Capitolo XI
UNA NUOVA SETTIMANA
Il commissario Van Kampenhout si svegliò tardi la domenica mattina. Era questa l’unica indulgenza che si concedeva una volta la settimana derogando alla rigida disciplina che aveva da tempo imposta alla sua vita di scapolo. Sapeva che chi vive solo corre un rischio elevatissimo di precipitare presto nell’incuria, nella trasandatezza e nel disordine e si era solennemente ripromesso di sfuggire ad ogni costo a questo pericolo. Le sue azioni quotidiane erano dunque regolate, anche nei giorni festivi, da un rigido calendario, che egli rispettava con scrupolo quasi maniacale.
Si tirò su e dispose una tovaglia sulla tavola della cucina, sistemandovi sopra con cura ciò che era necessario per una frugale ma sostanziosa colazione. Rimise tutto in ordine e passò in bagno per prendere una doccia con acqua fredda, in modo da risvegliarsi bene, rasarsi e pettinarsi.
Quando ebbe terminato, indossò un paio di pantaloni ed una giacca leggera, senza cravatta, e si diresse verso la cattedrale di Santa Gudula, dove celebravano la messa a mezzogiorno in punto. Assistette alla funzione, poi scese verso la Grand-Place, ma giunto all’altezza della piazza, girò a destra, entrando nella Galerie e voltò in una viuzza piena di ristoranti che proponevano i menu più diversi. Esaminò con attenzione tutti i menu riportati sui grandi cartelloni appesi alle facciate dei ristoranti, ma sapeva già a priori che lo faceva soltanto per l’apparenza. Infatti, entrò in uno dei locali ed ordinò tranquillamente una bistecca, ben cotta, con contorno di patatine fritte ed una birra. Ordinò ancora un caffè e guardò l’orologio: erano quasi le due. Il tempo era bello e, senza affrettarsi, avrebbe ancora potuto fare una lunga passeggiata nel parco, dinanzi al Palazzo Reale, e sedersi una mezz’ora di fronte al chiosco ad ascoltare il piccolo concerto domenicale che era tradizione da più di un secolo.
Intorno alle quattro e mezzo cominciò a tornare lentamente verso la Grand-Place, lungo strade e piazze deserte, e si domandò se non avrebbe potuto fermarsi a bere una birra alla Chaloupe d’Or, ma la folla di turisti che entrava ed usciva senza sosta dal locale gli fece abbandonare l’idea. Proseguì quindi lungo la viuzza che dalla Grand-Place porta alla Galerie, entrò nella Galerie e la percorse fino all’altra uscita, dove girò a destra e si trovò dinanzi alla porta della “Mort Subite”. In questa birreria defilata e tranquilla avrebbe trovato la calma che cercava.
Entrò, si sedette ad un tavolo, ordinò una birra, tirò fuori di tasca una biro ed un paio di foglietti e cominciò a riflettere.
Se la telecamera posta all’ingresso del Berlaymont non avesse mostrato la ragazza che usciva, l’inchiesta si sarebbe potuta pianificare senza particolari difficoltà. Si sarebbero potuti sospettare infatti solo coloro che si trovavano nell’edificio tra le 21.00 e le 24.00 del venerdì sera, periodo in cui il medico legale aveva situato il momento della morte. Si sarebbero interrogati prima quelli che potevano più facilmente avere dei contatti con la vittima, cioè i funzionari della Commissione, e poi il personale di sorveglianza,finché non fosse emerso qualche elemento che permettesse di orientare le indagini in una direzione più precisa.
Le immagini riprese dalla telecamera facevano saltare questo schema infirmandone il presupposto essenziale, cioè che non si potesse entrare nell’edificio sfuggendo a tutto il capillare sistema di controllo e di registrazione. Se, nonostante tutte le vanterie dei responsabili della sicurezza, la vittima era riuscita a ritornare di nascosto al Berlaymont, dove era poi stata ammazzata, ciò significava una sola cosa, cioè che non era possibile limitare la cerchia dei possibili colpevoli alle sole persone ufficialmente presenti nell’edificio. Se la povera ragazza era potuta entrare senza che nessuno se ne accorgesse, la stessa cosa avrebbe potuto fare l’assassino dileguandosi poi allo stesso modo.
A questo punto, si disse il commissario, l’inchiesta doveva essere impostata secondo uno schema leggermente diverso.
Occorreva, prima di tutto, cercare di ricostruire i movimenti della vittima fuori del Berlaymont per riuscire a capire in che momento era ritornata al Berlaymont e, se possibile, in che modo c’era rientrata.
Contemporaneamente, andavano ricostruiti per quanto possibile, tramite le testimonianze di coloro che erano presenti al Berlaymont e che potevano averla incontrata, i movimenti compiuti dalla vittima all’interno del Berlaymont prima e dopo le fatidiche ore 22.35 del venerdì sera.
Van Kampenhout vergò rapidamente un promemoria per ricordarsi che cosa avrebbe dovuto fare l’indomani mattina:
“1) Sollecitare le conclusioni degli esami autoptici, per poter conoscere, già nelle prime fasi dell’inchiesta, eventuali elementi di particolare importanza rilevati dai periti.
2) Chiedere a Durand di controllare esaurientemente con i responsabili della sicurezza tutte le riprese effettuate la sera del venerdì, tra le 21.00 e la mezzanotte, dalle telecamere piazzate agli ingressi del Berlaymont e sul piazzale antistante.
3) Chiedere all’ amministrazione delle ferrovie e a quella della metropolitana di Bruxelles di mettere a disposizione degli inquirenti i filmati delle telecamere che controllano le pensiline di imbarco e alla Centrale dei Taxi di distribuire ai tassisti della capitale una foto della vittima nell’eventualità che qualcuno di essi si ricordasse di averla presa a bordo del suo veicolo nella tarda serata del venerdì.
4) Interrogare subito il tipo che ha scoperto il cadavere, per quanto ci sia da dubitare che la sua testimonianza apporti qualche progresso nelle indagini
5) Interrogare i funzionari presenti al Berlaymont tra le ore 21.00 e le ore 24.000 del venerdì sera.
6) Interrogare i sorveglianti che erano di turno la sera del delitto.
7) Riflettere su dove possano essere finiti gli abiti della vittima. Il capo della squadra che ha perquisito tutti i locali del Berlaymont nella giornata di sabato, ha riferito verbalmente che non sono stati trovati. Manderà un rapporto dettagliato sui risultati dell’operazione nel corso della prossima settimana.
8) Varie ed eventuali: Si vedrà secondo le circostanze.”.
Ripiegò i foglietti, contento del lavoro compiuto, se li rimise in tasca insieme con la biro, chiamò il cameriere, pagò il conto, uscì e si diresse verso casa.
Capitolo XII
OMBRELLO E IMPERMEABILE
Alle nove del mattino di lunedì il commissario Van Kampenhout si ritrovò nell’ufficio che gli era stato gentilmente assegnato al Berlaymont con l’agente Durant e con l’agente Pauwels, che aveva deciso di chiamare in rinforzo quando si era accorto che le indagini non si prospettavano così semplici come si sarebbe potuto pensare.
“Cominceremo col verificare che cosa ha fatto la ragazza quando è uscita dal Berlaymont. C`è certamente un’altra telecamera che copre il piazzale dinanzi all’edificio. Durand, ti sei già accertato che ci sia qualcuno disponibile per mostrarci i filmati?”.
“Sì” rispose l’agente” E`la prima cosa che ho fatto entrando al Berlaymont questa mattina. Possiamo andare, c’è già qualcuno che ci aspetta nella saletta di proiezione”.
Poterono così constatare, grazie alle riprese effettuate dalla telecamera di controllo collocata all’esterno del palazzo, che la ragazza aveva rapidamente attraversato il piazzale, sotto una pioggia battente, ed aveva sceso le scale che conducevano alla Stazione Schuman, la quale serviva sia il traffico della metropolitana sia il traffico ferroviario in entrata ed in uscita dalla città.
“Bene” concluse Van Kampenhout” Così sappiamo almeno che è scesa alla stazione.
Ora è il momento di distribuirci i compiti.
Tu, Pauwels, prenderai contatto con i servizi di sicurezza della metropolitana e delle ferrovie e chiederai loro di poter visionare le riprese delle telecamere che sorvegliano le pensiline di imbarco delle diverse stazioni.
Tu, Durand, invece rimarrai qui con i funzionari della sicurezza del Berlaymont e ti farai mostrare i filmati della telecamera che copre il posto di controllo situato nel garage sotterraneo, dinanzi agli ascensori che portano alla hall di ingresso e ai montacarichi. Dobbiamo verificare se c’è qualche elemento che ci permetta di capire come la ragazza ha potuto rientrare qui dentro.
Mentre voi farete questo, io comincerò ad interrogare i possibili testimoni”.
Risalì nell’ufficio e si mise a riflettere.
Si informò, innanzitutto, presso il Capo della Sicurezza per sapere a che ora sarebbero entrati in servizio i sorveglianti che erano di turno il venerdi sera. Saputo che il turno serale cominciava alle 17.00 , decise che si poteva tranquillamente attendere la sera per interrogarli.
Le donne delle pulizie non sembravano, almeno in prima battuta, particolarmente interessanti né quali potenziali colpevoli né quali testimoni utili, visto che terminavano il loro lavoro verso le 20.30 e lasciavano abitualmente l’edificio pochi minuti dopo.
Conveniva pertanto interrogare, in primo luogo, i funzionari della Commissione.
Van Kampenhout prese il telefono e fece il numero dell’ufficio del personale, chiedendo che gli inviassero, per favore, il sig. Lopaczynski. Dopo un paio di minuti gli telefonarono per informarlo che il sig. Lopaczinsky aveva fatto pervenire, tramite un collega e vicino di casa, un certificato medico che attestava un “forte stato di agitazione nervosa, accompagnato da insonnia, palpitazioni e sudorazione abbondante” e che gli prescriveva “due giorni di assoluto riposo”.
Il commissario non se ne preoccupò. Non piazzava Lopaczyinski in primo piano nella lista dei possibili sospetti e non riteneva neppure che dalla sua testimonianza potessero emergere elementi di particolare interesse per l’inchiesta.
Riprese il telefono e chiese che gli inviassero la signorina Vera Zadonskaya.
Vera Zadonskaya apparve qualche minuto dopo, accompagnata da un usciere, dinanzi alla porta dell’ufficio che Van Kampenout aveva lasciato aperta. Sembrava curiosa, un po’inquieta, ma non agitata né turbata.
Il commissario si alzò in piedi: “Van Kampenhout, del commissariato di polizia del Quartier Léopold” si presentò “ Prego, si accomodi. Le hanno detto perché desidero parlarle?”.
“No” rispose Vera “ Mi hanno solo detto che qualcuno desiderava vedermi per ragioni di ufficio e l’usciere che mi ha accompagnata non ha detto una sola parola. Però tra i colleghi circolava la voce che doveva essere successo qualcosa di grave durante il weekend alla divisione francese, ma nulla di preciso, qualcuno aveva visto un ufficio sigillato e sorvegliato, qualcun altro aveva sentito che c’era agitazione nell’amministrazione… ma niente di più. È successo qualcosa che potrebbe riguardarmi?”.
Il commissario la guardò con attenzione, ma la ragazza non mostrava alcun segno di agitazione o di turbamento.
“Mi dica “ le chiese” Durante il weekend, qui al Berlaymont o a casa sua o mentre era fuori, non le è successo nulla di anormale o non ha notato nulla che potesse parerle strano?”
“Mi sorvegliate?” domandò la ragazza, nella cui voce vibrava ora una punta di inquietudine “ Non credo che ce ne sia alcuna ragione. Per rispondere alla sua domanda, posso dirle che l’unica cosa che mi è sembrata strana è che l’amico con cui avevo appuntamento venerdì sera, dopo il teatro, è arrivato in ritardo e non ha saputo spiegarmene bene il motivo, ma non credo proprio che sia necessario l’intervento della polizia per chiarire questo punto”.
