovrano che sia convinto di stimare le persone di valore e di disprezzare coloro che non lo sono. A che ti servirà cercare di distinguerti? Prima ancora che tu sia riuscito ad esprimere le tue idee, egli coglierà la palla al balzo e ti dirà che la pensa esattamente come te. Tu ne rimarrai sorpreso. Cercherai di mantenerti calmo e di soppesare le parole che dici, di non urtarlo con il tuo comportamento e finirai per rafforzarlo nelle sue idee. Aggiungerai fuoco al fuoco, acqua all’acqua, aumentando, se così si può dire, i danni che tu deplori. Una volta che ti sarai lanciato su questa china non ti fermerai più. Vedendo che non t’ascolta, dovrai correre il rischio di usare parole sempre più forti e alla fine anche questo principe ti condannerà a morte. (8) Nei tempi antichi l’imperatore Jié (9) fece uccidere Guān Lóngféng (12) e l’imperatore Zhòu (10) fece uccidere il principe Bigān. (11) Guān e Bĭgān erano entrambi persone colte che ascoltavano i lamenti del popolo e osavano criticare le autorità. Furono fatti uccidere dai loro sovrani perché si erano comportati da galantuomini. A questo servì loro la buona reputazione. Sempre nei tempi antichi l’imperatore Yáo distrusse i regni di Cóng, Qi e Xū Ào (12), l’imperatore Yŭ distrusse il regno di Hù. (13) Trasformarono quei regni in un deserto, sterminarono la popolazione. Erano sempre in guerra, mossi da un’avidità insaziabile. Cercavano tutti fama, cercavano tutti dei vantaggi. Tu solo non l’hai mai sentito? Per quanto fossero saggi, costoro non riuscirono a vincere la sete di gloria e l’avidità di beni. Come potrai riuscirci tu? (14) Nondimeno tu avrai certamente qualche ragione per lanciarti nell’impresa che hai in mente. Cerca, per favore, di spiegarmela.” Yán Huí gli domandò:”Riuscirò a fare qualcosa se sarò privo di qualsiasi ambizione e mi concentrerò su una sola idea?”. “No” rispose il Maestro”Come potresti riuscire? Questo sovrano fa sfoggio di troppe buone qualità e ha una grande opinione di sé. I suoi sentimenti sono indecifrabili. La gente comune non osa manifestare il suo dissenso ed egli, ritenendo che gli altri condividano le sue idee, persegue ancor di più i propri fini. Se la virtù quotidiana non gli fa effetto, che cosa potranno fare le grandi manifestazioni di virtù? Continuerà per la sua strada e rifiuterà di cambiare idea. Apparentemente si mostrerà d’accordo con te, ma nel suo animo non farà autocritica. In queste condizioni, che cosa potrai ottenere?”.(15) “Allora” ribattè Yán Huí “ io rimarrò saldo nelle mie convinzioni pur fingendo di piegarmi alle sue idee ed in questo modo prevarrò. Rimanendo ben saldo nell’animo, sarò un discepolo del Cielo. Il discepolo del Cielo sa che il sovrano e lui sono entrambi figli del Cielo. E allora, tenendo per me le mie parole, dovrò preoccuparmi se la gente le approva o non le approva? In questo modo gli uomini mi riterranno semplice e sincero come un fanciullo, come uno di quelli che chiamano discepoli del Cielo. Piegandomi esternamente ai voleri del principe, collaborerò con gli altri. Portare le tavolette (16), prostrarsi, inchinarsi: ecco le incombenze formali dei ministri. Tutti lo fanno, perché non dovrei farlo io? Se faccio quello che fanno gli altri non potrò essere biasimato. È ciò che chiamano trarre insegnamento dagli altri. Cercando di essere migliore degli altri, non farò che ispirarmi alla tradizione dell’antichità. I miei discorsi, pur avendo l’apparenza di un insegnamento, saranno in realtà una critica della politica del principe, ma esprimeranno la saggezza dell’antichità, non le mie idee personali. In questo modo, pur parlando chiaro, non potrò essere biasimato perché non farò che riprendere le parole degli antichi saggi. Pensate che in questo modo io possa avere successo? (17) “No!” rispose il Maestro” Tu hai troppi progetti. Fai dei piani e non ti sei neppure informato su che cosa ti troverai davanti. Se terrai fede al tuo progetto, non potrai essere accusato di aver agito male, ma sarà tutto. È assurdo pensare di poter cambiare qualcosa! L’unica cosa che tutto ciò dimostra è che c’è in te lo spirito del maestro.”(18) Yán Huí disse: “Non riesco più ad andare avanti. Posso domandarvi quale metodo dovrei seguire?” (20) “Ti dirò che il metodo è l’astinenza. (21)" gli rispose Confucio.”Ma, una volta capito qual è il metodo, non lo prenderai alla leggera? Il Cielo non ama che lo si prenda alla leggera.” “La mia famiglia è povera.” esclamò Yán Huí” Passiamo mesi senza bere una goccia d’alcool e senza mangiare un pezzo di carne. È questa l’astinenza cui intendete riferirvi?”. “Questa è l’astinenza del corpo” gli rispose il Maestro” non l’astinenza della mente." (22) “Se permettete,” domandò allora Yán Huí” che cos`è l’astinenza della mente?”. “L’astinenza della mente” spiegò il Maestro “è pieno abbandono. (23) Non si deve ascoltare con le orecchie ma con la mente. Anzi, ancor meglio, non si deve ascoltare con la mente, ma con lo spirito vitale. L’udito non va oltre le orecchie, la mente non va oltre il ragionamento. Lo spirito vitale invece è vuoto ed è pronto a ricevere in sé il mondo. La Via si può raggiungere soltanto attraverso il vuoto. Il vuoto è l’astinenza della mente”. (24) Huí osservò: “ Prima di sperimentare questo metodo mi sentivo un individuo concreto, il vero Huí. Ora che l’ho sperimentato ho l’impressione di non essere più me stesso. È questo il vuoto?”. (25) “Precisamente!” gli rispose il Maestro “ Posso assicurartelo! Ora puoi entrare nella società degli uomini (26) ed aggirarti fra di loro senza rischiare di ferire il loro nome. Se ti ascoltano, parla (27); se non vogliono ascoltarti, sta zitto. (28) Non ci sono scappatoie, non ci sono rimedi. (29)) Avrai le maggiori probabilità di raggiungere il tuo obiettivo, vivendo insieme con gli altri ma essendo consapevole che non hai altra scelta. Interrompere il cammino è facile; difficile è andare avanti senza toccar terra.(30) Imitando l’esempio degli uomini è facile cadere nell’ipocrisia; ispirandosi al Cielo, è difficile essere falsi. Sai che per volare occorrono le ali, ma non hai mai sentito parlare degli esseri che volano senza ali. Hai imparato che chi sa molte cose è un saggio, ma non hai mai sentito dire che si può essere saggi anche senza sapere. (31). Guarda quel buco nella parete. La stanza vuota ne riceve luce. (32). Felicità e benedizione vi dimorano, ma non vi rimangono confinate. È la situazione in cui si dice che il corpo è immobile e l’animo vaga liberamente. (33) Se uno usa l’occhio e l’orecchio all’interno di sé per comunicare e lascia fuori di sé la conoscenza del ‘cuore’, spiriti e divinità prenderanno dimora in lui (34) e gli uomini lo stimeranno. Questo è l’asse del mondo, lungo il quale si mossero Yáo e Shùn, al quale Fúxī (35) e Jĭqú (36) si ispirarono per tutta la loro vita. Con quanta maggior ragione dovrebbero fondarsi su di esso anche gli altri. Zĭ Gāo (37), duca di Yè, inviato in missione nel regno di Qí (38), chiese consiglio a Confucio: “Il re mi ha affidato una missione molto importante. Il sovrano di Qí, che attende l’arrivo di un ambasciatore da Chŭ, mi riceverà con grandi onori, ma non avrà fretta di affrontare le questioni che devo sottoporgli. Se è già duro far muovere una persona ordinaria, pensate quanto è più difficile