“Nel 1959 ero stato inviato al lavoro coatto nel Grande Deserto del Nord e facevo parte della quinta squadra della Fattoria n.850 a Bĕidàhuāng.
Una notte, mentre stavo per coricarmi, il commissario politico entrò improvvisamente nella camerata e annunciò che tutti i presenti dovevano scrivere una poesia.(1) Era un ordine proveniente dall’alto, che si applicava in ogni angolo del paese, senza alcuna distinzione né sesso né di alcun altro altro genere. Chissà quanti nuovi Lĭ Bái, Dù Fŭ, Lŭ Xùn e Guō Mòruò ne sarebbero saltati fuori.
In un primo momento l’ordine suscitò senza dubbio inquietudine e perplessità, ma subito ciascuno cominciò ad accendere un lume sui bordi della grande stufa di mattoni che serviva da letto comune. Nel nostro stanzone c’erano due grandi stufe di questo tipo, su cui dormivano decine di persone.
In un attimo si accesero più di cento lucerne. L’intero stanzone ne fu illuminato e ci si vedeva meglio che di giorno. Ognuno tirò fuori la sua penna e si procurò in qualche modo un pezzo di carta. Si cominciarono a sentire i pennini che raschiavano la carta...
Per quanto mi riguardava, qualche decennio prima avevo imparato alcune regole della poesia classica, quali il parallelismo e l’alternanza dei toni, ma non avevo mai seriamente pensato ad applicarle, giacché, essendo un fervido sostenitore della lingua popolare e un deciso oppositore della letteratura aulica, non mi era mai venuto in mente di poter comporre qualcosa in stile antico.
Non so perché, improvvisamente, pensai di scrivere una poesia secondo le antiche regole. Forse, quanto più mi allontavano dai circoli letterari, tanto più ero portato a credere che soltanto la vecchia poesia fosse vera poesia...
Di conseguenza, quella notte, fu la prima volta che trattai un tema come il lavoro manuale e fu anche la prima volta che composi una poesia in stile classico”.
Ecco come Niè Gànnŭ 聂 绀 弩 descrive la sua sorprendente “conversione” allo “stile classico” di cui era stato fino ad allora un acerrimo nemico.
Nato il 28 gennaio 1903 a Jīngshān 京 山 nella provincia del Húbĕi 湖 北 da una famiglia di proprietari terrieri impoveriti, Niè Gànnŭ aderì nel 1922 al Partito Nazionalista (国 民 堂 “guòmíndăng”) e fu, nel 1924, uno dei primi cadetti iscritti all’Accademia Militare di Huángpŭ (黃埔軍校 “huángpŭ jūnxiào”), diretta da Chiang Kai-Shek (蒋 介 石 “Jiăng Jièshí”), dove ebbe come insegnante nel dipartimento di scienze politiche l’ancor giovane Zhōu Ēnlái 周 恩 来.
Tra il 1925 e il 1927 studiò all’università Sun Yat-Sen di Mosca.dove ebbe come compagni il figlio di Chiang Kai-Shek, Chiang Ching-Kuo 蔣 經 國 (“Jiăng Jīngguò”), Dèng Xiăopíng 邓 小 平 e molti altri giovani cinesi che sarebbero poi diventati personaggi importanti del Partito Nazionalista o del Partito Comunista. (中 國 共 產 堂 “zhōngguó gòngchǎndǎng”).
Ritornato in Cina, rinunciò a collaborare col Partito Nazionalista e preferì mantenere la propria indipendenza lavorando come giornalista.
La critica della politica autoritaria di Chiang Kai-Shek e della corruzione del Partito Nazionalista lo spinse rapidamente verso posizioni di sinistra.
Nel 1932 aderì alla Lega Cinese degli Scrittori di Sinistra (中國左翼作家聯盟 “zhōngguó zuŏyì zuòjiā liánméng”) e nel 1937divenne membro del Partito Comunista Cinese.
Ammiratore di Lŭ Xùn 鲁 迅, scrisse numerosi saggi per combattere l’ingiustizia sociale e gli abusi del governo nazionalista.
Durante la guerra contro il Giappone (1936-1945) lavorò come redattore della rivista “Erbe Selvatiche”( 野 草 “yĕcăo”), il cui titolo si ispirava ad un’opera di Lŭ Xùn.