“No, no, senza dubbio” si affrettò a precisare Van Kampenhout “A proposito, quando è entrata al Berlaymont venerdì sera con la sua collega Malgorzata Dombrowska e poi siete salite insieme con l’ascensore, non ha notato nulla di inconsueto?”
“No, non mi pare” cominciò Vera senza scomporsi, mentre Van Kampenhout cominciava a chiedersi se questa calma quasi ostentata non avesse qualcosa di artificiale, ma s’interruppe di colpo e lo fissò con uno sguardo ansioso “ Ma, Malgorzata non l’ho più vista da venerdì sera… le è mica successo qualcosa ?”.
“Bella mossa ed al momento giusto” pensò fra di sé Van Kampenhout “ Così, anche se ci è dentro, non è più obbligata a fingere: una ragazza dall’aria così sveglia non poteva non capire che, se la interrogavamo, doveva trattarsi di qualcuno che lei conosceva da vicino”.
Il viso di Vera si contrasse, tutto il suo corpo sembrò irrigidirsi, mentre con voce incerta chiedeva al commissario: “ Mi dica, per favore, che cosa le è successo… è viva? È stata rapinata? Aggredita? Come…come sta?”.
“Purtroppo” cominciò Van Kampenhout con cautela” devo darle una brutta notizia, la signorina Dombrowska è stata ritrovata priva di vita il sabato mattina qui in un ufficio del Berlaymont”.
“No, non è possibile…perché?” urlò Vera e si mise a singhiozzare disperatamente.
Il commissario cercò di calmarla e di consolarla, ma vedendo che il pianto non cessava, le disse: “Capisco signorina che la perdita di una cara amica la sconvolga in questo modo, ma io dovrei interrogarla per accertare se lei ha osservato qualcosa che potrebbe essere utile per le indagini. Se non si sente di parlare adesso, vada pure, la farò chiamare domani o dopodomani”.
“Grazie Signor Commissario. Non potrei proprio continuare adesso” mormorò Vera, fra le lacrime e, premendosi un fazzoletto sugli occhi si allontanò quasi di corsa.
Mentre Van Kampenhout si concedeva una piccola pausa dopo questa prima agitata conversazione, squillò il telefono.
Era Pauwels, che telefonava dalla sede dell’amministrazione della Metropolitana.
“Ricerca terminata, capo. La ragazza è salita su un vagone della linea Schuman- Centrale alle 22.40 ed è scesa alla stazione successiva alle 22.46. C’era poca gente sulla linea ed il filmato la fa vedere chiaramente mentre sale sulla scala mobile che conduce all’uscita”.
“Bene” rispose Van Kampenout “ A questo punto potrebbe essere andata in qualsiasi direzione e con qualsiasi mezzo. Controlla ancora la registrazione della pensilina di fronte per vedere se nell’ora successiva non ha ripreso il metrò per ritornare al Berlaymont e poi ripassa da me”.
Si alzò dalla scrivania, uscì dall’ufficio e si diresse verso uno degli ascensori per scendere alla sala di proiezione.
Entrò e si sedette accanto a Durand, che stava guardando un filmato.
“Qualcosa di interessante” gli domandò.
“Finora niente” rispose Durand” Abbiamo fatto scorrere le immagini dell’ingresso del garage e si sono viste solo le macchine dei sorveglianti che arrivano per il turno o che escono dopo aver concluso il servizio e quelle dei due o tre funzionari che sono arrivati al Berlaymont in macchina o ne sono usciti. In tutte le macchine ci sono, apparentemente, solo i guidatori. Tutto corrisponde perfettamente alle menzioni che figurano nei registri delle presenze, naturalmente con il normale divario di un paio di minuti che sono necessari per salire o per scendere. Adesso sto guardando il filmato della telecamera che controlla il passaggio dal garage agli ascensori che conducono al rez de chaussée. La telecamera è piazzata proprio sopra gli ascensori, dietro al tavolo di controllo a cui sono seduti i due sorveglianti di turno e ci mostra la porta a vetri smerigliati ad apertura automatica che dà sul garage. Quando la porta è aperta si vede una piccola parte del garage. Se è chiusa si intravede appena una luce molto fioca e si intuiscono i movimenti di chi si sta avvicinando alla porta. Vede in basso, l’indicazione dell’ora che scorre con il filmato: sono le 23.45 Fra qualche minuto dovrebbe esserci un po’di movimento, perché sta per scadere il turno serale di sorveglianza e a mezzanotte in punto comincia il turno di notte”.
Quando l’indicatore dell’ora giunse alle 23.50, si vide la porta automatica che si apriva ed un giovane vestito di un impermeabile, dal quale spuntava un paio di pantaloni chiari, e a capo scoperto entrò nello spazio controllato dalla telecamera.
“ È Pierre Delacourt” spiegò Durand “...uno dei sorveglianti del turno di notte. Probabilmente è arrivato qualche minuto prima perché è vestito in civile e deve cambiarsi qui prima di prendere servizio”.
Passarono un po’ di tempo e si vide inquadrata la schiena di un uomo, con un ombrello al braccio, che si dirigeva verso il garage. Doveva essere uno dei sorveglianti che smontavano. Erano le 23.56.
Alle 23.58 si vide la schiena di un altro uomo, con un impermeabile gettato sul braccio.
“Ecco il secondo sorvegliante del turno serale, che se ne va. Evidentemente il primo del turno di notte s`è già cambiato ed ha preso servizio..Ma dov’è il secondo sorvegliante del turno di notte? come si chiama? ” chiese Van Kampenhout.”Vediamo... Martin Brassens”.
“Forse li sta aspettando in garage. I sorveglianti hanno un paio di posti riservati proprio davanti alla porta automatica e, se uno di quelli che partono aveva occupato uno dei posti, quello che arriva deve aspettare che se ne vada, per occuparlo a sua volta, se non vuole essere obbligato a parcheggiare molto più lontano” rispose Durand.
“ Certo, durante il giorno gli conviene far così. Ma per il turno di notte non mi sembra necessario. Potrebbe parcheggiare senza nessuna fatica qualche metro più in là. Dopo le 7 di sera, il garage è quasi deserto.” osservò il commissario.
“Eppure è proprio quello che sta facendo. Forse è la forza dell’abitudine. O il piacere di occupare un posto privilegiato, indicato con tanto di scritta sul pavimento. Chi lo sa? Intravede anche lei una macchina che sta facendo manovra proprio dietro la porta di vetro ad apertura automatica?”.
“Sì” confermò Van Kampenhout “La vedo”.
Una cinquantina di secondi più tardi la porta automatica si aprì ed un giovanottone vestito di un largo impermeabile, sotto il quale spuntavano i pantaloni della divisa, con in testa il berretto a visiera dei sorveglianti , entrò nel campo visuale, tenendo aperto dinanzi a sé un enorme ombrello.
Si fermò un paio di metri prima del tavolo di controllo e scosse vigorosamente l’ombrello sempre tenendolo aperto. Sorrise al collega, già in divisa, che in quel momento gli passava accanto per andare a controllare qualche cosa in garage. La porta automatica si aprìproprio mentre i due si incrociavano. Una decina di secondi dopo, la porta automatica si riaprì ancora una volta e l’altro sorvegliante rientrò nel campo visuale e sparì subito dopo, quasi certamente per sedersi al tavolo di controllo. Nel frattempo l’uomo con l’ombrello aveva scosso l’ombrello, lo aveva ripiegato ed era andato avanti, sparendo così dalla zona ripresa dalla telecamera.
“Che uomo superprudente!” rise Durand “ S’è portato ancora dietro quel grandissimo ombrello, quando aveva già l’impermeabile ed il berretto a visiera”.
“Fermo”urlò Van Kampenhout all’operatore “Mi ripassi, per favore, gli ultimi due minuti di ripresa”.
Riguardarono con attenzione le immagini appena viste, poi Van Kampenhout chiese a Durand: “Non ti è sembrato che quell’ombrello fosse abbastanza asciutto? Non abbiamo visto molte gocce d’acqua spruzzar via. D’altra parte, se era bagnato, non sarebbe stato meglio lasciarlo aperto e depositarlo da qualche parte aperto perché si potesse asciugare comodamente? Vammi subito a cercare un ombrello, il più grosso che puoi trovare”.
“Dove devo cercarlo?” chiese Durand incerto.
“Dove vuoi” rispose il commissario in tono perentorio” Chiedilo agli uscieri, ai camerieri della mensa, al primo funzionario che incontri davanti all’ascensore, a chi diavolo vuoi, ma fammelo avere entro cinque minuti.”.
Mentre Durand si allontanava a grandi passi, Van Kampenhout prese matita e taccuino e cominciò a tracciare sulla carta qualcosa che rassomigliava ad un disegno geometrico, come la proiezione di un cono con la cima sul lato sinistro in alto del foglio e la base sul lato destro in basso. Guardò soddisfatto la sua opera, per quanto il disegno fosse approssimativo, e rimase ad osservarla a lungo come se stesse riflettendo.
Nel frattempo squillò il portatile. Pauwels riferiva che le riprese delle telecamere avevano mostrato che Malgorzata Dombrowska non aveva utilizzato né il treno né il metrò per ritornare al Berlaymont, perlomeno non a partire dalle stazioni situate nel centro della capitale.
“Molto bene” gli rispose il commissario “ Ora lascia perdere tutto e vieni subito al Berlaymont. Ho bisogno di te fra un quarto d’ora al più tardi”.
Dieci minuti più tardi Durand ritornò tutto soddisfatto, con un grande ombrello in mano. Dopo alcuni minuti comparve anche Pauwels.
“Venite con me” ordinò loro Van Kampenhout “ Forse ho capito come la ragazza è rientrata al Berlaymont.”
Capitolo XIII
ATTENDENDO LA SERA
Attendendo l’arrivo della sera per poter interrogare i sorveglianti, Van Kampenhout decise di continuare nel pomeriggio gli interrogatori dei funzionari che si trovavano al Berlaymont la sera del venerdì.
Non vedendo particolari ragioni di fissare un preciso ordine di priorità, comunicò la lista degli interessati al servizio del personale con preghiera di inviargli, dopo la pausa pranzo, ad intervalli di mezz’ora l’uno dall’altro, coloro che fossero immediatamente disponibili.
Era appena rientrato nell’ufficio che gli era stato messo a disposizione, dopo aver consumato con i suoi due colleghi un rapido spuntino alla mensa del personale, quando sentì squillare il portatile. La chiamata proveniva dal responsabile dell’Istituto di Medicina Legale, che gli anticipava, in via informale, i risultati dell’autopsia.
La ragazza, come si poteva già pensare, era morta per strangolamento. Piú interessante era invece il fatto che non era stata riscontrata sul cadavere alcuna traccia che potesse lasciar pensare ad uno spostamento del corpo dopo la morte su una distanza piuttosto lunga. Di conseguenza, la vittima era rientrata viva al Berlaymont e qui era stata uccisa, con quasi assoluta certezza nell’ufficio del sig. Lopaczyinski o nelle sue immediate vicinanze.
“Molto bene” pensò soddisfatto fra sé Van Kampenhout “Questo restringe di molto il campo delle indagini, perlomeno sotto l’aspetto del luogo in cui è avvenuto il delitto.
Passiamo ora a sentire i nostri testimoni”.
Un quarto d’ora dopo, un signore relativamente giovane, distinto, dall’aria leggermente annoiata, apparve nel corridoio e, movendosi con passo calmo e regolare, si avvicinò alla porta. Bussò e fu invitato ad entrare.
“Il signor Van Kampenhout, suppongo”esclamò, dirigendo lo sguardo quello degli occupanti dell’ufficio che gli sembrava avere l’aspetto più autorevole.
“In persona” rispose il commissario. La prego, signor Stevenson, si accomodi. Lei sa già, forse, per quale motivo desidero intrattenermi con Lei?.”