sollecitare un principe. Ne sono molto preoccupato. Voi mi avete sempre detto che di tutti gli affari, grandi o piccoli che siano, pochi, se gestiti in modo inappropriato, possono essere condotti a buon fine; che in caso di insuccesso, ci si può attendere sicuramente del male, visto come sono fatti gli uomini; che, anche se le cose alla fine si concludono bene, non si può di certo evitare, prima, la sofferenza che deriva dall’incertezza dell’esito positivo (39); che, comunque vada a finire, con un successo o con un insuccesso, solo l’uomo saggio e talentuoso è capace di evitare che il risultato definitivo sia un male. Io sono un uomo che mangia poco e con semplicità e che quindi non soffre di stomaco. Eppure, sebbene abbia ricevuto l’incarico solo questa mattina, questa sera sto già bevendo acqua ghiacciata per allievare il bruciore che sento. Sono già in queste condizioni prima ancora di aver iniziato la mia missione e soffro di ansia e di turbamenti (40) Se l’ambasceria fallirà, sarò punito come è costume, ma, peggio ancora, mi sarò dimostrato incapace di svolgere i miei compiti di ministro. (41) Voi , Maestro, potreste darmi qualche suggerimento?”. Confucio gli rispose: “ Ci sono al mondo due grandi cose di cui occorre tener conto: una è la natura, l’altra è la giustizia. L’amore di un figlio per i genitori è un istinto naturale e non potrà mai essergli strappato dal cuore; il dovere di un ministro di servire il proprio sovrano discende dalla giustizia, vale anche se il principe è malvagio (42), e non può essere eluso né in cielo né in terra. Queste due cose vengono chiamate i “grandi precetti”. (43) Perciò il culmine dell’amore filiale consiste nell’essere contenti di accudire ai propri genitori senza riserve e senza limiti. Il culmine della lealtà consiste nell’essere contenti di servire il proprio sovrano senza riserve e senza limiti. (44) Il culmine della virtù è raggiunto da chi obbedisce ai dettami della ragione, senza lasciarsi facilmente distrarre da pensieri di angoscia o di gioia, perché sa che non ha scelta e che può trovar pace solo seguendo il proprio destino. Sia come figlio, sia come ministro, ci sono doveri ai quali non si può sfuggire. Tuttavia, se ti impegnerai totalmente nello svolgimento dei tuoi compiti, dimenticherai te stesso e non avrai tempo per pensare ai piaceri della vita o alla tristezza della morte. Parti tranquillo per la tua missione. Ora ti ripeterò ciò che ho imparato (45): “In tutte le relazioni diplomatiche, la fiducia tra Stati vicini si basa sul comportamento reciproco, la fiducia tra Stati lontani sulla lealtà dei messaggi trasmessi.(46) In quest’ultimo caso occorre che qualcuno si assuma il compito di assicurare la comunicazione tra gli Stati. È il compito più difficile che esista, sia quando si tratta di recapitare messaggi di amicizia, sia quando si tratta di recapitare messaggi di disaccordo. Nella prima ipotesi si tenderà ad esagerare con le belle parole, nella seconda si tenderà ad eccedere nelle manifestazioni di ostilità. Tuttavia ogni eccesso comporta falsità e la falsità non genera fiducia. Se si crea diffidenza, l’ambasceria è destinata al fallimento. Perciò la buona regola di condotta è la seguente(47):” Trasmettete sempre il senso del messaggio, ma non fatelo con parole eccessive e così ve la caverete nel modo migliore.” (48) Un altro punto da notare è questo: Quando i buoni lottatori si affrontano,cominciano l’incontro nel rispetto delle regole, ma alla fine cercano solo di vincere (49); alla lunga tutti i colpi vanno bene. Guarda l’atteggiamento di coloro che partecipano ai banchetti: all’inizio sono equilibrati ed irreprensibili, alla fine perdono il controllo di se stessi e la festa termina tra urla e schiamazzi; al culmine dell’eccitazione il divertimento degenera. Tutti gli affari si svolgono in questo modo. Coloro che all’inizio parevano comprensivi, alla fine si mostrano intrattabili. All’inizio tutto appariva semplice e sembrava facile mettersi d’accordo, alla fine ogni cosa diviene un enorme problema. Le parole diventano onde di un mare in tempesta; non si bada più al loro significato. Di fronte a parole che si muovono in disordine come i cavalloni in mezzo all’uragano, diventa facile dimenticare la sostanza della discussione. La rabbia infatti genera affermazioni insensate, parole maliziose e discorsi squilibrati. (50) Ci si comporta come un animale ferito a morte, che non emette più suoni, ma rantoli rabbiosi. Alla fine ci si incattivisce e si reagisce come non si dovrebbe, senza nemmeno sapere perché. Ma, se non si sa nemmeno perché ci si comporta così, chi riuscirà mai a smettere? Perciò la buona regola di condotta è la seguente: “Non discostatevi dalle istruzioni che avete ricevuto! Non abbiate fretta di concludere!”. Chi oltrepassa i limiti del proprio mandato fa troppo. Chi si discosta dalle istruzioni ricevute, chi vuole concludere in fretta i negoziati mette in pericolo il successo della sua missione. Un buon accordo richiede lunghe trattative. (51) Un cattivo accordo, una volta concluso, non si può più cambiare. Non conviene quindi agire con cautela?”. In conclusione, lascia la mente libera di adattarsi alle circostanze. Mantieni il tuo equilibrio accettando ciò che non puoi evitare.È il meglio che tu possa fare. Che altro potresti mettere in atto per compiere la tua missione? Non devi far altro che seguire il destino. (52) Ecco tutta la difficoltà!”. Yán Hé (53), cui era stato offerto l’incarico di precettore del primogenito (54) del duca Líng di Wèi (55), chiese consiglio a Qú Bóyù (56). “È un ragazzo “ gli disse “ di tendenze malvagie. Se non cercherò di correggerlo, un giorno lo Stato sarà in pericolo. Se cercherò di correggerlo, sarà in pericolo la mia persona. Sa valutare il comportamento degli altri, ma non è così saggio da rendersi conto delle proprie mancanze. In una situazione di questo genere, che cosa dovrei fare?”. “Questa sì che è una bella domanda!” gli rispose Qú Bóyù:” State attento e siate prudente!. Badate a comportarvi sempre in modo corretto! Il meglio sarebbe stargli vicino e guadagnare la sua confidenza, ma entrambe le cose possono essere pericolose. Stategli vicino, ma non siate invadente. Allorché cercate la sua confidenza, non mostrate la vostra superiorità . Se, nello stargli vicino, non riuscirete a mantenere un minimo di distanza, sarete emotivamente coinvolto e finirete male. La faccenda terminerà con una rottura e con la vostra rovina. Se, nel cercare la sua confidenza, farete sfoggio delle vostre qualità, penserà che voi agiate per desiderio di essere famoso e reputato e vi riterrà inaffidabile e cattivo. (57) Se trovate che ha ancora una mentalità infantile, pensate di essere anche voi un bambino; se è capriccioso, lasciate che si sfoghi (58); se è troppo vivace, non rimproveratelo (59).In questo modo, potrete comprenderlo e correggere i suoi difetti.