Negli anni della guerra civile (1946-1949) pubblicò due raccolte in prosa: “Il Libro del Sangue” (血 书 “xuè shū”) e “Mormorii”(沉 吟 “chén yín”).
Nel 1950 lavorò in qualità di redattore presso il giornale Wen Wei Po (文 汇 报 “wén huì bào”), fondato il 9 settembre 1948 a Hong Kong come versione locale del Wén Huì Bào di Shànghăi.
Nel 1951 fu nominato direttore della Casa Editrice di Letteratura Popolare (人民文学出版社 “rénmín chūbănshè”) a Pechino.
Le sue disgrazie stavano però per cominciare.
A causa dell’amicizia con Hú Fēng 胡风 (1902-1985), le cui teorie letterarie, ritenute incompatibili con il comunismo, diedero origine ad una polemica che dal campo intellettuale passò presto a quello politico, Niè Gànnŭ si ritrovò coinvolto nella campagna contro la “cricca controrivoluzionaria di Hú Fēng” (胡 风 反 革 命 集 团 “hú fēng fán gémìng jítuán”), che si concluse nel 1955 con l’arresto, il processo e la condanna di numerosi intellettuali.
Lo scrittore riuscì a cavarsela per il rotto della cuffia, ma non fu lasciato tranquillo molto a lungo. Nel 1957, fu infatti accusato di “destrismo” (友 派 “yŏu pài”) e nel 1958 fu inviato al lavoro coatto in una fattoria del Bĕidàhuāng 北 大 荒 , una vasta area agricola situata nella parte nord del Hēilóngjiāng 黑 龙 江 , la regione più settentrionale della Cina.
Ritornato a Pechino nel 1962, fu accusato di attività controrivoluzionaria durante la “Grande Rivoluzione Culturale”(文 化 大 革 命 “wén huà dà gémìng”), processato e condannato all’ergastolo. Un suo collega ed amico Huáng Miáozĭ 黄 苗 子 venne sospettato, molti anni più tardi, di aver agito da delatore riferendo alla polizia le proprie conversazioni con Niè Gànnŭ, ma sulla questione non è mai stata fatta chiarezza.
Liberato il 25 settembre 1976, alla fine della Rivoluzione Culturale, Niè Gànnŭ si stabilì a Pechino dove morì il 26 marzo 1986.
La poesia qui di seguito tradotta testimonia un curioso fenomeno di persistenza della tradizione classica nonostante il prevalere dell’influenza occidentale nei primi decenni del ventesimo secolo e la successiva installazione di un regime comunista ostile a qualsiasi vestigio dell’antica cultura nella seconda metà dello stesso secolo.(2)
È interessante osservare che questo fenomeno non riguarda soltanto, come appare naturale, i letterati di tendenza conservatrice, ma anche numerosi esponenti della Nuova Letteratura (新 文 學 “xīn wénxué”), fra i quali, accanto a Niè Gànnŭ possiamo ricordare Lŭ Xùn, Máo Dùn 茅盾, Guō Mòruò 郭沫若, Yù Dàfū 郁達夫, Tián Hàn 田 汉 , Zhū Zìqīng 朱 自 清, Féng Zhì 冯 至 e Shī Zhécún 施 蜇 存. Tutti costoro scrissero infatti, nel corso della loro carriera, numerose poesie in stile classico.
Se i poeti della Nuova Letteratura contestavano aspramente la lingua classica come strumento di una visione conservatrice e decadente della società, non riuscivano d’altra parte a sottrarsi totalmente al fascino e allo splendore del passato.
Così, Lŭ Xùn confessava in una lettera ad un amico: “Non sono bravo a comporre versi classici, ma (qualche volta) non ho potuto farne a meno”.
Questo atteggiamento appare condiviso da altri poeti, i quali affermavano di sentire che le forme classiche risultavano più adatte ad esprimere le emozioni dell’animo di quanto non lo fosse la lingua popolare da essi stessi propugnata.
Simile è la posizione di Niè Gànnŭ, il quale, si rendeva bene conto del favore che incontravano le sue composizioni classiche, ma affermava, al tempo stesso, di non desiderare che i giovani recuperassero questi moduli espressivi. Come spiegò più tardi un suo amico, Niè aveva difficoltà a conciliare la sua sincera adesione all’idea di sviluppo culturale proclamata dal Movimento del 4 maggio con l’attrazione che provava per le antiche forme poetiche.