“Penso di sì” fece il signor Stevenson “ È da questa mattina che circolano voci di ogni genere su un delitto che sarebbe stato commesso durante il weekend qui al Berlaymont. Non credo però di poterle essere di molto aiuto. Non sono un appassionato di Agata Christie. Sì, c’è forse ogni tanto qualche idea originale nella trama dei suoi polizieschi, ma i suoi personaggi non hanno alcun rilievo, non c`è alcuna introspezione psicologica, nessuna descrizione d’ambiente, a meno ovviamente” e qui atteggiò il volto ad un’espressione di leggero disgusto” che non si ritenga introspezione psicologica e descrizione d’ambiente l’immagine insulsa delle zitelle inglesi che prendono il tè alle cinque del pomeriggio”.
“Non è per chiedere una sua consulenza sulle indagini, che l’ho fatta chiamare, signor Stevenson” replicò Van Kampenhout mantenendo la sua calma, anche se leggermente sorpreso dall’entrata in materia del suo interlocutore. “Semplicemente, ci risulta che lei era presente al Berlaymont nelle ore in cui vi è stato compiuto un omicidio e vorremmo domandarle se non ha notato nulla di particolare quella sera”.
“Lei è molto gentile, commissario.” rispose il signor Stevenson con un sorrisetto” Perché non mi dice subito che desidererebbe anche sapere se l’irreprensibile signor Stevenson, integerrimo funzionario delle Comunità dal lunedì mattina al venerdì sera non si trasformi in un assassino durante il weekend. Lei non ignora di certo che fu un mio omonimo ad inventare la bella storia del Dott. Jekyll e di Mr. Hide”.
“Le sue divagazioni letterarie mi interessano molto, signor Stevenson, ma purtroppo questo non è il momento di parlare di letteratura.”concluse il commissario “In concreto, lei si rende conto che per escludere qualsiasi motivo di sospetto nei suoi confronti noi abbiamo bisogno che lei ci indichi in modo documentabile tutto ciò che ha fatto la sera di venerdì scorso tra le 21.25 e le 23.35”.
“Non credo che avrò problemi per farlo” esordì il signor Stevenson” Ho passato un paio d’ore a completare il mio studio sul “Thema regium”, che intendo far pubblicare fra qualche settimana negli Annali Musicali di Heidelberg. Basta che controlliate le ore di apertura e di chiusura del PC nel mio ufficio”.
“Temo che questo controllo non sarà sufficiente” lo interruppe il commissario” La constatazione che il PC del suo ufficio è stato in funzione dalle 21.27 fin quasi alle 23.30 del venerdì non esclude che Lei abbia potuto allontanarsi dal suo ufficio o che qualcuno abbia potuto renderle visita. È un indizio, ma non un alibi”.
“Evidentemente, mi sono allontanato una volta dal mio ufficio per un bisogno naturale. Peccato che alla Commissione non controllino anche le pause per andare alla toilette, come fanno nelle fabbriche. Si vede che il libero accesso ai WC è uno dei molti ed ingiustificati privilegi dei comunitari” ribatté Stevenson sarcastico.
“In ogni caso, suppongo che, anche se ci fosse un controllo di questo genere, non funzionerebbe al di fuori del normale orario di lavoro” osservò serafico Van Kampenhout “ Mi dica, per favore, se durante la serata ha visto o notato qualcuno o qualcosa di particolare o se c’è qualche altro elemento che possa confermare che lei non ha lasciato il suo ufficio”.
“A pensarci bene, verso le 21.45 mi ha chiamato sul portatile la signorina Dombrowska, un’amica della signorina Zadonskaya, la ragazza con cui esco abitualmente, per domandarmi se la sua amica si trovava con me “riflettè un momento Stevenson “ma, purtroppo, non credo che una chiamata sul portatile consenta di stabilire che io mi trovavo in ufficio”.
Van Kampenhout lo guardò sorpreso. Se era una coincidenza casuale era una cosa abbastanza strana; se invece il suo interlocutore intendeva giocare d’anticipo, occorreva vedere a che cosa poteva servirgli una simile mossa.
“Quindi, lei non sa ancora che la vittima dell’omicidio su cui stiamo indagando è proprio la signorina Dombrowska?” chiese a bruciapelo il commissario.
La reazione del signor Stevenson fu assolutamente composta. Atteggiò il volto ad un’espressione di cortese, ma distaccato rammarico e disse, senza cambiare minimamente il tono di voce: “ Mi dispiace. Era una ragazza giovane e sembrava piena di voglia di vivere. Ma, d’altra parte, con la vita che conducono i giovani d’oggi non c`è da stupirsi se qualche volta finiscono cosí”.
“Lei ha qualche elemento specifico per sostenere quest’affermazione ?” lo incalzò Van Kampenhout, infilandosi nella breccia che sembrava così aprirsi.
“No” rispose con calma Stevenson” Non conoscevo bene la signorina Dombrowska. Mi era solo capitato di incontrarla qualche volta in compagnia di Vera…scusi, volevo dire della signorina Zadonskaya. Intendevo solo osservare che vestiva spesso abiti abbastanza vistosi e che si presentava, a volte, in modo appariscente, direi quasi un po’ volgare”.
“Lei è un puritano, signor Stevenson ? domandò secco il commissario.
“Assolutamente no, signor commissario”, rispose il signor Stevenson, senza perdere una briciola della sua flemma” Credo però di poter affermare che la volgarità è sintomo di un difetto di educazione. Proprio per questa ragione una persona volgare sarà portata a preferire la compagnia di altre persone volgari e quindi a muoversi in un ambiente sociale meno selezionato, ad incontrare individui scarsamente educati e di conseguenza meno portati a rispettare i principi della convivenza civile, e quindi a rischiare maggiormente di finire tra le mani di un delinquente. Non mi sembra puritanesimo, ma pura deduzione logica”.
“Ineccepibile!” tagliò corto Van Kampenhout “ La ringrazio molto della sua collaborazione, signor Stevenson. Può andare”.
Alistair Stevenson si alzò lentamente, accennò col capo un impercettibile inchino al commissario e si diresse verso la porta. La notizia della morte di Malgorzata Dombrowska pareva lasciarlo assolutamente indifferente. Se era un attore - pensò
Van Kampenhout – recitava alla perfezione.
Il visitatore successivo apparve sulla soglia una ventina di minuti dopo l’uscita del signor Stevenson. Alto, magro, ben abbronzato, con un pizzetto alla Mefistofele che ben s’accordava con gli occhi estremamente mobilii, in cui brillava una luce strana, che sarebbe forse eccessivo definire diabolica, ma che aveva comunque un che di inquietante, Elio de Gubernatis mostrava, con il suo aspetto vivace ed il suo passo scattante, molti anni di meno della sua età anagrafica, che lo aveva ormai condotto non troppo lontano dalle soglie della pensione.
“Elio de Gubernatis, del Servizio giuridico della Commissione” si presentò, con un bel sorriso, sedendosi di fronte al commissario.
“Mi sembra di averla già incontrata da qualche parte” osservò il commissario.
“Senza dubbio, signor Commissario. Sono qui a Bruxelles da più di trent’anni, salvo un paio d’anni di distacco a Lussemburgo. Sono un habitué. Sa come ci definiamo noi funzionari della Comunità? “ aggiunse sorridendo “Selvaggina nobile stanziale”, perché non ci muoviamo quasi mai dalle nostre sedi, contrariamente ai “migranti”, che sarebbero poi i diplomatici ed i bancari. Per loro abbiamo anche un’altra definizione “selvaggina di passo”. Lei è un cacciatore, signor commissario.
Potremmo esserci incontrati in occasione di qualche battuta?”.
“No, no…”rispose Van Kampenhout” non sono un cacciatore. Mi sembra molto più probabile che ci siamo incontrati a qualche drink o a qualche ricevimento”.
“Senza dubbio” convenne de Gubernatis, il cui volto stava intanto assumendo una espressione di tristezza e di compunzione “Ho saputo che è stata uccisa quella povera ragazza, la Malgorzata Dombrowska, che conoscevo un pochino. Poveretta. È per questo che mi avete mandato a chiamare non è vero? Come è successo?. Mi sembra impossibile che proprio qui da noi possano succedere cose di questo genere ”.
Van Kampenhout non poté fare a meno di ammirare l’aplomb con cui il suo interlocutore era passato in un attimo dal sorriso alla faccia di circostanza, dalla conversazione frivola alle cose tragiche e l’abilità con cui stava tentando di toglierli l’iniziativa.
“Credo che dovremmo piuttosto chiederlo a lei, signor de Gubernatis, come è successo” rispose imperturbabile “Ci risulta infatti che lei si trovava al Berlaymont proprio mentre è stato commesso il delitto”.
“È vero” si battè la fronte de Gubernatis, come stupito di fronte all’enormità della propria dimenticanza” Come ho potuto non pensare che questo piccolo dettaglio mi faceva inesorabilmente finire nel gruppo dei sospettati.Ma dove lo mettiamo il principio “in dubio pro reo”?” domandò ammiccando.
“Lei sa meglio di me” rispose il commissario “ che nella fase preliminare delle indagini non c`è nessun imputato. Sarà soltanto quando avremo concentrato, se ci riusciremo, le nostre ricerche su un’unica persona, che dovremo tirar fuori le nostre prove se vorremo formulare ufficialmente un’accusa nei suoi confronti. Per il momento tutti coloro che erano presenti al Berlaymont la sera del delitto sono sentiti soltanto come testimoni, per permetterci di definire, grazie alle loro testimonianze, il campo delle indagini e di escluderne subito tutti coloro la cui posizioni risulti chiara fin dall’inizio.”.
“In questo caso, io posso subito dichiarare che sono candido come un agnello” replicò pronto de Gubernatis.
“Non ne dubito” fece il commissario “ Ma proprio per questo è indispensabile che Lei mi spieghi per filo e per segno che cosa ha fatto tra le 20.45 e le 22.20 di venerdì scorso”.
“Per sgombrare il campo da ogni equivoco, le dirò subito che dalle 21.00 alle 21.10, più o meno, ho ricevuto nel mio ufficio la povera Malgorzata. Aveva bisogno di qualche consiglio per un problema giuridico di natura personale ed un amico che conosceva un amico che la conosceva… lei sa come vanno queste cose... mi aveva chiesto se, per favore, non avrei avuto cinque minuti da dedicarle. Avevo accettato di buon grado, ma, lei sa, come membro del Servizio giuridico della Commissione durante la giornata ho sempre conferenze, incontri con gli avvocati, qualche volta missioni alla Corte di giustizia di Lussemburgo o altrove, e così, visto che la sera, ogni tanto, vengo in ufficio per completare alcuni dossier, ho pensato che potevo dirle di passare da me dieci minuti durante la serata…”..
“Molto interessante” riflettè a voce alta Van Kampenhout, al quale in tutta quella bella storia sembrava di sentire un po’ di puzza di bruciato” Ma, mi scusi, potrebbe dirmi quali erano i problemi giuridici che preoccupavano la signorina Dombrowska ?”.
De Gubernatis parve imbarazzato ed esitò un attimo prima di rispondere: “ Beh, a dire il vero, non abbiamo potuto approfondire perché la povera Malgorzata non aveva portato con sé i documenti. Sono tutte così sbadate queste ragazze di oggi. Come poteva venirmi a chiedere un parere giuridico senza portarmi i documenti? Voleva spiegarmelo a voce, ma era piuttosto confusa, non ne capiva niente di diritto, e così dopo un momento le ho detto che ripassasse portandomi le carte, che solo vedendo le carte avrei potuto capire bene di che si trattava e darle una risposta precisa. Ad ogni modo mi pare che fosse un problema di successione o qualcosa del genere… ma da come lo spiegava lei si capiva solo che era una storia complicatissima, una specie di feuilleton a puntate “.