(60) Sapete come si comporta la mantide religiosa? Protende rabbiosa le sue zampette per bloccare il cammino di un carro, tutta orgogliosa della sua forza, senza rendersi conto che non sarà mai in grado di riuscirci. (61) State attento e siate prudente! Se sovrestimerete le vostre capacità e ve ne vanterete, finirete per offenderlo e andrà a finire male. Sapete come procedono i domatori di tigri? Non osano dar loro in pasto animali vivi perché sanno che l’uccidere le eccita, anzi non osano neppure dar loro carcasse intere di animali perché sanno che il fatto stesso di lacerare la carne con le unghie e coi denti le eccita. Conoscendo la ferocia di queste belve, aspettano dunque che siano ben sazie. Le tigri sono diverse dagli uomini ma si affezionano a coloro che le nutrono, anche se non perdono i propri istinti. Quelli che si fanno sbranare dalle tigri hanno dimenticato che restano comunque bestie feroci. L’ appassionato di cavalli ha una tale cura per il suo animale che usa addirittura appositi recipienti per raccoglierne gli escrementi e l’urina, ma, se un giorno, vedendo che un tafano s’è posato sulla groppa del cavallo, gli dà una manata senza che se lo aspetti, il cavallo si infuria, rompe i finimenti, sbatte la testa, urta coi fianchi le pareti della sua posta. Il padrone pensava di aver fatto tutto il possibile per farsi voler bene dal cavallo e invece l’affetto è sparito. Non si deve quindi essere prudenti? (62) Un maestro carpentiere di nome Shí, trovandosi in viaggio diretto a Qí, giunse a Qǔyuán, dove si vedeva una quercia consacrata che sovrastava un altare dedicato alle divinità della terra. Quest’albero era così grosso da poter celare allo sguardo numerosi buoi. Il suo tronco era largo un centinaio di piedi (63) e si innalzava, come una montagna, circa ottanta piedi (64), prima di emettere dei rami, una decina dei quali erano così grandi che con ciascuno di essi si sarebbe potuto costruire una barca. La gente veniva ad ammirarlo in massa, come al mercato, ma il carpentiere non lo degnò di un’occhiata e proseguì il suo cammino senza fermarsi. Uno dei suoi aiutanti, dopo aver guardato a lungo l’albero, rincorse il maestro e gli disse: ”Da quando vi seguo con l’ascia e l’accetta, non ho mai visto un legno bello come questo. Perché, Maestro, non vi siete fermato ad esaminarlo, ma siete andato avanti come se nulla fosse?”. “Invece, l’ho valutato” gli rispose il carpentiere” e non vale la pena di parlarne. È un legno scadente. Una barca fatta con questo legno affonderebbe; una cassa da morto marcirebbe in breve tempo; un mobile andrebbe subito a pezzi; una porta ammuffirebbe; un pilastro sarebbe divorato dai tarli. È un legno privo di qualità, che non serve a nulla, ed è proprio per questa ragione che l’albero ha potuto raggiungere un’età così veneranda.” Nel viaggio di ritorno, l’albero di quercia apparve in sogno al carpentiere e gli domandò:” Quale altro albero vorresti comparare con me? Forse gli alberi dei giardini? Il biancospino, il pero, il mandarino,il pompelmo, il susino, le piante d’anguria e di melone? Al momento del raccolto, questi alberi sono spogliati dei loro frutti, i rami più grossi sono spezzati, i più piccoli strappati. La loro produttività rende amara la loro esistenza, perché non completano il loro ciclo vitale e muoiono prematuramente. Le loro stesse qualità fanno sì che la gente li tratti in così malo modo. Al mondo tutto funziona in questa maniera. Anch’ io ho cercato a lungo di rendermi utile e ne sono quasi morto, ma ora ho capito che non conviene e ne ho tratto grande vantaggio (65). Immagina che gli uomini avessero potuto usarmi per fabbricare qualcosa. Credi che sarei diventato così grande? Inoltre, tu ed io siamo entrambi elementi del creato. Che titolo abbiamo per giudicarci a vicenda? Come puoi tu, un buono a nulla che sta appena in piedi, sapere se un albero è inutile.?” Quando il carpentiere si risvegliò, cominciò a meditare su ciò che aveva sognato e ne parlò con il suo aiutante. L’aiutante osservò: “È strano che un albero il quale dichiara di voler essere inutile faccia ombra all'altare delle divinità della terra". “Zitto!” gli rispose il carpentiere” Non parliamone più! È proprio su questo che esso conta per far sì che coloro che non conoscono la sua inutilità pratica non lo danneggino. Se non fosse consacrato agli dei, non rischierebbe di essere abbattuto? Inoltre, la sua utilità è diversa da quella degli altri, cosicché è assurdo volerla giudicare secondo i criteri abituali”. (67) Nán Bó Zĭqí stava passeggiando sulla collina di Shāng (67) quando vide un albero straordinario, enorme. Un gran numero di quadrighe avrebbe potuto nascondersi sotto la sua ombra. “Che albero è mai questo?”esclamò Zĭqí” Deve di certo contenere una quantità sterminata di legno.” Levò la testa per osservarne i rami e constatò che erano così nodosi e contorti che non sarebbe stato possibile ricavarne né travi né assi; abbassò lo sguardo verso le radici e si accorse che il tronco era così scavato e consumato che con esso non sarebbe stato possibile fabbricare né bare né sarcofagi. Leccò una foglia e un sapore di marcio e di malsano gli riempì la bocca. L’odore che emanava dall’albero era così fetido da intossicare un uomo, rendendolo demente per tre giorni o anche di più. “Questo albero non serve assolutamente a nulla.” riflettè ” È la sola ragione per cui l’hanno lasciato crescere fino a raggiungere queste mostruose dimensioni. Ahimè! I saggi riconoscono la sua inutilità”. (68). A Jīngshì, nel ducato di Sòng (69), crescono bene catalpe (70), cipressi e gelsi. Quando i loro tronchi sono larghi una spanna o poco più sono ricercati dai saltimbanchi che li tagliano per farne paletti a cui legare le loro scimmie. Se riescono a raggiungere una larghezza di tre o quattro piedi sono ricercati dalle persone agiate che li fanno tagliare allo scopo di ricavarne travi per le loro belle case. Se arrivano a una larghezza di sette od otto piedi sono fatti tagliare dai nobili e dai ricchi commercianti che cercano assi di legno per i loro sarcofagi. Questi alberi, di conseguenza, non giungono al termine naturale della loro esistenza, ma periscono prematuramente sotto i colpi delle asce e delle accette. La bontà del loro legno è causa delle loro disgrazie. Il libro di Jiĕ (71) spiega che i buoi che hanno macchie bianche sulla fronte, i maiali che hanno il grugno deforme e gli uomini che soffrono di emorroidi non possono essere sacrificati alle divinità fluviali. (72) Gli stregoni , nel riscontrare queste particolarità le ritengono di cattivo auspicio, ma i saggi le ritengono, invece, di buon auspicio. (73) C’era un uomo chiamato Shū. Era così deforme che il mento gli toccava l’ombelico, le spalle erano più alte della testa e la nuca era puntata verso il cielo. Non aveva ventre: le viscere erano tutte collocate nel petto e i femori si attaccavano direttamente alle costole. Si guadagnava da vivere facendo il sarto e il lavandaio. Battendo il riso e lavandolo riusciva a nutrire una famiglia di dieci persone. Quando le autorità reclutavano soldati, questo mostriciattolo si presentava, mostrava le braccia e veniva rimandato a casa; quando c’erano le corvées, ne era esentato a causa dei suoi malanni. Quando le autorità distribuivano provviste agli invalidi e ai malati, riceveva tre misure di grano (74) e dieci fascine di sterpi da ardere. Se questo poveraccio, così inutile nel fisico, era capace di mantenersi e di vivere la propria vita, quanto meglio dovrebbe riuscirci chi coltiva l’inutilità nello spirito.