Dopo aver cominciato a poetare in stile classico nelle circostanze che abbiamo menzionato all’inizio, Niè Gànnŭ continuò a comporre in questo stile anche negli anni Sessanta e Settanta, sebbene quel periodo non fosse propizio alla pubblicazione di tali lavori. Le sue poesie furono pubblicate per la prima volta a Hong Kong nel 1981 con il titolo “Tre Bozze”(三 草 “sāncăo”) e ,poco dopo, a Pechino con il titolo “Le poesie di Sănyíshēng” (散 宜生 诗 集“sănyíshēng shī jí”) , e riscossero un notevole successo, in particolare per il loro stile molto personale che divenne noto come “stile di Gànnŭ “(绀 弩體 “gànnŭ tí”). Si riscontra in esse un affascinante miscuglio di colloquialismi moderni, termini arcaici, evocazioni della cultura tradizionale e riferimenti alla letteratura occidentale che le rende originali ed ironiche. L’ironia è del resto la sola via di scampo che Niè Gànnŭ ha trovato per non lasciarsi travolgere dalle esperienze traumatizzanti e distruttive che ha dovuto subire. Scherzandoci sopra, invece di descrivercele in tutto il loro orrore, egli riesce in qualche modo a sdrammatizzarle e a superarle psicologicamente e, ironizzando anche su se stesso, dichiara che così facendo riesce a sentirsi sempre “vincitore”, proprio come faceva AQ, lo stolido protagonista di un famoso racconto di Lŭ Xùn.
Notiamo lo stile di Gànnŭ anche nella poesia che segue, intitolata “Pulendo i cessi in compagnia di Méizĭ” (清厕同枚子). L’argomento è abbastanza deprimente. Il poeta, già abbastanza anziano e poco robusto, non potendo essere assegnato al duro lavoro dei campi, è stato incaricato di un’attività più leggera, ma piuttosto disgustosa e umiliante: lo svuotamento e la pulizia delle latrine. Il solenne settenario della metrica classica, l’uso di termini arcaici e cerimoniosi ( ad es. 君 “jūn”, cioè “signore”, e 僕 “pú”, vale a dire “il vostro schiavo”, invece dei normali 你 “tu” e 我 “io”), il paragone fra le latrine e la mitica “terrazza d’oro” (黄 金臺 ”huángjīn tài”), l’osservazione finale, pronunciata con apparente serietà, secondo cui chi vuole “ripulire il mondo” può ben cominciare dal “ripulire i cessi”, danno all’intera composizione un tono aulico e del tutto incongruo che ci fa quasi dimenticare la sordida realtà.
Ecco, qui di seguito, la traduzione della poesia:
“Pulendo i cessi in compagnia di Méi Zĭ” (3) (Prima Poesia)
Forza, amico! Tu col mestolo in mano
ed io col il secchio da portare via,
mentre una pioggerella fine fine (4)
cade sulla terrazza del re di Yàn (5).
Ben pulite oppure immerse nel fango
le nostre mani son sempre le stesse (6)
e lo stesso rimane anche il mestolo
ch’esso sia profumato o puzzolente.(7)
Candida neve o sol di primavera,
è meglio che ti turi sempre il naso.
D’estate, in mezzo a nubi di tafani,
noi curviamo tutti insieme la schiena.
Non c’eravamo dati per missione (8)
di ripulire l’universo intero?(9)
Perciò, come potremmo rifiutarci
di vuotare i cessi che traboccano?
"清厕同枚子"之一 “qīng cè tóng méi zĭ“ zhī yī
君 自 舀 來 僕 自 挑 jūn zì yáo lái pú zì tiāo
燕 昭 臺 下 雨 瀟 瀟 yàn zhāo tái xià yŭ xiāo xiāo
高 低 深 淺 两 雙 手 gāo dī shēn qiăn liáng shuāng shōu
香 臭 稠 稀 一 把 瓢 xiāng chòu chóu xī yī bǎ piáo
陽 春 白 雪 同 掩 鼻 yáng chūn bái xuě tóng yǎn bí
蒼 蠅 盛 夏 共 彎 腰 cāng yíng shèng xià gòng wān yāo
澄 清 天 下 吾 曹 事 chéng qīng tiān xià wú cáo shì
污 穢 成 坑 便 肯 饒 wū huì chéng kēng biàn kěn ráo
NOTE
1) Niè Gànnŭ si riferisce qui al lancio della“Campagna Nazionale di Composizione Poetica”, equivalente letterario del Grande Balzo in Avanti (大跃进 ”dà yuè jìn”), che mirava a stimolare il genio poetico della popolazione. Questo avvenimento fu da lui ricordato in una serie di quartine intitolate “Creazione poetica collettiva” (集 体 写诗 “jítĭ xiĕshī”).