“Va bene” lo interruppe il commissario, il quale intuiva benissimo che il suo interlocutore gli stava raccontando solo una parte della storia “ e, c’è qualcuno che ha visto la signorina Dombrowska uscire dal suo ufficio”.
“Non saprei dirlo” confessò de Gubernatis” L’ho accompagnata alla porta, ma non ho guardato nel corridoio. Del resto, a quell’ora, i corridoi sono abitualmente deserti. Le donne delle pulizie terminano il loro lavoro un po’prima delle nove ed i sorveglianti cominciano il servizio di ronda una mezz’oretta dopo la partenza delle donne delle pulizie”.
“Un’ultima domanda, signor de Gubernatis” “potrebbe dirmi che cosa ha fatto dalle 21.10, quando la signorina Dombrowska è uscita dal suo ufficio, fino alle 22.20, quando lei è uscito dal Berlaymont?”.
“Non ho nessuna difficoltà a dirglielo.”rispose sorridendo de Gubernatis” Poiché mi trovavo in ufficio, ho pensato di dedicare un’ oretta a rifinire una memoria difensiva che dovrò presentare nei prossimi giorni alla Corte di giustizia. “Chi ha tempo non aspetti tempo” come dice il proverbio. Non è d’accordo anche lei?”.
“Senza dubbio!” si affrettò a concordare il commissario,poi aggiunse:“Può andare, signor de Gubernatis. Si tenga, comunque, a nostra disposizione”.
“Grazie, signor commissario” rispose de Gubernatis, con un sorriso che metteva in mostra tutti i suoi denti, d’altronde in perfetto stato “Lei sa benissimo che non aggraverò la mia posizione con una fuga intempestiva”.
“Bel tipo” pensò Van Kampenhout “ ed ha un ottimo controllo di sé. Solo sulla consulenza giuridica ha avuto un attimo di incertezza. Forse la consultazione non si è svolta esattamente come vorrebbe farmi credere. Vedremo più tardi”. Diede un’occhiata all’orologio e vide che erano le quattro e mezzo del pomeriggio. “Andiamo a prendere un caffè” disse ai due agenti “poi scenderemo in garage a parlare con i sorveglianti.”
Capitolo XIV
LA PORTA AUTOMATICA
Van Kampenhout, Durand e Pauwels arrivarono al posto di sorveglianza del garage alle cinque passate, qualche minuto dopo che i sorveglianti Delacourt e Brassens avevano preso servizio.
“Stiamo indagando, con l’autorizzazione delle competenti autorità della Commissione” – spiegarono loro – “ su alcuni comportamenti criminali che si sono verificati all’interno del palazzo Berlaymont ed abbiamo bisogno di effettuare qualche verifica proprio nella zona del punto di controllo.
“Fate pure” dissero i guardiani “Siamo a vostra disposizione”.
“Vorremmo effettuare innanzi tutto un esperimento pratico” disse il commissario .
Io mi piazzerò qui a due metri dal tavolo di controllo, tenendo questo grande ombrello in posizione orizzontale davanti a me. Tu Durand, uscirai da dietro il tavolo di controllo ed andrai in direzione della porta automatica del garage, passandomi accanto. Tu Pauwels ti piazzerai dietro la porta automatica proprio in corrispondenza dell’ombrello e quando Durand la farà aprire ti precipiterai dietro l’ombrello e, quando io lo abbasserò, ne seguirai il movimento accucciandoti a terra e di lí striscerai sempre in ginocchio fin dietro il tavolo di controllo”. “Voi due” proseguì, rivolgendosi ai sorveglianti “ guardate lo schermo che avete sul tavolo, su cui apparirà un’immagine identica a quella che appare sullo schermo corrispondente della sala centrale di controllo, e ditemi che cosa vedete”.
Tutti gli interessati occuparono le posizioni che erano state loro assegnate e cominciarono ad agire seguendo le istruzioni.
“Che cosa avete visto?” chiese Van Kampenhout ai sorveglianti dopo la conclusione dell’esercizio”.
“Io ho visto lei con l’ombrello aperto ed il suo agente che si dirigeva verso la porta automatica, che si è aperta. Non so se il mio collega ha visto altro.”disse Brassens.
“Anch’io ho visto quello che dice il mio collega”confermò Delacourt.
“Quindi, nessuno di voi due ha visto l’agente Durand che entrava e strisciava per terra?”
“Certo che l’abbiamo visto” fece Delacourt “ma non sullo schermo”.
“Perfetto “concluse Van Kampenhout “Quindi è provato che, un oggetto di dimensioni sufficientemente grandi posto con una determinata angolazione ad una precisa distanza dalla telecamera può creare un “cono d’ombra” entro il quale una persona potrebbe entrare al Berlaymont senza essere notata dalle telecamere. Voi cosa ne dite?”.
“Se lei ha fatto l’esperimento ed i risultati sono questi, noi non abbiamo nulla da dire” rispose Brassens “ È lei che deve vedere a che cosa tutto questo può servirle per le indagini che sta facendo”.
“Non pensate che anche voi potreste esserne interessati?” domandò Van Kampenhout sornione.
“Non vedo proprio in che modo. Lei ha formulato una teoria, e va bene, ma dovrebbe anche spiegarci che cosa noi c’entreremmo in tutta questa faccenda. Non abbiamo ancora neppure capito bene su che cosa lei sta indagando.” rispose Brassens.
“Sapere su che cosa stiamo indagando non è essenziale, almeno per il momento. Per chiarire invece il legame tra voi due e questo esperimento basta osservare che, come ricorderete, questi sono esattamente i gesti che avete compiuto il venerdì sera al momento di prendere servizio”.
“Certo” si mise a ridere Brassens, dopo un istante,” venerdì sera pioveva a dirotto e quindi ho scosso l’ombrello per far schizzare via l’acqua come faccio sempre prima di metterlo ad asciugare. Se lei vuole andare a vedere le registrazioni delle telecamere potrà constatare che tutte le volte che piove io arrivo con l’ombrello e, qualche volta anche con l’impermeabile, e che apro e scuoto l’ombrello prima di metterlo ad asciugare. Non ho un garage e lascio sempre la macchina per strada dinanzi al condominio. Non voglio rischiare un bagno quando piove troppo forte. Lo so che i giovani d’oggi vanno a testa nuda sotto la pioggia, ma io sono un’eccezione. Che cosa posso farci?”.
“Ma c’è bisogno di un ombrello così grande?” domandò Van Kampenhout “ E poi, guardando la registrazione di venerdì sera non m’è sembrato che l’ombrello fosse molto bagnato:”
“Ho comprato un ombrello grande” spiegò paziente Brassens “ perché voglio poter andare in giro abbracciato alla mia ragazza anche quando piove e l’ho aperto e scosso bene anche venerdì, perché voglio asciugarlo bene, tutte le volte che posso, ed evitare che mi rovini i sedili della macchina”.
“D’accordo, d’accordo” acconsentì il commissario e rivolse lo sguardo verso Delacourt.
“Io sono andato in garage” si affrettò a dire quest’ultimo perché m’ero dimenticato di chiedere una cosa che mi interessava ad uno dei colleghi che avevano appena finito il turno e speravo di poterlo ancora trovare nel garage, ma ho visto che il suo posto macchina era già vuoto”.
“Però “ obiettò il commissario “ se i posti macchina riservati sono in numero limitato e se avevate appena visto che il vostro collega Brassens stava entrando, avreste dovuto capire che già aveva occupato il posto e che quindi l’altro se ne era già andato”..
Delacourt rimase un po’perplesso, come se stesse cercando una risposta. Poi disse, con sicurezza: “ Non potevo esserne sicuro. Capita a volte che uno chieda un passaggio ad un collega o che qualcuno venga in metrò. In questo caso, chi arriva con la macchina può trovare un posto libero anche se non tutti gli altri sono già andati via”.
“Voi state cercando di farmi credere che tutto era assolutamente in regola” disse il commissario, giocando la sua carta segreta “ ma avete dimenticato un piccolissimo dettaglio. La vostra sincronizzazione non è stata perfetta. Ripetendo l’esercizio, questo pomeriggio, abbiamo osservato che quando Durand era esattamente nella posizione in cui era stato filmato Delacourt al momento dell’apertura della porta, la porta non si apriva. Questo può voler dire una sola cosa: che la persona che doveva entrare di nascosto s’è avvicinata troppo alla porta e l’ha fatta aprire dalla parte del garage qualche decimo di secondo prima che Delacourt entrasse nel campo d’azione dei sensori che regolano l’apertura. Un’analisi accurata del filmato permetterà certamente di stabilire questo elemento”.
“Benissimo” rispose Brassens, a muso duro “Allora, non ci resta che attendere l’analisi del filmato e vedere le conclusioni che ne trarranno gli esperti”.
Van Kampenhout capì che era giunto ad una impasse. Era sicuro dell’esattezza della sua intuizione e sentiva per esperienza che i sorveglianti non erano pienamente a loro agio, che gli nascondevano qualcosa, ma si rendeva anche conto che non gli avrebbero detto niente. Quale che fosse il loro grado di coinvolgimento nella vicenda, qualsiasi ammissione rischiava di costare loro molto cara. Ed il loro grado di coinvolgimento doveva essere elevato, perché, se si fosse semplicemente trattato di lasciar passare una persona per qualche iniziativa senza rischio, ad es. per preparare uno scherzo nell’ufficio di un collega, non sarebbe stato necessario prendere molte precauzioni. Nessuno andava mai a verificare, controllando le riprese delle telecamere, che il numero di persone figurante sui registri degli ingressi corrispondesse esattamente a quello delle persone filmate o che il nome indicato sul registro ad una certa ora fosse proprio quello della persona filmata in quella stessa ora. Viceversa, la ricerca di questo complicato marchingegno dimostrava che la cosa era grave e che l’entrata della persona non doveva risultare nemmeno da un possibile esame dei filmati delle telecamere.
Mentre pensava a che cosa avrebbe dovuto fare, si accorse che Delacourt gli faceva un impercettibile cenno col capo indicando i due agenti che stavano un po’più distanti.
Capì che gli chiedeva di allontanarli e, pensando che volesse rivelargli qualcosa di confidenziale, disse ai suoi colleghi di andare pure a casa, lui sarebbe andato via subito dopo.
Quando fu rimasto solo coi due sorveglianti, Delacourt gli chiese con voce sommessa, mentre Brassens ascoltava silenzioso: “ Mi scusi, signor commissario, lei ci ha detto che sta conducendo indagini nell’ambito di un’inchiesta penale. Se è l’inchiesta per l’omicidio di cui si è letto nei giornali di stamattina, il fatto che lei intenda farci dichiarare che noi avremmo fatto qualcosa di collegato a quell’omicidio ci spaventa molto. Noi non ne sappiamo assolutamente nulla e non desideriamo essere coinvolti in una vicenda che può solo arrecarci danni”.
“È una giusta preoccupazione, ma avreste dovuto pensarci bene prima. Se, come io penso, la perizia tecnica del filmato dimostrerà che la porta automatica non poteva aprirsi dall’interno, perché nessuno di voi due era in quel preciso momento nel raggio d’azione dei sensori, dovrete spiegare in modo convincente la ragione per cui quando la porta s’è aperta non s’è visto entrare o passare nessuno.”
“Mi scusi ancora se mi ripeto” insistette caparbiamente Delacourt “ Se lei sta conducendo un’indagine penale, ciò significa che qualsiasi comportamento che non costituisca un reato non la interessa e che lei non lo menzionerà nel suo rapporto né ne parlerà con terzi, ad esempio con le autorità della Commissione”.
“Dipende.” rispose Van Kampenhout, che diventava sempre più attento “Nel caso specifico, anche supponendo che l’ingresso dissimulato della vittima al Berlaymont non faccia parte di un piano delittuoso, esso non potrebbe comunque essere taciuto nel ricostruire la dinamica del delitto. Per me potrebbe, al limite, essere irrilevante solo un illecito amministrativo o regolamentare che non avesse alcun collegamento con il delitto”.