(75) Mentre Confucio si trovava a Chŭ (76), Jiē Yú(77), il matto di Chŭ, passò accanto alla sua porta cantando: “O Fenice! O Fenice”! Le tue doti non servono. Non c’è speranza per il futuro, non c’è rimedio per il passato. Quando il mondo segue la Via , il saggio può compiere la sua missione. Quando il mondo si allontana dalla Via, il saggio deve pensare a salvare la pelle. Al giorno d’oggi gli va già bene se non lo condannano. La buona fortuna è più leggera di una piuma e nessuno sa come conservarla; la cattiva sorte è più pesante della terra e nessuno sa come evitarla. Lascia perdere! Smettila di cercare la gente per insegnarle la virtù! Sei in pericolo! È rischioso per te avanzare su un terreno dove ti sei esposto! (78) Teniamoci nascosti! Rimaniamo nell’ombra per non essere colpiti nel nostro cammino! (79) Retrocediamo, se necessario, deviamo un po’ dal sentiero, perché i nostri piedi non siano feriti!” (80) L’albero che sta sulla montagna è il nemico di sé stesso. L’olio della lampada si consuma da solo. Il cinnamomo può essere mangiato e perciò viene tagliato. (81) L’albero della lacca è utile e perciò viene inciso per farne colare la resina.(82) Tutti conoscono i vantaggi dell’utilità, ma nessuno conosce i vantaggi dell’inutilità. NOTE 1) Zhòng Ní 仲 尼 è il nome di cortesia (字 “zì”) di Confucio . Yán Huì 顏 回 è l’allievo prediletto del Maestro. 2) Il ducato di Wèi 衛 國 era un piccolo Stato situato nelle Pianure Centrali della Cina ( in una zona che corrispondeva a quella che è oggi la parte settentrionale della provincia di Hénán 河 南 ). Non va confuso con il regno di Wèi 魏 國 , che svolse un ruolo ben più importante nel Periodo delle Primavere e degli Autunni (春 秋 時 ). 3) Probabilmente, il malgoverno del duca di Wèi provocava carestie con il loro inevitabile corollario di fame e desolazione. 4) Non si trova traccia di questa citazione nei libri che riportano l’insegnamento di Confucio. Anzi, dai Dialoghi (論 語 “lùn yŭ”) sembra risultare esattamente il contrario. Al capitolo 8, paragrafo 13, leggiamo infatti:”...Tenetevi lontani da un paese instabile e non soggiornate in un paese sconvolto dai disordini. Dove e quando, nell’Impero, si rispetta la Via, manifestatevi. Altrimenti, conducete vita ritirata. ...”. Un’esortazione di questo genere potrebbe tuttavia rientrare nell’ambito generale dell’insegnamento del Maestro, il quale sosteneva che un gentiluomo deve impegnarsi per il buongoverno dello Stato. 5) Dalle parole di Confucio sembra di poter capire che egli non considera Yán Huì abbastanza maturo per consigliare una riforma politica al duca di Wèi. 6) Confucio analizza dettagliamente le diverse linee d’azione che Yán Huì potrebbe seguire. Premette che occorre innanzitutto liberarsi dall’ambizione e dal desiderio di prevalere sugli altri. Chi si lascia guidare da tali sentimenti è predestinato alla rovina. 7) Le possibilità di successo sono inesistenti anche per chi, pur essendo libero da ambizione e da orgoglio, si trovi di fronte ad un vero tiranno. Quest’ultimo, sentendosi giustamente ripreso e vedendo nel consigliere un uomo moralmente superiore, lo odierà e cercherà ben presto di liberarsene. 8) Apparentemente, la situazione dovrebbe essere molto migliore se il consigliere a a che fare con un principe benintenzionato, uno di quelli che il XVIII° secolo chiamava i “principi illuminati”. Ma, anche qui, il Maestro disillude Yán Huì. Il principe animato da buone intenzioni, appena sentirà i pareri del consigliere, gli risponderà che è pienamente d’accordo con lui e che tutti i suoi provvedimenti sono già dettati dalla volontà di favorire la sicurezza e il benessere del popolo. Il consigliere accetterà dunque dei compromessi per non urtare la buone disposizioni del principe, ma alla lunga si accorgerà che le decisioni del sovrano, anche se be intenzionate, sono oggettivamente sbagliate e non producono alcun risultato positivo. Sarà quindi indotto a manifestare il proprio disaccordo in modo sempre più marcato, finché si giungerà ad una rottura che potrà avere conseguenze fatali. 9) L’imperatore Jié 桀 (1728 a.C.-1675 a C.) fu l’ultimo sovrano della dinastia Xià 夏 朝 .La tradizione lo ricorda come un tiranno. 10) Il cancelliere Guān Lóngféng 關 龍 逢 osò ricordare all’imperatore Jié che il suo comportamento gli stava alienando la fedeltà dei sudditi. Jié lo fece uccidere. 11) L’imperatore Zhòu 紂 (1075 a.C.-1046 a.C.) fu l’ultimo sovrano della dinastia Shāng 商 朝 . Anch’egli regnò in modo tirannico e dissoluto. 12) Il principe Bĭgān 比 干 , zio dell’imperatore Zhòu, rimproverò il nipote esortandolo a migliorare la sua condotta. Zhòu gli fece strappare il cuore per accertarsi se fosse vero, come diceva un proverbio, che “il cuore di un saggio ha sette aperture”. 13) Cóng, Qí e Xū Ào (叢 枝、胥敖) sono tre staterelli di cui non si trova traccia nei documenti storici. Essi corrispondono probabilmente ai regni di Zōng, Kuài e Xū Ào (宗、膾、胥敖) menzionati al capitolo 2 del Zhuāngzĭ. 14) Non ci è pervenuta nessuna notizia storica neppure del regno di Hù 扈 , che sarebbe stato conquistato da Yŭ il Grande 大 禹 . 15) Per distogliere Yán Huì dalle sue intenzioni Confucio gli ricorda che persino i mitici imperatori Yáo 堯 e Yŭ 禹, famosi per le loro eccelse qualità, non riuscirono a superare del tutto la sete di gloria e di potere e condussero per questo campagne di conquista contro altri Stati. Come potrà dunque vincere le proprie ambizioni Yán Huì, che è ancora ben lontano dall’eguagliare questi straordinari modelli? 16) Volendo superare le obiezioni di Confucio, Yán Huì gli domanda se potrebbe avere successo, con un principe animato da buone intenzioni, un comportamento basato non sull’ammonizione, bensì sull’esempio. La risposta è negativa. L’esempio potrebbe forse essere efficace se il principe avesse dei dubbi sul proprio comportamento. In realtà, poiché nessuno ha il coraggio di contestarlo, egli è pienamente convinto di essere sulla retta via e non è assolutamente in grado di cogliere la differenza tra la propria condotta e quella del saggio. 17) Il Legge interpreta il termine 擎 (“qíng”), che significa letteralmente “sollevare”,”sostenere” come “portare le tavolette”, ciòè svolgere i compiti normali di un ministro. Le tavolette di giada 鎮 圭 (“zhènguī”) erano un simbolo di autorità, che i ministri tenevano in mano quando si presentavano al sovrano. 18) A questo punto Yán Huì propone un’ultima soluzione. Non cercherà di influenzare direttamente la condotta del sovrano, ma si limiterà a svolgere coscienziosamente i compiti spettanti ad un ministro. In tal modo, la buona amministrazione potrà compensare in larga misura una linea politica errata o, almeno, attenuarne le conseguenze. Inoltre, quando dovrà esprimersi nell’ambito delle sue funzioni non esporrà mai direttamente le proprie idee, ma riferirà le opinioni dei saggi dei tempi più antichi. Ciò gli permetterà di mettere in rilievo l’inopportunità di certe decisioni, senza che gli si possa mai rimproverare d’aver criticato il sovrano. 19) Confucio boccia anche l’ultima idea di Yán Huì che gli sembra velleitaria e inconcludente come le altre, ma riconosce all’allievo buona volontà e spirito di insegnamento. 20) Alcuni vedono nel brano che segue una continuazione del primo dialogo. Mi sembra invece che esso possa venir letto in modo del tutto autonomo, senza alcun bisogno di riallacciarsi a considerazioni precedenti. Yán Huì chiede in effetti a Confucio di spiegargli in che modo si possa raggiungere la saggezza. È una domanda di portata generale che può essere formulata in qualsiasi contesto. 