2) Una particolare “rifioritura” della poesia classica avvenne in due distinti periodi: dapprima negli anni della guerra sino-giapponese (1936-1945) e, successivamente, durante la Rivoluzione Culturale (1966-1976). Oggigiorno, pur non godendo più di alcun riconoscimento né di alcun incentivo ufficiale, la composizione di poesie in stile classico è ancora largamente diffusa anche nella Repubblica Popolare Cinese.
3) Wān Méizĭ 萬枚子 (1905-2005) era stato accusato, lui pure, di “destrismo”, rimosso dai suoi incarichi e inviato al lavoro coatto.
4) L’espressione 下 雨 瀟 瀟 (“xià yŭ xiāo xiāo”) indica che si tratta di una pioggerella fitta e sottile. Poiché le latrine erano coperte in modo approssimativo da un rudimentale tetto di frasche, i prigionieri che dovevano svuotarle erano esposti alle intemperie.
5) La terrazza del re Zhāo di Yàn (燕 昭 臺 “yàn zhāo tài”) è la leggendaria “terrazza d’oro” (黄金臺 “huángjīn tài”). La citazione colta sottintende un’amara ironia. Il re Zhāo di Yàn (311 a.C.-279 a.C.) aveva fatto erigere una terrazza sulla quale aveva accumulato grandi quantità d’oro con cui intendeva ricompensare i letterati e gli uomini di talento che si fossero posti al suo servizio. Il presidente Máo, emulo moderno del re Zhāo, ricompensa anche lui generosamente gli intellettuali offrendo loro, non solo in senso metaforico, palate di una materia ben diversa dal prezioso metallo.
6) Il verso 高低深淺两雙手 (gāo dī shēn qiăn liáng shuāng shōu) significa letteralmente “tenute alte o abbassate, posate sulla superficie o immerse, due paia di mani”. L’ho interpretato nel senso che le mani rimangono sempre le stesse quale che sia il lavoro che svolgono ( tenute alte e appoggiate sulla scrivania individuano il funzionario o l’intellettuale, abbassate fino a toccare la terra o immerse nel fango individuano l’operaio, il contadino o , come nel presente caso, i deportati cui vengono affidati i compiti più ripugnanti). In altre parole, la dignità di una persona non dipende dalle circostanze esterne per quanto umilianti queste possano essere.
7) Le stesse considerazioni valgono per il verso successivo 香臭稠稀一把瓢 (xiāng chòu chóu xī yī bǎ piáo) che significa letteralmente “ profumato o puzzolente, spesso o sottile, un solo mestolo”.
9) Troviamo qui un’altra citazione colta, un aneddoto riferito al ministro Chén Fān 陳 蕃 dei Hàn Orientali 東 漢 , morto nel 168 d.C. Nel capitolo 66 del “Libro dei Hàn Posteriori” (後 漢 書 “hòu hàn shū”), intitolato “ Biografie di Chén e di Wáng” (陳 王列 傳 “chén wáng lièzhuàn”) si legge, al primo paragrafo, quanto segue: “All’età di quindici anni Chén passava il tempo senza far nulla e non si curava neppure di spazzare il cortile di casa. Xuē Qín, un amico del padre che abitava nella stessa contea venne in visita e domandò a Chén:” Ragazzo, non potresti ripulire il cortile quando aspetti visite?”. Chén gli rispose:”Gli uomini di valore devono preoccuparsi di ripulire l’impero, non il cortile di casa”. Qín capí che Chén aveva l’ambizione di ‘ripulire’ il mondo e lo ammirò grandemente”. (蕃年十五,嘗閑處一室,而庭宇蕪穢。父友同郡薛勤來候之,謂蕃曰:「孺子何不洒埽以待賓客?」蕃曰:「大丈夫處世,當埽除天下,安事一室乎!」勤知其有清世志,甚奇之).
10) Mentre la battuta di Chén Fān gioca sulla distinzione tra il senso letterale e il senso metaforico del verbo “ripulire”, Niè Gànnŭ riesce a creare un effetto umoristico proprio confondendo volutamente i due sensi del termine.