“Per fare un esempio del tutto ipotetico” proseguì Delacourt” se venisse a risultare che la persona che è riuscita ad eludere i controlli, da sola o con eventuali aiuti, è l’amante del Direttore generale della concorrenza la quale desiderava incontrarlo a tarda sera nel suo ufficio del Berlaymont, lei riterrebbe questo fatto totalmente al di fuori della sua competenza e quindi del suo interessamento?”.
“Il caso mi sembra in effetti del tutto ipotetico, ma la risposta, anch’essa del tutto ipotetica, è affermativa “ rispose Van Kampenhout.
“Allora” riprese Delacourt, mentre Brassens, manifestamente a disagio guardava altrove” Sempre rimanendo nel campo della pura ipotesi, se qualcuno aiutasse un amico stupido che, con tutte le ragazze libere disponibili nei dintorni, si è incapricciato di una donna sposata, il cui marito fa il guardiano notturno e che è perciò libera solo di notte, ad incontrare questa donna, la cosa rientrerebbe nella sua inchiesta?”.
“No, di certo” rispose il commissario “Ma bisognerebbe essere sicuri che il caso non sia puramente immaginario e purtroppo non bastano le vostre affermazioni per fornirmi questa garanzia”
“ La signora di cui le ho parlato potrà fornirle la garanzia richiesta. Io ed il mio amico siamo disposti ad indicarle le sue generalità” concluse Delacourt, mentre Brassens, arrossiva violentemente “Naturalmente occorrerà procedere con la più assoluta discrezione”.
“Naturalmente procederò con la più assoluta discrezione” promise Van Kampenhout, ma aveva già capito che non ci sarebbe stato bisogno di alcuna verifica.
“Toglietemi una curiosità”domandò comunque ai due sorveglianti” Come vi arrangiate per farla uscire?”.
“Non ci costringa a rivelarle tutti i nostri segreti.” rispose Delacourt, mettendosi a ridere” Glielo diremo alla sua prossima inchiesta”.
Capitolo XV
INTERROGATORI AL BERLAYMONT
L’elegante cronometro da polso con data e giorno incorporati – una delle poche concessioni al lusso che si era fatto il commissario Van Kampenhout, il cui stile di vita era per tutto il resto molto austero - segnava le dieci meno dieci di martedì 22 maggio. Van Kampenhout alzò lo sguardo e fissò con un certo nervosismo la porta. Il giorno prima aveva incaricato Durand di convocare da lui per le ore 9.30 del mattino successivo il sig. von Waldenburg , ma oltre venti minuti erano già passati senza che nessuno si presentasse.
Guardò con tacita interrogazione nello sguardo Durand, che si strinse nelle spalle.
Alle dieci meno cinque si sentì bussare alla porta ed un von Waldenburg leggermente affannato entrò nell’ufficio.
“La prego di scusarmi, commissario” disse mentre riprendeva fiato (era evidente che doveva aver percorso il lungo corridoio a passo di corsa o quasi) “Sono passato un attimo nel mio ufficio prima di venir qui e, poi, ho trovato la strada bloccata da un incidente che m’ha fatto perdere almeno una ventina di minuti…Lei sa, come succede, quando ci si trova in mezzo ad un pasticcio del genere…non si può più andare né avanti né indietro e si può solo sperare che il traffico ricominci a scorrere il più presto possibile..”:
“Credevo che le rappresentanze permanenti avessero i loro uffici all’interno del Berlaymont” lo interruppe Van Kampenhout.
“No, no” rispose Waldenburg “ Ogni rappresentanza permanente ha la sua propria sede. La nostra è in Avenue Louise. Naturalmente, abbiamo degli uffici che sono stabilmente a nostra disposizione per non doverci spostare ad ogni momento quando ci sono le riunioni del Consiglio dei Ministri, nella sede del Consiglio in rue Ravenstein. Alla Commissione ci capita di rado di dover partecipare a qualche riunione o conferenza, ma anche qui, in previsione di questa eventualità, un ufficio è riservato stabilmente alle rappresentanze permanenti...un ufficio per ogni rappresentanza, è ovvio”.
“Ovviamente” gli fece eco Van Kampenhout “ Ma questo rende indispensabile che lei mi spieghi in modo convincente che cosa ci faceva qui al Berlaymont, dove lei viene molto di rado, proprio la sera in cui c`è stato un omicidio. Lei ne è al corrente, non è vero ?”.
“Certamente” rispose Hans-Heinrich, irrigidendosi” L’ho letto sui giornali di ieri mattina. Ma non ho pensato di dovermi presentare alla polizia per dichiarare che avevo visto nell’edificio la signorina Dombrowska. La cosa non mi sembrava particolarmente rilevante per le indagini e potevo quindi tranquillamente aspettare che mi convocaste come in effetti è avvenuto”.
“Lei quindi è venuto al Berlaymont venerdì sera espressamente per incontrare la signorina Dombrowska?” chiese perentorio Van Kampenhout, saltando direttamente ad una conclusione che non risultava affatto da quanto Waldenburg aveva appena detto.
L’altro parve un momento a disagio, poi ammise: “Sì, mi aveva chiesto se potevo passare un attimo qui al Berlaymont per vederla.”
“Molto interessante” replicò Van Kampenhout “ Quindi c’era già, se non mi sbaglio, tra lei e la signorina Dombrowska una familiarità tale da permettere alla signorina di darle appuntamento ad un’ora precisa, la sera, fuori del suo ufficio. Mi piacerebbe sapere come s’era creata questa intimità.”.
“No, no “ si affrettò a precisare Hans-Heinrich “ non c’era con la signorina Dombrowska alcuna intimità né nel senso che intende lei né in senso più lato. L’avevo conosciuta qualche mese fa al ricevimento dell’ambasciata polacca per il Giorno dell’Indipendenza. Io ho passato parecchi anni in Polonia quando ero ragazzo, perché mio padre Hans-Wolfram von Waldenburg fu ambasciatore a Varsavia nei primi tempi successivi al ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica federale e la Polonia. Ho molti contatti con amici e con istituzioni polacche, perché, tra l’altro, parlo abbastanza bene la lingua. È una tradizione di famiglia. Anche mio nonno Fridolin parlava bene il polacco. Ma non lo nomino mai nelle conversazioni con gli amici polacchi – e, nel dir questo fece un sorriso con l’aria di chi si sente colpevole e domanda tacitamente comprensione- perché comandava uno squadrone di Panzer nella campagna del settembre 1939, prima di essere trasferito sul fronte francese con Guderian…”.
Van Kampenhout fu preso improvvisamente da una sfrenata voglia di ridere. Fridolin gli faceva l’effetto di un nome inventato per scherzo, gli richiamava alla mente, per chissà quali nascoste associazioni di idee, un clown con il naso rosso che riceve una torta in faccia. Poi pensò che Fridolin von Waldenburg alla testa di uno squadrone di Panzer doveva essere sembrato tutt’altro che ridicolo a chi gli si era trovato di fronte nelle pianure polacche nei primi giorni di quel lontano mese di settembre e riuscì a contenersi, anche se a prezzo di un notevole sforzo che cercò di non far notare al suo interlocutore.
“Non dilunghiamoci sulla storia della sua famiglia, che è certamente molto interessante, ma che purtroppo non ci riguarda in questo momento “ disse con voce volutamente grave “ e ritorniamo ai suoi rapporti con la vittima, la signorina Malgorzata Dombrowska? M’ha detto che l’ha conosciuta ad un ricevimento dell’ambasciata polacca. Ma poi, evidentemente, la conoscenza è stata approfondita”.
“A dire il vero”ammise Hans-Heinrich “ Io mi sarei accontentato delle quattro chiacchiere fatte all’ambasciata. La signorina Dombrowska era simpatica e, devo dire, di bell’aspetto, ma non suscitava in me alcun particolare sentimento. Tra l’altro, ho da qualche tempo una relazione seria con la signorina Schönhofen, un’impiegata della nostra rappresentanza, e non sentivo alcun bisogno di approfondire i rapporti con altre ragazze.
Però la signorina Dombrowska, quando ha saputo che conoscevo bene anche il polacco, ha cominciato ad assillarmi chiedendomi di aiutarla a rifinire la sua tesi di laurea. Era diplomata in interpretariato, ma s’era iscritta da qualche anno alla facoltà di storia dell’Università Jagellonica di Cracovia e stava lavorando ad una tesi sugli atti e documenti riguardanti la fase preparatoria della prima spartizione della Polonia conservati negli archivi russi, austriaci e prussiani. Dovendo esaminare parecchi documenti redatti nel tedesco della seconda metà del Settecento ed in cui venivano menzionati titoli, cariche e situazioni della Prussia dell’epoca riteneva di aver trovato in me il migliore consulente. Non ho osato, per cortesia, dirle che non aveva alcuna voglia di occuparmi di queste cose. È venuta parecchie volte a trovarmi alla Rappresentanza per farmi esaminare le fotocopie di antichi documenti, e venerdì sera mi ha telefonato in ufficio per pregarmi insistentemente di passare un momento da lei al Berlaymont verso le 21.20. Doveva assolutamente inviare il testo definitivo al relatore entro la settimana successiva e desiderava che controllassi l’esattezza della traduzione di alcune citazioni dal tedesco dell’epoca di Federico il Grande”.
“E lei non ha saputo dire di no” commentò Van Kampenhout “ e poi, che cosa avete fatto?”
“Sono stato nel suo ufficio una ventina di minuti per vedere insieme i passi di più difficile interpretazione, poi siamo usciti e siamo saliti insieme nell’ascensore. La signorina Dombrowska ha premuto il pulsante del quindicesimo piano perché doveva incontrare qualcuno che aveva lì il proprio ufficio. Quando è uscita dall’ascensore, io ho premuto il pulsante per scendere al pianterreno. Erano più o meno le 21.45. M`è sembrata assolutamente normale, salvo il fatto che fosse un po’agitata per la tesi. Riteneva che la laurea le avrebbe aperto prospettive di carriera molto più interessanti e voleva quindi concludere il suo lavoro al più presto”.
“Grazie, signor von Waldenburg” disse il commissario “ Mi risulta tuttavia che lei abbia lasciato il Berlaymont solo alle 22.45. Potrebbe dirmi che cosa ha fatto in quell’ora?”
“Volentieri” rispose von Waldenburg” Dopo aver lasciato la signorina Dombrowska, ho pensato di passare nell’ufficio messo a nostra disposizione dalla Commissione, che si trova al 5° piano, per dare un’occhiata ad alcuni dossier, che avevano già costituito oggetto di una discussione qualche giorno fa, e che avevo lasciato lì in previsione del prossimo incontro con i funzionari della Commissione. Per una disattenzione che non so spiegarmi sono invece finito al 6° piano ed ho percorso macchinalmente un buon tratto di corridoio prima di accorgermi che stavo aprendo la porta di un ufficio che non era quello riservato alla nostra rappresentanza permanente. Ho quindi impiegato parecchio tempo per raggiungere il mio ufficio,dove mi sono trattenuto circa tre quarti d’ora. Nessuno mi ha visto e nessuno potrà quindi confermare dove io fossi in quel periodo di tempo”.
“La signorina Dombrowska è uscita dl Berlaymont alle ore 22.35. Lei potrebbe ancora averla incontrata fuori dell’edificio” osservò il commissario.
“Su questo punto posso essere formale” replicò deciso von Waldenburg “Guardando il registro degli ingressi, al momento di uscire dal Berlaymont, ho visto, subito sotto il mio nome, il nome della signorina Schönhofen ed ho capito che mi stava pedinando. Volendo evitare una spiacevole spiegazione,ho preso uno dei taxi che stazionano abitualmente al di là le piazzale e mi sono fatto portare al Circolo del Bridge, dove sono rimasto fin dopo la mezzanotte. Ho spento il telefonino. In seguito sono rientrato a casa e mi sono messo a letto. Il mattino seguente mi sono alzato alle 7, come al solito, e mi sono recato al maneggio per la mia cavalcata quotidiana”.