21) Il termine 齋 (“zhāi”) indica l’astinenza rituale dalla carne e dalle bevande alcooliche richiesta dalla tradizione per purificare il corpo di chi si apprestava a compiere un sacrificio. 22) Zhuāngzĭ usa in questa frase il termine 心 (“xīn” “cuore”). È un termine che per i Cinesi ha un significato molto ampio, in quanto il cuore viene da loro inteso non soltanto come l’organo dei sentimenti, ma anche come l’organo della ragione, cioè la “mente”. 23) Ho così tradotto l’espressione 若 一 志 (“ruó yī zhì”) che significa “tu devi avere una sola volontà”, “devi perseguire un solo fine”, “devi concentrarti su un unico punto”, vale a dire abbandonare ogni altro pensiero e identificarti con la natura. In questo senso mi sembra lecito considerare una tale estrema concentrazione come un “pieno abbandono”. 24) Ritroviamo qui quell’idea di un’unione quasi mistica con una realtà superiore che è uno dei cardini della dottrina taoista. Come osserva Philip J. Ivanhoe, in “The Daodejing of Laozi”, ed. Seven Bridges Press, New York-London, 2002, note, pag.94: “I primi taoisti sostenevano che occorreva lasciare libero corso alle energie vitali. (氣 “qì” ). Essi si opponevano al confuciano Mèngzĭ, secondo il quale la mente (心 “xīn”) doveva guidare le energie vitali (氣 “qì” ). (La traduzione dall’inglese è mia) In un’altra opera, intitolata “Readings On Classical Chinese Philosophy”, Hackett Publishing, 2001, lo stesso Philip J. Ivanhoe e Brian W. Van Norden trovano conferma a questa asserzione in un passo del capitolo 55 del Dàodéjīng (心 便 氣 曰 強 “xīn biàn qì yuè qiáng”), che interpretano come segue: “When the heart and mind is used to guide 'qì', this is called ‘forcing things’”. Esaminando questo brano del Zhuāngzĭ, in un suo studio dal titolo “Wandering Beyond Tragedy with Zhuāngzĭ”, pubblicato sulla rivista “Comparative and Continental Philosophy” 3.1 (primavera 2011), pagg. 79-98, Franklin Perkins della De Paul University osserva quanto segue: “Confucio accusa dapprima Yán Huì di prendere il ‘cuore’ come maestro o autorità (師 “shī”), lo stesso termine usato in precedenza per assumere un ‘cuore” formato e completo come autorità da seguire, e lo ammonisce , poi, ricordandogli che è difficile agire correttamente ispirandosi al ‘cuore’. Da ultimo spiega che il ‘cuore’ è limitato a simboli (符 “fú”). Il carattere “fú” trova origine in un sistema inventato per controllare l’autenticità di un ordine. Esso si riferisce ad un pezzo di canna di bambù che viene spezzato consegnandone una parte a chi dovrà dare un ordine ed una parte a chi dovrà riceverlo.L’autenticità dell’ordine sarà accertata, se i due pezzi si incastreranno perfettamente l’uno nell’altro.(è lo stesso significato che aveva un tempo il termine greco ‘simbolo’). Proprio come una metà del “fú” si incastra perfettamente soltanto nell’altra metà, così il ‘cuore’ riconosce solo ciò che corrisponde alle sue categorie di giudizio. Tutte queste critiche riguardano il problema che nasce dall’uso di un ‘cuore’ fissato, completo. L’alternativa è l’astinenza, lo svuotamento del ‘cuore’, che disfà il processo di formazione o completamento. Il vuoto del ‘cuore’ permette di reagire in modo più appropriato alle cose, qui concettualizzate come movimento sensibile di energia vitale (氣 “qì” ) Nella pratica, esso consente di modificare le prospettive e le etichette così da poter accettare e apprezzare qualsiasi cosa succeda”. (La traduzione dall’inglese è mia”) Possiamo perciò concludere che l’universo non si comprende attraverso la piena razionalità (成 心 “chéng xīn” “la mente piena”), bensì si intuisce attraverso la rinuncia alla razionalità ( 心 寨 “xīn zhài” “l’astinenza della mente”). 26) Qualche difficoltà di interpretazione deriva dal termine 其 (“qí”) che vale “questo”, “il suo”, “il loro”. Chi intende l’espressione 其 樊 (“qí fán”) come “la sua gabbia” ritiene che essa si riferisca al palazzo del duca di Wèi. Se, invece, si dà a 其 (“qí”) il significato di “questo” o “il loro”, l’espressione può essere interpretata come “la gabbia degli uomini”, cioè “la società umana”, conservando al dialogo la sua portata generale. 27) Il carattere 鳴 (“míng”) usato nel testo cinese indica più il cinguettio degli uccelli che il parlare umano. Tuttavia, se Zhuāng zĭ paragona allegoricamente la società degli uomini (o il palazzo del duca di Wèi) ad una gabbia di uccelli (樊 “fán”) è logico che le parole diventino un cinguettio 28) Letteralmente: “ Se entri parla, se non entri trattieniti”( 入 則 鳴 不 入 則 止 “rù zé míng, bú rù zé zhĭ”). L’atteggiamento del saggio è, secondo la dottrina taoista, quello di chi si adatta alla realtà delle cose e non cerca di coartarla. 29) Letteralmente “niente porte, niente rimedi” (無 門 無 毒 “wú mén wú dú”). Alla realtà non si può sfuggire, né si può tentare di modificarla con la forza. Il termine 毒 (“dú”) è correntemente usato per indicare il veleno, ma occorre ricordare che l’antica medicina cinese aveva scoperto che i succhi velenosi di determinate piante potevano avere, se ingeriti in modiche dosi, proprietà curative e li utilizzava quindi come rimedi. Il significato ambiguo del carattere 毒 risulta anche dagli studi etimologici. È stato infatti constatato che, ai tempi della dinastia Hàn 漢 朝 , esso presentava due varianti di scrittura: nella prima la componente 土 (tŭ) , che significa “terra”, qui intesa nel senso di “crescita”, “ricchezza di vegetazione” era accompagnata da 毋 (“wú” “non esistere”) ed il carattere si poteva dunque intendere come “negazione della crescita” ”veleno”; nella seconda la componente 土 (tŭ) era accompagnata da 母 (“mú””madre”) ed il carattere si poteva dunque intendere come “agente di crescita”,”medicina”. (Cfr. al riguardo “History of Toxicology and Environmental Health” a cura di Philip Wexler, Vol.II “Toxicology in Antiquity”, Cap.9 “Poisonous Medicine in Ancient China” di Yan Liu, 2015, ed. Elsevier). È interessante osservare che anche nell’antica Grecia il termine φάρμακον (“farmaco”) aveva il doppio significato di “veleno” e di “medicina”. 30) Il linguaggio è figurato. La levitazione (“librarsi nell’aria”, “camminare senza toccar terra”) è sempre stata considerata fin da tempi remoti simbolo del raggiungimento della più elevata condizione spirituale. Zhuāngzĭ intende qui affermare che conseguire la saggezza è difficile come volare. 31) Questa frase e la precedente sono state tradotte nei modi più svariati. Mi sono qui ispirato alla traduzione di Richard Wilhelm (“Dschuang Dsï. Das wahre Buch vom südlichen Blütenland” Düsseldorf/Köln, 1972), che mi sembra consentire un’interpretazione coerente di tutto il brano. Volare senza ali è come essere saggio senza sapere. Un simile paradosso scandalizzerebbe un seguace di Confucio, ma non ci sembra strano nella bocca di un Taoista, per il quale la saggezza non si consegue con lo studio, bensì con un’intima adesione alla natura. 32) Anche questo passo riconferma uno dei postulati fondamentali della dottrina taoista: l’importanza del vuoto. Ritroviamo nel Dàodéjīng 道 德 經 (capitolo XV) un passo quasi identico: “Per fare una dimora apriamo porte e finestre. Sono vuote, ma sono esse che rendono abitabile la casa”. 33) L‘espressione che figura nel testo cinese è 坐 馳 (“zuò chí”), letteralmente: “stare seduti e correre”). Sembra evidente il riferimento all’esperienza mistica, alla condizione di trance, che vediamo, per esempio, descritta all’inizio del capitolo II. Si tratta, a mio parere, della stessa tecnica di meditazione che il cap.6, par.9, dello Zhuāngzĭ chiama 坐 忘 (“zuò wàng” “stare seduti e dimenticare"). Questa tecnica è definita come “uno stato di profondo trance o di intensa concentrazione in cui non si coglie più alcuna traccia dell’identità individuale e l’unica cosa che viene percepita come reale è la sottostante corrente cosmica della Via”. 34) La comunione con la divinità può essere raggiunta soltanto mediante l’esperienza mistica (“l’occhio interno”, ”l’orecchio interno”), non già grazie al raziocinio (“la conoscenza del ‘cuore’). Gli occhi e le orecchie non devono essere impiegati all’esterno come organi dei sensi, ma all’interno di sé come organi dell’anima. È interessante osservare che, nella dottrina taoista, come del resto nell’induismo e in altre tradizioni spirituali, si parla di “occhio interno” (內 在 眼 ”nèi zài yăn”), “terzo occhio” (第 三 隻 眼 ”dì sān zhī yăn” ), “occhio del Cielo”( 天 眼 “tiān yăn”) e “occhio della mente”(心眼 “xīn yăn”) per indicare la capacità di vedere le cose al di fuori della percezione sensoriale nell’ambito di un’esperienza mistico-contemplativa. 35) Fúxī 伏 羲 fu il primo dei mitici Tre Sovrani, ai quali i Cinesi fanno risalire le origini della loro civiltà. Secondo la tradizione sarebbe vissuto tra il 2952a.C. e il 2836 a.C. 36) Jĭqú 几蘧 sembra essere menzionato soltanto in questo passo dello Zhuāngzĭ. Lù Démíng 陸 德 明 (552 d.C-627 d.C.) afferma nel suo “Commento testuale dei Classici e dei Libri Canonici”(經 典 釋 文 “jīngdiăn shìwén”) che si tratta di “un sovrano dei tempi antichi”. 37) Shĕn Zhūliáng 沈 諸 梁, detto Zĭ Gāo 子 高 , figlio del generale Shĕn Yĭn Shù 沈 尹 戍, che fu ucciso nel 506 a.C. durante la guerra tra i regni di Wú 吳 國 e di Chŭ 楚國 , fu nominato dal re di Chŭ duca di Yè 葉, una città che sorgeva a sud dell’attuale contea di Yè 叶 县 nel Hénán 河 南. Represse una ribellione nel 479 a.C. È menzionato due volte nei Dialoghi di Confucio ( VII.19 e XIII.16).Talvolta è indicato come duca di Shè, perché, durante un lungo periodo, il carattere 葉 “yè” fu pronunciato “shè”. 38) Il regno di Qí 齊 國 , sorto nel 1046 a.C. come Stato vassallo della dinastia Zhōu 周 朝 , fu l’ultimo dei grandi regni dell’epoca degli Stati combattenti 戰 國 時 代 ad essere conquistato dal regno di Qín 秦 國 , nel 2 21 a.C. 39) L’alternanza di speranze e di timori che deve affrontare chiunque si accinga ad un’impresa difficile è resa da Zhuāngzĭ con l’espressione “yīn yáng” 陰 陽 che indica qui il succedersi di opposti stati d’animo. 40) Abbiamo qui la perfetta descrizione di un malessere psicosomatico. L’ansietà dell’animo si scarica sugli organi del corpo provocando, tra l’altro, bruciori di stomaco. 41) Il duca di Yè non teme soltanto di essere punito per un eventuale fallimento della sua missione, ma teme anche, e forse ancor di più, di non sapersi mostrare all’altezza del compito di grande fiducia che gli è stato assegnato. 42) La frase 無適而非君也 (“wú shì ér fēi jū yĕ”) è trascurata dal Legge e dal Wilhelm, che la considerano evidentemente un doppione della frase successiva. Il Burton traduce “there is no place where he can go and be without his ruler”, la Correia interpreta “if he didn’t follow along and tried to oppose the ruler, (there ‘d be no place in the whole world he could escape”). Il termine 非君( fēi jūn”) mi sembra consentire, se inteso come “cattivo sovrano”, un’ulteriore interpretazione: il dovere di fedeltà verso il principe è un dovere assoluto e non contempla deroghe neppure se il principe governa male. 43) Il senso originario del termine 戒 (“jiè”) sembra essere quello di “ammonimento”, “cosa di cui occorre tener conto”. Da ciò si è sviluppata l’idea di “regola”, ”comandamento”, “precetto”. Troviamo, ad esempio, nel Buddhismo i termini 五 戒 (“wŭ jiè” “i cinque precetti”) e 八 戒 (“bā jiè” “gli otto precetti) con riferimento ai codici di condotta (l’uno un po’ meno rigoroso, l’altro più rigoroso) raccomandati ai laici che desiderino seguire la morale buddhista. 44) I figli devono assistere i genitori dovunque questi si trovino (不 擇 地 “bù zé dì” cioè “senza scegliere la terra”), i ministri devono servire il principe qualunque incombenza venga loro affidata (不 擇 事 “bù zé shì” cioè “senza scegliere gli affari”). 45) Dopo aver ricordato al suo interlocutore che il buon funzionario ha il dovere morale di accettare qualunque compito gli venga assegnato dai suoi superiori, Confucio gli impartisce alcuni consigli pratici. 46) Confucio non menziona qui il termine Stato, ma risulta evidente da tutto il contesto che le relazioni (交 “jiāo”) cui egli si riferisce sono i rapporti diplomatici tra gli Stati. 47) Il testo cinese reca 故 法 言 曰 (“gù fă yán yuē”) vale a dire “la massima dice”. Non si sa se esistesse una raccolta di massime relative alla condotta da tenere nelle trattative diplomatiche. 法 言 (“fă yán” “massime esemplari”) è il titolo di un opera di Yáng Xióng 揚 雄 (53 a.C.-18 d.C.) il cui tema è però puramente letterario. 48) Il consiglio che Confucio dà all’ambasciatore è quello di mantenere sempre un certo distacco rispetto al messaggio che trasmette. In questo modo avrà due vantaggi: non deformerà il contenuto del messaggio, come potrebbe accadere se finisse con l’esporlo più con parole sue che con le parole di chi glielo ha affidato, e farà risultare che egli è semplicemente il latore del messaggio e non può quindi assumerne la responsabilità ( concetto che la saggezza tradizionale esprime da noi con la massima :”ambasciator non porta pena”). 49) Il testo cinese reca 始乎陽,常 卒乎陰 (“shĭ hū yáng cháng zú hū yīn”), letteralmente “si comincia con lo yáng e si finisce sempre con lo yīn”), vale a dire” si comincia in modo chiaro, con un comportamento aperto e leale, e si finisce in modo oscuro, ricorrendo a trucchi, inganni e falsità. 50) Chi si lascia trascinare dall’eccitazione, perde la visione obiettiva della realtà e cerca quindi di imporre con la forza il proprio punto di vista senza accettare alcun compromesso con la controparte. 51) Alcuni, come il Legge e il Wilhelm, sembrerebbero interpretare l’espressione 美 成 在 久(“mĕi chéng zài jiǔ”) come “un buon accordo è quello che dura” (“a good settlement is proved by its lasting long”, “der Wert eines guten Abkommens beruht auf seiner Dauer”). Ritengo più logica l’interpretazione di Burton Watson: “un buon accordo richiede tempo” (“a good completion takes a long time”). 52) Alcuni traduttori interpretano l’espressione 致 命 (“zhì mìng”) come “essere disposto a sacrificare la vita”, altri come “seguire il destino”. Sostanzialmente il significato non cambia. 53) Yán Hé 顏 闔 , originario del ducato di Lŭ 魯 國 , fu, come risulta da questo passo del Zhuāngzĭ, precettore del principe ereditario di Wèi 衛 國 . Ritornato a Lŭ, condusse vita da eremita e non diede seguito agli inviti del duca Aī di Lŭ 魯 哀 公 ( 494 a.C.-467 a.C.), che avrebbe voluto averlo al suo servizio come ministro. 