Può andare. Se avremo ancora bisogno di lei, glielo faremo sapere”.
“Lei sa per quale motivo l’ho convocata qui?” chiese il commissario Van Kampenhout alla signorina Ursula Schönhofen, dopo averla fatta gentilmente accomodare dinanzi alla sua scrivania.
“Sì, ho visto ieri sera un servizio della televisione ed ho subito capito che mi sarebbe stato chiesto se avevo notato qualcosa mentre ero al Berlaymont”.
“Desidererei anzitutto domandarle perché lei era al Berlaymont venerdì sera” la interruppe Van Kampenhout.
“Non ho alcuna difficoltà a dirglielo. Stavo pedinando un mio collega della rappresentanza permanente, il signor von Waldenburg. Abbiamo una relazione stabile da parecchio tempo, ma negli ultimi mesi mi era sembrato che si comportasse in modo sempre più sfuggente verso di me…”
“Che cosa glielo faceva pensare ?” chiese Van Kampenhout.
“Ecco, negli ultimi tempi, avevo spesso visto passare nei corridoi della rappresentanza una ragazza che dall’aspetto sembrava essere originaria di uno dei nuovi Stati membri e dopo un po’ mi ero resa conto che si recava dal signor von Waldenburg”
“Aveva qualche particolare motivo di essere gelosa? Può essere benissimo che la ragazza avesse qualche pratica da svolgere presso la rappresentanza.” osservò il commissario.
“ Non credo” rispose decisa la signorina Schönhofen “ Se avesse avuto qualche pratica da svolgere, sarebbe stato aperto un dossier e qualche documento- se non altro una lettera o una nota da battere a macchina- sarebbe finito sul tavolo delle segretarie.
Del resto Hans-Heinrich, quando gli ho chiesto che cosa venisse sempre quella ragazza a fare da lui, mi ha risposto che l’aveva conosciuta ad un ricevimento dell’ambasciata polacca e che la ragazza gli aveva chiesto di aiutarla a decifrare alcuni vecchi documenti tedeschi per la sua tesi di laurea, cosa che lui, per gentilezza, non aveva osato rifiutare. Però, io dubito di questa spiegazione. Quando usciva dall’ufficio, la ragazza aveva sempre un’aria tesa, incattivita. Io non sono mai andata all’università, però mi pare strano che una tesi di laurea, per quanto laboriosa e complicata, possa avere effetti così disastrosi sull’umore della gente. A maggior ragione questo valeva per Hans-Heinrich, che, non avendo nessun interesse in questa tesi, non avrebbe dovuto subirne nessun effetto. Invece, se mi capitava di vederlo subito dopo le visite della ragazza, si notava a vista d’occhio che era agitato, nervoso, distratto, di pessimo umore. Mi ero convinta che avesse avviato una tresca con lei, sicuro che la cosa non avrebbe avuto seguito, e che invece la ragazza stesse ora insistendo pesantemente perché lui si impegnasse e che, proprio per questo, venisse a perseguitarlo persino nel suo ufficio.
Lo sorvegliavo quindi con molta più attenzione di prima ed una volta avevo anche seguito con cautela la ragazza, quando era uscita dalla rappresentanza, e mi ero accorto che entrava al Berlaymont.
Così l’altra sera, quando Hans-Heinrich m’ha detto che non poteva passare la serata con me, perché aveva degli incontri di lavoro al Berlaymont con dei funzionari della Commissione, non ho potuto resistere ai sospetti e l’ho pedinato con discrezione.
L’ho visto entrare al Berlaymont. Sono entrata subito dopo di lui ed ho fatto in tempo a vedere che l’ascensore lo portava al tredicesimo piano.
Sono salita subito prendendo un altro ascensore fermo al pian terreno, ma ovviamente avevo un ritardo di almeno un minuto rispetto a lui e quando sono arrivata al tredicesimo piano il corridoio era già deserto. Ho seguito una freccia che indicava la divisione polacca ed ho percorso lentamente il corridoio finché non ho sentito il suono di voci concitate provenire da un ufficio.. Ho letto il nome sulla targhetta della porta: Malgorzata Dombrowska. Non ho avuto dubbi che fosse la stessa ragazza che veniva a trovare Hans-Heinrich alla rappresentanza permanente. Mi sono nascosta nell’ufficio accanto aspettando che uscissero. Li sentivo parlare a voce alta, ma non capivo nulla di ciò che si stavano dicendo. Dopo una ventina di minuti ho sentito la porta aprirsi e, dal mio nascondiglio, li ho visti passare nel corridoio e dirigersi verso l’ascensore. Non ho capito che cosa dicessero perché parlavano polacco, ma ho notato che anche questa volta avevano un aspetto serio, teso, nervoso.
“Se quando si incontrano hanno sempre una faccia così” mi sono chiesta tra me “ perché continuano a vedersi?”.
Quando sono saliti sull’ascensore, mi sono precipitata a guardare dove andavano ed ho notato con stupore che l’ascensore saliva al quindicesimo piano. Ho dovuto chiamare un altro ascensore, perché quello con cui ero salita era stato nel frattempo chimato da qualcun altro, ed ho dovuto attendere quasi un minuto prima che giungesse. Nel frattempo ho visto che il primo ascensore si dirigeva ora verso il rez de chaussé. Non sapevo più cosa fare. Ho premuto il bottone del quindicesimo. Quando l’ascensore si è aperto, sbirciando dalla porta, ho visto nel corridoio un uomo alto, massiccio, che, sentendo il rumore della porta si è voltato ed è venuto verso di me.
“Cerca qualcosa, signorina?” mi ha chiesto con aria accigliata. “No, no” ho risposto subito, mentre mi sentivo invadere da un senso di disagio e di paura “ Cercavo l’ufficio di un amica che mi ha dato appuntamento qui”. “Posso aiutarla?” mi ha chiesto l’uomo, ma con un tono come se volesse dirmi “togliti subito dai piedi, per favore”. “No, no, grazie. Credo di aver sbagliato piano. Scendo al pian terreno per controllare con i sorveglianti il numero d’ufficio della mia amica” ho balbettato, rientrando rapidamente nella cabina dell’ascensore, mentre l’uomo non accennava a muoversi.
Arrivata al pianterreno, mi sono avvicinata al bancone dei sorveglianti ed ho chiesto se avevano visto uscire qualcuno.Mi hanno risposto di no. Hans-Heinrich era dunque ancora all’interno dell’edificio, ma non sapevo dove fosse andato. Avrei potuto nascondermi nel corridoio vicino all’ufficio prestato alla rappresentanza permanente della Repubblica federale, ma non potevo di certo aprirne la porta per verificare se lui era lì, e, se lui fosse stato altrove, sarebbe potuto uscire dal Berlaymont mentre io aspettavo senza che me ne accorgessi. Al primo piano del Berlaymont, c’è un corridoio munito di ampie vetrate dalle quali si può controllare tutta la hall d’ingresso. Mi sono piazzata lì e quando, alle 22.45 ho visto uscire Hans-Heinrich mi sono subito precipitata giù, ma, arrivata sul piazzale, ho visto soltanto un taxi che stava partendo. Il portatile di Hans-Heinrich era spento. Sono andata fino al suo appartamento ed ho bussato, ma nessuno mi ha aperto. Sono riuscita a rintracciarlo solo il sabato mattina. Gli ho detto tutto ciò che meritava, ma non sono riuscito a farlo confessare. Però sono sempre più convinta che c’è qualcosa dietro: forse non è una relazione sentimentale, come avevo sospettato all’inizio, ma è certamente qualcosa di poco chiaro. Questo è tutto quanto posso dirle” concluse Ursula Schönhofen.
“La ringrazio per la sua testimonianza, signorina” le rispose il commissario “ Per il momento non ho altro da domandarle”.
Per concludere la mattinata, Van Kampenhout pensò che avrebbe potuto interrogare l’amica della vittima, Vera Zadonskaya, che doveva ormai essersi ripresa dallo shock.
Le telefonò in ufficio e Vera gli rispose che ora si sentiva meglio e che era disponibile per un incontro.
Una ventina di minuti dopo Vera Zadonskaya si presentava alla porta dell’ufficio in cui si era installato il commissario.
“Entri pure, signorina, e si accomodi” le fece Van Kampenout “Come sta? È sempre un’esperienza sconvolgente perdere una persona con cui si viveva insieme da parecchio tempo e che condivideva un po’ i segreti della nostra vita. Se non erro, lei coabitava con la vittima da molto tempo?”.
“`Sì” rispose Vera, a bassa voce “ Non riesco ancora a rendermi conto di che cosa è successo. Mi sembra impossibile, incredibile. Eravamo un gruppo di ragazze molto affiatato, ma con Malgorzata l’intesa era migliore che con le altre, forse anche a causa della lingua. Malgorzata parlava con facilità il russo. S’era quindi creata fra di noi una certa complicità rispetto alle altre due. Irina e Monika non sono in grado di esprimersi correntemente in russo. Ci intendiamo in inglese o in francese, ma c`è meno confidenza. Con Malgorzata era un’altra cosa”.
“Lei conosceva molto bene la vittima? C`è qualche elemento nella sua vita di cui lei è a conoscenza che potrebbe essere rilevante per l’indagine?”chiese il commissario.
“Credo proprio di no” rispose Vera, dopo aver ben riflettuto” Malgorzata conduceva una vita normalissima e non mi sembra assolutamente, per quanto posso sapere, che ci fossero zone d’ombra nella sua esistenza. Poteva sembrare esuberante, amava divertirsi e vestirsi qualche volta in modo provocante – lo faccio anch’io sa, nei paesi da cui veniamo è tutto così grigio e monotono, sentivamo veramente il bisogno di distinguerci, di farci notare. Talvolta ci scambiavamo anche una camicetta un po’ vivace, una minigonna, un cappello particolarmente originale. Solo per le scarpe non ho mai potuto farlo né con lei né con le altre : io porto il numero 38,5 e lei aveva il 38, Monika ha il 37,5 ed Irina, lasciamo perdere, ha il 36. Non sorrida, commissario. Anche se qualche volta ci vestiamo in modo un po’ osé, non siamo fanciulle perdute. Posso assicurarle che Malgorzata era una brava ragazza. Anzi il più delle volte era vestita con semplicità e buon gusto. È vero che sapeva di essere bella e si divertiva a civettare. Tutti la guardavano e, se qualche dirigente o funzionario anziano la corteggiava, lei lo lasciava fare, ma non si impegnava mai. Del resto, non si impegnava mai neanche con i giovani. Era uscita un po’con un giovane avvocato greco del servizio giuridico, Nikos Papageorgios, ma s’era presto stancata, ed ora faceva spesso jogging con uno stagiaire italiano Giandomenico Scannabue. Nikos se l’era presa moltissimo – sa come sono fatti i greci – e le faceva tremende scenate, minacciando sfracelli, ma lei non se ne preoccupava molto. Secondo me, era in fondo una ragazza semplice, che sarebbe stata felicissima di fare un bel matrimonio tradizionale”
“Aveva ambizioni di carriera?” le domandò il commissario.
“Tutti quelli che vengono a Bruxelles hanno ambizioni di carriera, almeno all’inizio” rispose Vera “ ma non è che Malgorzata pensasse alla carriera molto più degli altri. Però stava attenta, per esempio, ai rapporti informativi. Non era stata molto soddisfatta del rapporto informativo redatto dal suo capodivisione e mi aveva detto che ne avrebbe voluto parlare al direttore. Negli ultimi giorni l’avevo vista spesso nella sua camera mentre scriveva, penso che stesse preparando un reclamo”.
“Lavorava molto per la sua tesi di laurea, mi hanno detto” osservò il commissario “Pensava che una laurea avrebbe potuto agevolarla parecchio nella carriera?”.
“A dire il vero, non ho mai avuto questa impressione” rispose Vera “ Certo, era diplomata alla Scuola interpreti e s’era iscritta da qualche tempo ai corsi di laurea in storia dell’Università di Cracovia. Stava preparando una tesi sulla prima spartizione della Polonia e qualche volta mi chiedeva di aiutarla a decifrare qualche termine in antichi documenti russi, perché sapeva che ero laureata in slavistica. Però non mi è mai parso che avesse fretta di concludere. Che io ricordi, non ha mai rinunciato a passare una serata con gli amici per studiare e quando una volta, un paio di mesi fa, le ho chiesto come procedeva la sua tesi, m’ha risposto ridendo che non era di certo la sua prima preoccupazione”.
“La vittima non ha mai avuto contrasti con lei o con le altre colocatarie?” la interrogò il commissario “ C’erano rivalità di carriera o rivalità amorose?
“No, assolutamente. Come le ho detto, eravamo in grande confidenza e ci raccontavamo tutto: le nostre storie, i nostri problemi, le nostre difficoltà.
Ci poteva essere, di tanto in tanto, qualche litigio perché una non si era data abbastanza da fare quando era il suo turno delle pulizie o perché un’altra aveva lasciato la cucina un po’in disordine, ma erano liti che finivano subito e che non lasciavano strascichi. La colpevole prometteva di correggersi e tutto finiva lì. C’era una regola tacita di non far entrare mai nessun estraneo in casa senza avvertire le altre ed era assolutamente vietato introdurre qualcuno nell’appartamento durante la notte.
Rivalità di carriera non ce ne sono perché lavoriamo tutte in servizi o divisioni diverse. Quanto all’amore, è vero che Malgorzata era uscita con Nikos dopo che questo era stato invitato da Irina a prendere un caffè a casa nostra, ma avevamo capito tutte che tra Nikos ed Irina non c’era ancora stato niente e la stessa Irina non aveva mai rimproverato Malgorzata di averle fatto un torto. Per questo, non riesco proprio a vedere un collegamento del delitto col modo di vivere di Malgorzata, e meno che mai col suo comportamento in casa”.
“Ha mai sentito parlare del signor von Waldenburg” chiese ancora il commissario.
“No” rispose Vera “Non ho alcuna idea di chi possa essere”.
“La ringrazio”disse il commissario” Le informazioni che mi ha fornito mi saranno molto utili per l’inchiesta”.
In realtà, gli sembrava che il quadro che si veniva delineando diventasse più complicato ad ogni successiva deposizione.
Capitolo XVI
. MIA FATSA, MIA RATSA
Il Direttore Adalberto Lopez Garrido ed il Direttore Generale René Paleron avevano fatto sapere al commissario, tramite le rispettive assistenti di direzione, che le grandi responsabilità ed i continui impegni non permettevano loro di assentarsi nemmeno per un attimo dal loro ufficio e che non avrebbero quindi potuto recarsi da lui, neppure per una ventina di minuti, senza rischiare di apportare un grave pregiudizio alle attività della Commissione. Non appena avessero avuto un minuto libero – molto probabilmente non prima del tardo pomeriggio – glielo avrebbero però comunicato ed il commissario sarebbe stato di sicuro così comprensivo da passare nel loro ufficio a raccogliere la loro deposizione.
Van Kampenhout che non aveva nessuna voglia di entrare in conflitto con le gerarchie comunitarie e che, nel suo intimo, guardava con benevolo compatimento a queste “manie di grandezza” di cui non soffrivano soltanto i dirigenti della Commissione, non ebbe alcuna difficoltà ad assicurare le premurose assistenti che capiva benissimo quanto fosse intensa e laboriosa la giornata dei loro capi e che sarebbe stato contentissimo di essere ricevuto in un breve intervallo tra un impegno e l’altro, in quanto era sicuro che gli alti funzionari non potevano comunque essere implicati in una così squallida vicenda.
In attesa della telefonata delle assistenti decise di impegnare le prime ore del pomeriggio ascoltando i “giovani” che si erano trovati al Berlaymont la sera del delitto.
Giandomenico Scannabue, lo stagiaire del Servizio delle Pubbliche Relazioni entrò nell’ufficio con passo deciso e con un leggero sorriso sul volto. Era un bel ragazzo atletico, che emanava tutta la cordialità tipica dei romagnoli, e si vedeva che la sua spontanea allegria riaffiorava inconsciamente anche in un’occasione come questa, in cui le convenzioni della vita sociale e la ragione imponevano di assumere un atteggiamento triste e compunto.
Il commissario decise di trarre subito vantaggio da questa circostanza e gli domandò a bruciapelo: “Non mi sembra molto addolorato dalla scomparsa della sua collega ed amica, signor Scannabue, non è vero?”.
Il ragazzo arrossì, ma replicò prontamente: “ Certo che mi è dispiaciuto molto, commissario, e ne ho sofferto, ma la vita continua e, come si dice dalle nostre parti, “il morto giace ed il vivo si dà pace”. Malgorzata era una ragazza vivace, allegra e simpatica. Ci incontravamo volentieri per parlare, per fare jogging o per fare una passeggiata nel Bois de la Cambre con un gruppo di amici, ma tra noi c’era solo una semplice, spontanea amicizia, ed il rincrescimento che io riesco a dimostrare è solo quello di chi ha perduto una collega ed un’amica con cui era in buoni rapporti…mi dispiace ma non riesco a recitare la parte dell’amico inconsolabile…mi sembrerebbe ipocrita, e sleale nei confronti di quella povera ragazza”.
“Se i vostri rapporti erano così superficiali... “ proseguì il commissario.
“Non ho detto affatto che erano superficiali” precisò il ragazzo con voce un po’ alterata, cercando di non lasciarsi prendere dall’irritazione “ Ho detto che erano rapporti franchi e spontanei, il che non vuole affatto dire che fossero superficiali, anche se non erano rapporti affettivi né di carattere sessuale …se è questo che lei intendeva dire”.
“Mi scusi se mi sono espresso male” si affrettò a dire Van Kampenhout” Intendevo solo domandarle perché lei si trovava qui il venerdì sera della settimana scorsa, proprio nelle ore in cui la povera signorina Dombrowska è stata uccisa. Mi è stato riferito che lei conosceva bene la vittima ed è per questo che ho pensato che la sua presenza al Berlaymont non potesse essere casuale”.
“E’ vero “ riconobbe Giandomenico Scannabue “Poiché, come vedo, lei è già bene informato, è inutile che le dica che la povera Malgorzata aveva già subito qualche scenata di gelosia da parte di Nikos Papageorgios, quel ragazzo greco che lavora al Servizio giuridico. È andato una volta a prendere il caffè a casa sua, invitato da Irina, una delle ragazze che abitava con lei, l‘ha vista, le ha offerto un paio di caffè e l’ha accompagnata due o tre volte a far compere nelle boutique dell’Avenue Louise e s`è convinto che lei dovesse innamorarsi pazzamente di lui. Lei non aveva mai fatto nulla che potesse minimamente illuderlo, ma lui non s`è neanche accorto che lei non gli dava corda, s’è infiammato in un istante, ed è diventato possessivo, importuno, geloso. Questi greci sono fatti così. Dicono “mia fatza, mia ratza” per farci credere che siamo tutti uguali, ma non è vero. Non sono aperti come noi della Bassa Padana, sono primitivi, gelosi, vendicativi , fanno chiassate per qualsiasi sciocchezza. Se proprio vogliono dire “mia fatza, mia ratza”, allora facciano il paragone…” ma si fermò di colpo, accorgendosi con spavento, che il suo discorso stava diventando politicamente scorretto.
La sua preoccupazione era però del tutto inutile, perché il commissario Van Kampenhout, al quale nessun greco aveva mai detto “mia fatza, mia ratza”, era completamente insensibile a questa problematica ed assolutamente indifferente alla questione delle affinità e delle diversità tra i popoli mediterranei.
“Bene” riprese con calma il commissario “Ora, cerchi di non divagare e veda di spiegarmi per quale ragione lei si trovava al Berlaymont proprio nelle ore in cui era presente anche la vittima”.
“La ragione è molto semplice “ spiegò con assoluto candore Giandomenico Scannabue “Era lei che mi aveva chiamato. Come le ho detto, aveva subito un paio di terribili scenate da Nikos, con incredibili minacce, cui ovviamente non aveva prestato fede, ma che l’avevano comunque un po’scossa. Da qualche giorno aveva avuto ogni tanto come un’impressione di essere seguita da lontano, pedinata in modo più o meno discreto, ed una volta o due le era parso di scorgere ad una certa distanza, un uomo che cercava di mimetizzarsi tra la folla e che avrebbe potuto essere Nikos. Anche il venerdì pomeriggio aveva avuto questa impressione, ma, pur voltandosi più volte, non era riuscita a scorgerlo. Però, verso le 20.30 guardando dalla finestra del suo ufficio al Berlaymont proprio sul piazzale, lo aveva riconosciuto, senza il minimo dubbio, mentre attraversava il piazzale per entrare nell’edificio. Allora mi aveva telefonato per chiedermi aiuto”.
“Che aiuto avrebbe potuto darle” osservò dubbioso il commissario “ se il signor Papageorgios fosse stato realmente animato da cattive intenzioni? In qualunque posto lei si trovasse, salvo che non fosse proprio nelle immediate vicinanze, non sarebbe potuto giungere al Berlaymont prima di un quarto d’ora”.
“Ha perfettamente ragione, commissario. Ed infatti, è quello che ho detto alla povera Malgorzata, consigliandole di scendere subito nella hall e di avvertire i sorveglianti, ma mi ha risposto che non aveva nessun elemento concreto per convincere i sorveglianti dei suoi sospetti e che comunque voleva evitare uno scandalo. Allora le ho detto che poteva essere pericoloso rimanere nel suo ufficio e lei mi ha risposto
che aveva scovato un nascondiglio sicuro, dove Nikos non l’avrebbe mai trovata, e di chiamarla subito sul telefonino non appena fossi arrivato al Berlaymont.”
“Poi che cos’è successo ? domandò Van Kampenhout, incuriosito.
“Non appena entrato al Berlaymont l’ho chiamata sul telefonino e lei m’ha detto di salire subito al suo ufficio, al tredicesimo piano. Quando sono uscito dall’ascensore l’ho trovata nel suo ufficio; ne ho dedotto che il suo nascondiglio non doveva essere lontano se era riuscita a rientrare nel suo ufficio nel minuto scarso che io avevo impiegato per salire con l’ascensore dalla hall al tredicesimo piano. Mi ha ringraziato molto di essere così rapidamente venuto in suo soccorso e poi mi ha chiesto se potevo farle un grande favore.Doveva vedere un paio di persone, di quelle importanti che hanno sempre troppo da fare e che sono libere soltanto la sera, perché aveva qualche problema legale ed inoltre aveva delle difficoltà con il rapporto informativo, e perciò le avrebbe fatto piacere che io l’accompagnassi fino all’ufficio di queste persone, per essere sicura di non incontrare Nikos da sola durante il cammino e che poi rimanessi discretamente di guardia all’angolo del corridoio per vedere chi si avvicinava . Sapeva che mi chiedeva veramente troppo, ma sapeva anche che ero così gentile, così generoso….”.
“In questo modo, lei si è sentito sollecitato a svolgere il suo ruolo di maschio forte e coraggioso, difensore dei deboli e dei perseguitati, e si è ritrovato a fare gratuitamente la guardia del corpo per tutta la serata, non è vero?” osservò con un briciolo di perfidia Van Kampenhout.