54) Si tratta di Kuăi Kuì 蒯 瞶 , personaggio poco raccomandabile, che, nel 499 a.C., cercò di uccidere la madre Nánzĭ 南子 e fu costretto ad abbandonare il paese, rinunciando ai suoi diritti di successione. Pìù tardi contese vanamente il trono al proprio figlio Zhé 輒 , che alla morte del duca Líng 靈 nel 493 a.C., era diventato duca con il nome di Chŭ 出. 54) Il duca Líng di Wèi 衛 靈 公 regnò dal 534 a.C. al 493 a.C. È ricordato nei Dialoghi di Confucio come un sovrano incapace e di cattiva reputazione. 55) Qú Bóyù 籧 伯 玉 , ministro del ducato di Wèi, è menzionato più volte , in modo assai positivo, nei Dialoghi di Confucio ( 14.25,15.7). Lo Zuŏ Zhuàn 左 轉 riferisce che, nell’anno 559 a.C., di fronte al malgoverno del duca Xiàn 衛 獻 公, Qú Bóyù rifiutò, per lealtà, di partecipare ad una congiura contro il sovrano, ma abbandonò il paese, nel quale ritornò soltanto quando salì al trono il duca Líng 衛 靈 公. 57) Il testo cinese usa i termini 妖 (“yāo” che significa “strano”, “bizzarro”, “non naturale”) e 孽 (“niè” che significa sia “spirito” sia “cattivo”, perché gli spiriti si ritenevano mossi da impulsi malvagi). Il consiglio è chiaro: per guadagnarsi la confidenza dell’allievo, il maestro deve presentarsi con semplicità, senza dimostrarsi né autoritario né presuntuoso. Altrimenti sarà considerato un personaggio eccentrico e cattivo, che non merita fiducia. 58) L’espressione 町 畦 (“tĭng qí”) indica il rialzo di terreno che divide tra loro i campi, il solco. 無 町 畦(“bù tĭng qí”) significa dunque “uscire dal solco”,”non rispettare i limiti”. Si dice anche dei cavalli che scalpitano. Riferito ad un bambino ha perciò il senso di “fare i capricci”. 59) La maggioranza dei traduttori interpreta il termine無崖(“wú yá”) nel senso di “vivace”, ”spericolato”, ”imprudente”, ”irriflessivo” ( Wilhelm: “überschäumend”, Watson: “reckless”), qualità che si adatta bene ad un ragazzino. Il Legge traduce invece “free from lofty airs” che mi sembra voler dire “semplice”, ”non altezzoso”. Questa interpretazione non si accorda tuttavia molto bene con il contesto, che invita il precettore ad essere comprensivo con i difetti dell’allievo, mentre l’assenza di alterigia sembrerebbe piuttosto essere una qualità. 60) La pedagogia consigliata da Qú Bóyù appare molto moderna. L’educatore deve “mettersi nei panni dell’allievo” e quindi proporgli un programma di studio che corrisponda al suo sviluppo fisico e mentale, accettare, senza farne un dramma, i capricci dovuti alla giovane età e non scandalizzarsi delle marachelle. Un approccio di questo genere avrà molto più successo di un approccio rigido e repressivo. 61) Zhuāngzĭ si riferisce, in questo passo, ad un antico detto: 螳 臂 擋 車 (“táng bì dăng chē”) vale a dire “la mantide con le sue zampette vuole bloccare un carro”, usato per moderare la presunzione di chi intende accingersi ad un’impresa molto superiore alle sue forze. Il Huainánzĭ 淮 南 子 ,opera del 2° secolo a.C, riporta nel capitolo 18, intitolato人 間 (“rén jiān” “la società umana”) una storiella che potrebbe aver dato origine a tale detto. Eccola: “Un giorno il duca Zhuāng di Qí andò a caccia con i suoi cortigiani. I cocchi sfrecciavano sul sentiero quando all’improvviso apparve una mantide religiosa che stava in mezzo alla strada con le sue zampette a forma di falce protese in avanti. Sembrava che volesse bloccare il cocchio del duca. Il duca domandò al cocchiere: “Che razza di insetto è questo?” “È una mantide religiosa” gli rispose il cocchiere” È un insetto che, quando è sfidato, affronta ciecamente i propri nemici, senza nemmeno pensare se ha la forza di farlo”. “Peccato che sia soltanto un insetto” osservò il duca” Se fosse un uomo, sarebbe il miglior guerriero del mondo”. Poi ordinò al cocchiere di volgere indietro il cocchio, lasciando la mantide padrona del campo.” 62) L’esortazione alla prudenza sembra qui persino eccessiva. L’allievo è paragonato ad una tigre feroce o ad un cavallo imbizzarito, con i quali la minima distrazione può essere fatale. Bisogna però considerare le condizioni di un’epoca in cui i principi godevano di un potere assoluto ed arbitrario ed un loro attimo di malumore poteva costare la testa al disgraziato che lo aveva provocato. 63) Il testo non indica l’unità di misura, ma si può ragionevolmente supporre che si tratti del tradizionale 尺 (“chĭ” “piede”) pari ad una lunghezza di 30 cm. Il tronco della quercia aveva quindi una circonferenza di circa 30 metri. 64) Qui il testo reca, invece, 十 仞 (“shí rèn” “dieci rèn”). Poichè il 仞 (“rèn”) era un’unità di misura della lunghezza pari a 8 尺 (“chĭ”), ne risulta che il tronco della quercia era alto 24 metri. 65) L’espressione contenuta nel testo cinese è la seguente:且 予 求 無 所 可 用 久 矣 (“ qiĕ yŭ qiú wú suŏ kĕ yòng jiŭ yĭ”), letteralmente : “inoltre, io ho cercato a lungo il non luogo della possibilità di utilizzare”. La maggioranza dei traduttori la interpreta come segue: “Ho cercato a lungo di rendermi inutile. Ho rischiato la morte, ma sono riuscito nel mio intento e ne ho tratto grande vantaggio”. L’interpretazione che ho scelto, mi sembra, in qualche modo, più coerente con il contesto: anche la quercia avrebbe desiderato rendersi utile, come gli altri alberi, e per qualche tempo ha cercato di farlo, ma ha constatato che per un albero l’utilità coincide con il sacrificio della propria vita e, saggiamente, ha rinunciato a tale proposito. (66) Qual è la morale che occorre trarre da questa storiella? Dando per buona l’interpretazione che abbiamo fornito di questo passo (quasi ogni traduttore lo intende infatti in modo diverso), possiamo concludere che se ne può trarre una morale differente secondo il piano di lettura in cui ci si pone. Una prima morale è la constatazione che, già da un punto di vista puramente umano, l’utilità o l’inutilità di una cosa risulta assai relativa e che nel mondo tutto finisce per avere una propria utilità. Anche un albero il cui legno non può essere utilizzato per scopi pratici, può servire a fare ombra (cfr. il dialogo tra Huìzĭ e Zhuangzĭ nel cap. I “Cammino libero e facile”) o, come in questo caso, a simboleggiare la presenza della divinità. Ma, si può andare oltre. Secondo la dottrina taoista, i criteri di giudizio sono ben più ampi delle valutazioni limitate e ristrette che può compiere l’uomo. Giustamente la quercia domanda al carpentiere: ”Come puoi tu, uomo insignificante e mortale, pronunciarti sull’utilità di un albero?”. Nell’ambito della natura, che è regolata dalle proprie leggi, l’esistenza di un albero può essere un fine in sé, un bene in sé, indipendentemente dai rapporti con l’uomo, che è soltanto uno degli infiniti esseri che popolano il creato. L’insegnamento che si ricava dal racconto, ad un più alto livello di riflessione, è dunque che l’uomo non ha alcun titolo per giudicare l’operato della natura, alle cui norme dovrebbe invece conformare spontaneamente il proprio comportamento. Il racconto del carpentiere e della quercia è stato altresì analizzato dalla psicologa Marie Louise von Franz (1915-1998), collaboratrice di Karl Gustav Jung, in “ C.G. Jung Man and his symbols” New York Anchor Press Doubleday © 1964 J.G. Ferguson Publishing. Riporto qui , nella mia traduzione, alcuni passi di tale analisi: “ I rappresentanti di culture che hanno radici più profonde della nostra provano minor difficoltà a capire che per lasciare spazio alla crescita interna della personalità è necessario abbandonare l’atteggiamento utilitaristico che si esprime nella pianificazione consapevole del proprio agire. Incontrai una volta un’anziana signora che non aveva realizzato molto nella vita, almeno in termini di successo esterno. Tuttavia aveva saputo salvare il proprio matrimonio stabilendo un buon equilibrio con un marito non facile ed aveva sviluppato una personalità che poteva considerarsi matura. Quando si lamentò con me di non aver “fatto” nulla nella propria vita, le raccontai la storia riferita da un saggio cinese, Zhuāngzĭ. La comprese immediatamente e se ne sentì molto rincuorata. Ecco la storia (segue la storia). Il carpentiere ovviamente capì il significato del sogno. Si rese conto che il solo fatto di compiere il proprio destino è la più grande realizzazione umana e che le nostre nozioni utilitaristiche devono cedere il passo alle esigenze inconscie della nostra psiche. Se traduciamo questa metafora in linguaggio psicologico, l’albero simboleggia il processo di individuazione, che impartisce una lezione al nostro miope ‘ego’”. 67) Il personaggio e la località sono sconosciuti. L’enciclopedia libera on line 百 度 貼 吧 ( “băidù tiēbā”) afferma che la collina di Shāng 商 丘 si trova nell’attuale Hénán 河 南. Il racconto riprende il tema di quello che lo precede (“Il carpentiere e la quercia”) e conduce alle stesse conclusioni. 68) L’espressione 神 人 (“shén rén”) può avere due significati: 1) “dei e uomini”, cioè tutti; 2) “gli uomini che sono come gli dei”, cioè i saggi. Mi sembra che qui essa vada intesa nel secondo significato. I saggi riconoscono il valore dell’”inutilità”. 69) Sòng 宋 國 era uno staterello nello Shāndōng 山 東, i cui duchi asserivano di discendere dai sovrani della dinastia Shāng 商 朝 . Jīngshì 荊 氏 è probabilmente un nome inventato dall’autore dello Zhuāngzĭ. 70) Il termine 偢 (“qiū”) indica la catalpa (nome scientifico: Mallotus Japonicus), pianta della famiglia delle Euforbiacee. 71) Per i sacrifici si usavano soltanto animali perfetti, ad esempio vitelli con il pelo di un solo colore e con le corna regolari. I rigoristi spingevano lo scrupolo fino a ritenere che si potessero sacrificare solo animali perfetti nati da animali perfetti. Nel caso di sacrifici umani, le emorroidi erano considerate una imperfezione che rendeva la vittima impura e quindi inadatta al sacrificio. Le regole citate da Zhuāngzĭ erano elencate nel Libro di Jiĕ 解 . 72) Nei tempi più remoti non erano rari i sacrifici umani . Era, per esempio, antico costume che una fanciulla venisse offerta ogni anno in sposa al dio del Fiume Giallo, chiamato 河 伯 (“hébó” “il Signore del Fiume”), affinché questi si astenesse dal devastare villaggi e campi. Lo storico Sīmā Qiān 司 馬 遷 riferisce nelle sue “Memorie Storiche”(史 記 “shĭjì )﹐“Biografie dei Personaggi Scherzosi” (滑 稽 列 傳 “gŭjì lièzhuàn”), paragrafi 23-26, che Xīmén Bào 西 門 豹, consigliere del duca Wén di Wèi 魏 文 公 (445 a.C.-396 a.C.), nominato governatore di Yè 鄴, città in cui si praticava ancora il sacrificio di una fanciulla, trovò un astuto stratagemma per porre fine alla barbara usanza. Dichiarò infatti che la fanciulla scelta dagli stregoni non era abbastanza bella per essere una degna consorte del dio del fiume e che lui ne avrebbe cercata un’altra più graziosa. Nel frattempo, affinché il futuro sposo non si impazientisse per il mancato arrivo della fidanzata, ordinò che i principali stregoni fossero inviati a spiegargli, in fondo al fiume, le ragioni del ritardo. I superstiti capirono perfettamente la lezione e rinunciarono ad esigere il compimento del sacrificio. 73) Il brano termina con una battuta di spirito. Le caratteristiche che per gli stregoni sono di cattivo auspicio, sono invece di ottimo auspicio per le vittime sacrificali, a cui salvano la vita. 74) Il testo cinese usa il termine 鍾 (“zhōng”), che indicava un recipiente capace di contenere circa 40 litri di cereali. 75) L’espressione 又況支離其德者乎 (“yòu kuàng zhī lí qí dé hū”; letteralmente “ ancor più coloro che sono deformi nelle capacità”), è stata interpretata in vari modi. Mi sono ispirato qui all’interpretazione del Wilhelm, che mi pare la più coerente con l'insegnamento taoista. In sostanza - mi sembra che dica Zhuāngzī- se persino un povero invalido, così deforme nel fisico da non poter fare quasi nulla e quindi “inutile”, riesce, alla fin dei conti, a vivere in modo decente, quanto meglio dovrebbero riuscire nella propria vita coloro che, illuminati dalla dottrina taoista, si rendono conto dell’inutilità del fare e praticano deliberatamente il “non agire” ( 無 為 “wúwéi”). 76) Confucio visitò il regno di Chŭ 楚 國 nel 489 a.C. durante un periodo di volontario esilio dal proprio paese. 77) Jiē Yú 接 與, il matto di Chŭ 楚 狂, è citato anche nei Dialoghi 論 語 (“lùn yŭ”). Nessuna delle due opere fornisce su di lui maggiori dettagli. Soltanto in un libro di epoca molto più tarda, il “Gāoshī Zhuàn” 高 士 傳 (“Vite dei grandi maestri”), si racconta che Jiē Yú era un saggio taoista, il quale, invitato dal re di Chŭ a svolgere importanti funzioni pubbliche, preferì fuggire con la moglie sulle montagne 78) Il testo cinese reca 書 地 (“shū dì”), espressione che può significare tanto “disegnare per terra”, “marcare un terreno”, quanto “terreno segnato”.Il senso mi sembra essere che le prese di posizione di Confucio, troppo chiare e impegnative, sono molto pericolose. 79) Lascia un po’ perplessi, in questa frase e nella successiva, l’uso del termine 吾 (“wú” “io”, ”me”, ”noi”, “mio”,”nostro”), da cui sembrerebbe di dover dedurre che Jiē Yú stia parlando di sé stesso. Ho pensato di superare la difficoltà immaginando che il matto di Chŭ accomuni sé e Confucio nel proprio discorso, esortando entrambi a non occuparsi degli affari pubblici e a condurre vita ritirata. 80) Il brano del Zhuāngzĭ riprende, talora con gli stessi termini, e amplia l’analogo episodio riportato nei Dialoghi (18.5), in cui si legge: “Jiē Yú, il matto di Chŭ , passò in fretta accanto alla carrozza di Confucio cantando: ‘O Fenice! O Fenice! Le tue doti non servono. Per il passato non c’è più nulla da fare, ma per l’avvenire c’è ancora rimedio. Lascia perdere ! Lascia perdere tutto! Coloro che al giorno d’oggi si occupano degli affari pubblici rischiano una brutta fine’. Il Maestro scese dalla carrozza e fece per parlargli, ma il matto corse via e Confucio non potè dirgli nulla.” L’episodio mette in chiara luce la divergenza tra la dottrina confuciana, che predica l’impegno nella società civile, e quella taoista, che consiglia invece il ritiro dal mondo, specialmente nelle epoche in cui lo Stato è mal governato e gli uomini probi e capaci sono malvisti. Secondo il matto di Chŭ , Confucio, che egli equipara alla Fenice, leggendario simbolo di saggezza, dovrebbe abbandonare l’attività politica, da cui non può venirgli altro che male. 81) Il cinnamomo ( 桂 “guì”) è un genere delle Lauracee che comprende quasi 300 specie di piante, per lo più tropicali, legnose, dell’Asia e dell’Australia. Vi appartengono gli alberi che forniscono la canfora, la cannella e la corteccia di massoia 82) L’albero da cui si ricava la lacca (漆 “qí”) è il Toxicodendrum vernicifluum 漆 樹 (“qíshù”) , pianta del genere Toxicodendron, famiglia delle Anacardiacee. |