“Sì, è vero “ dovette ammettere a malincuore il buon Giandomenico” “E l’agenda della povera Malgorzata era veramente fitta. L’ho accompagnata subito da uno che si chiama de Gubernatis al quindicesimo piano, ma l’ho vista uscire di corsa dopo non più di cinque minuti. Mi ha detto che s’era sbagliata e che quel tizio non aveva proprio alcun parere da fornirle. Poi mi ha chiesto di nascondermi nella stanza accanto al suo ufficio, perché doveva incontrare uno che veniva di fuori, un tedesco della Rappresentanza permanente, un certo Waldenburg. Verso le 21.40, sono usciti insieme dall’ufficio e li ho visti prendere l’ascensore. Ho constatato che l’ascensore si dirigeva al quindicesimo piano. Sconcertato e, non sapendo più che cosa fare, sono salito un attimo al mio ufficio, al Servizio delle Pubbliche Relazioni, al sedicesimo piano. Aspettavo che mi telefonasse, ma, dopo mezz’ora, non si era ancora fatta viva e cominciavo ad inquietarmi.
Ad un certo punto, mi è venuto il sospetto che se ne fosse andata via da sola, per conto suo. Sono sceso e mi sono avvicinato al registro delle entrate e delle uscite per dare un’occhiata. Malgorzata Dombrowska, risultava essere uscita da meno di un minuto, alle 22.35. Mi stavo domandando perché se ne fosse andata così di fretta senza neanche salutarmi, dopo che mi ero così scomodato per lei, quando ho visto uscire da uno degli ascensori Nikos, che mi si è avvicinato correndo. “Dov’è Malgorzata?” mi ha urlato in faccia, senza tanti complimenti.”.
Era tutto rosso in viso ed estremamente eccitato. “Dovresti saperlo meglio tu, che la stai pedinando da una settimana”” gli ho risposto a muso duro. “Io ti spacco, la faccia”. “Giù le mani” gli ho risposto deciso” Se vuoi fare a botte sono sempre disponibile. Non è a uno come me che verrai ad insegnare come ci si prende a pugni”, mentre i sorveglianti ci guardavano con una certa preoccupazione. La mia reazione lo ha un po’calmato.
“La stavo cercando al piano della Direzione della traduzione nel tratto della divisione polacca” mi ha detto “ Ad un certo punto l’ho intravista molto lontano, a metà del corridoio, proprio di fronte agli ascensori. Anche lei deve avermi visto, è salita subito su un ascensore ed è venuta giù. Dov’è ?
Allora ho capito che Malgorzata doveva averlo visto, nello stato di eccitazione in cui anch’io lo vedevo adesso, ed essere scappata subito a gambe levate. “ È corsa subito a casa ed ha fatto bene, visto l’energumeno che rischiava di trovarsi di fronte” gli ho detto, indicandogli col dito il nome di Malgorzata sul registro delle uscite. Poi ho cercato di uscire rapidamente, ma lui vi è venuto dietro e mi ha bloccato per dieci minuti sul piazzale tra dichiarazioni, pianti, insulti e minacce. Quando sono riuscito a liberarmene ho provato a telefonare a Malgorzata, ma il telefonino era staccato. Ho pensato che l’avesse staccato per non essere assillata da Nikos e mi sono detto che in ogni caso doveva ormai essere a casa e che Nikos non avrebbe osato presentarsi a casa sua in piena notte, con il rischio che le amiche chiamassero subito la polizia. Così mi sono messo l’anima in pace e sono andato a dormire, perché il mattino dopo avevamo appuntamento per il jogging. Non l’ho trovata ed ho pensato che fosse andata a dormire da qualche amica per sfuggire alla persecuzione di Nikos. Ero un po’inquieto e non pensavo certamente che sarebbe finita così. Ma se è stato lui, come ha fatto a rientrare e a riportarla dentro il Berlaymont?”.
“Calma, giovanotto” lo interruppe Van Kampenhout “Qui, le indagini le faccio io e le conclusioni le traggo io. Non abbiamo finora nessun elemento per affermare che il signor Papageorgios sia più sospetto di qualsiasi altra persona presente sui luoghi, lei compreso. La sua deposizione mi è stata comunque molto utile e la ringrazio. Resti a nostra disposizione e non si allontani da Bruxelles nei prossimi giorni.”.
Mentre Giandomenico Scannabue si alzava e salutava un po’rigido e come frastornato dalla secca replica di Van Kampenhout, quest’ultimo cominciò a riflettere sugli elementi risultanti dalla deposizione. La testimonianza dello stagiaire era coerente con le precedenti deposizioni e non portava nessuna novità di rilievo. Tutto esaltato dal suo ruolo di nobile protettore della fanciulla contro le intemperanze del greco, Giandomenico aveva però completamente trascurato una domanda che il commissario s’era invece posta subito: chiedendo a Giandomenico di farle da guardia del corpo contro le eventuali minacce di Nikos la ragazza non aveva in realtà inteso assicurarsi una sorta di protezione contro possibili pericoli provenienti da qualcuno degli uomini con cui doveva incontrarsi quella sera?
“È un punto che sarà necessario approfondire per bene” pensò il commissario “Sentiamo ora l’altra campana”.
Capitolo XVII
MEDITERRANEO O BALCANICO?
Nikos Papageorgios, si presentò al commissario Van Kampenhout con un atteggiamento estremamente calmo e moderato che sembrava di tutto incompatibile con le smargiassate che il commissario aveva sentito raccontare. Appariva piuttosto abbattuto ed il suo aspetto era dimesso e quasi compunto.
Aspettò in piedi che il commissario lo invitasse espressamente a sedersi e con voce appena udibile disse “Grazie, signor commissario”.
“Che cosa le è successo, signor Papageorgios?” gli domandò, leggermente ironico, il commissario “Ho sentito che appena quattro giorni fa lei voleva compiere massacri ed ora che qualcuno è veramente stato ucciso la vedo qui tremante come un pulcino bagnato”.
“Non scherzi, signor commissario” gli rispose il giovane greco, con aria di muto rimprovero “Sono veramente abbattuto ed ho sofferto enormemente per la morte della povera Malgorzata. Non so se lei mi volesse bene, ma io me ne ero follemente innamorato e non capivo più niente. Ma da questo ad ucciderla, c`è di mezzo l’oceano. Ho detto un mucchio di sciocchezze e me ne pento. Ho fatto una quantità di piazzate che – adesso me ne rendo perfettamente conto – avrei potuto e dovuto evitare. Ma non sono un assassino”.
“Non sto affatto dicendo che lei sia un assassino, signor Papageorgios. Ma lei ha fatto tutto il possibile per attirare i sospetti su di sé. La sera stessa del delitto, alle 22.36, lei è stato visto dal sig. Scannabue in stato di estrema eccitazione mentre cercava la signorina Dombrowska. Chi potrebbe escludere che lei sia riuscito a ritrovarla fuori del Berlaymont e che, in un momento di rabbia, non l’abbia uccisa , riportandone poi il cadavere all’interno dell’edificio. È vero che la cosa appare un po’inverosimile, ma nel corso delle nostre indagini abbiamo appurato che i controlli all’entrata del Berlaymont possono essere superati in qualche caso con particolari accorgimenti.
Perché lei non potrebbe aver scoperto, per conto suo, una falla nel sistema di sorveglianza del Berlaymont ed averne approfittato per riportare nell’edificio il corpo della signorina Dombrowska durante la notte del venerdì?”.
“Lei mi attribuisce un’abilità diabolica” contestò Papageorgios con un sorriso stanco
“Le confesso che, in tre anni che lavoro qui, non mi sono nemmeno una volta domandato se sia possibile entrarci di nascosto, eludendo i controlli”.
“Posso crederle” rispose conciliante il commissario “ ma lei dovrebbe almeno spiegarmi perché, con faccia stravolta, dichiarò al signor Scannabue che stava cercando la signorina Dombrowska, la quale, appena pochi minuti prima- come lei stesso ha ammesso – era fuggita a gambe levate dopo averla intravista in fondo ad un corridoio”.
“È un’impressione soggettiva del signor Scannabue” replicò il giovane greco” Non nego di essere stato eccitato ed inquieto, ma non ero certamente fuori di me: La conversazione s`è subito alterata, perché Giandomenico, invece di dirmi se aveva visto scendere Malgorzata, mi ha accusato di pedinarla. Sapevo che lui le ronzava intorno e mi sono sentito offeso da questa accusa fuori luogo.”.
“Rimane però il fatto” continuò il commissario “ che, a quanto mi risulta, la signorina Dombrowska, guardando dalla finestra del suo ufficio, l’ha visto entrare al Berlaymont verso le ore 20.30 e che il signor Scannabue non ha più visto la signorina Dombrowska dalle 21.45. Forse Lei ha incontrato la vittima tra le 21.45 e le 22.35 e l’ha terrorizzata in modo tale da indurla a lasciare precipitosamente il Berlaymont non appena è riuscita a sfuggirle. La signorina Dombrowska aveva detto al signor Scannabue che lei la perseguitava e che, probabilmente, l’aveva pedinata per tutto il pomeriggio”.
“Grazie a Dio ho dei testimoni” replicò tranquillo Nikos” Non ero affatto venuto al Berlaymont per inseguire Malgorzata. Del resto, se l’avessi pedinata, sarei entrato al Berlaymont subito dopo di lei. Invece, non sapevo neppure che fosse lì. L’ho saputo quando ho visto il suo nome sul registro delle persone che erano entrate in serata ed è allora che ho pensato che avrei potuto andarla a trovare. Ma prima dovevo passare nel mio ufficio: La vera ragione per cui ero venuto era che dovevo ancora controllare alcuni dettagli di un ricorso che andava assolutamente presentato per conto della Commissione dinanzi alla Corte di Giustizia, il lunedì successivo, cioè ieri. Il mio innamoramento per Malgorzata non m’impediva di pensare ai problemi concreti del mio lavoro. Ma una volta in ufficio, mentre stavo dando gli ultimi ritocchi alla mia memoria, sono stato sorpreso da Irina, che lavora nello stesso corridoio e che, a mio parere, deve essere l’ultima rappresentante degli stakanovisti un tempo in onore nel paese da cui proviene. Sono sicuro che era lì a lavorare ininterrottamente dal primo mattino. Il mio arrivo è stato per lei un piacevole diversivo, perché le ha fornito l’occasione di lanciarsi in un’interminabile requisitoria per dimostrarmi quanto fossi stupido a perdere il mio tempo dietro ad una ragazza fatua ed inconsistente come Malgorzata. Naturalmente mi sono difeso energicamente e ci siamo affrontati in una discussione accalorata, finché Irina non s`è stancata e, guardandomi con compassione, mi ha detto: “ Con te ogni discorso è una pura perdita di tempo; è meglio che ritorni al mio lavoro”. Allora ho guardato l’orologio ed ho visto che erano già le dieci e trenta. “Mamma mia, ho esclamato, forse Malgorzata è già tornata a casa.”
Prima di andare a cercarla nel suo ufficio, dovevo però ridepositare un documento negli archivi del Servizio giuridico, che sono situati sullo stesso piano, ma dall’altra parte dell’edificio. Sono andato negli archivi, ho rimesso a posto il documento, poi ho preso l’ascensore scendendo al tredicesimo piano nel corridoio in cui ci sono la divisione portoghese, la divisione spagnola e la divisione italiana.
Nel momento in cui svoltavo l’angolo del corridoio, l’ho vista di lontano, in fondo, davanti agli uffici della divisione ungherese. Forse usciva dalle toilette, che sono proprio di fronte, ma aveva già indosso cappello e impermeabile. Le ho urlato di aspettarmi, ma lei si è precipitata nell’unico ascensore che era fermo al piano. Ho dovuto chiamare un altro ascensore…Il resto della storia la conosce, signor commissario”.
“Lo conosco, signor Papageorgios” fece il Commissario Ma gli elementi che lei, mi ha fornito non bastano purtroppo a liberarla da ogni sospetto. Resti a nostra disposizione e non si allontani da Bruxelles. Può andare”.
“Grazie, Signor Commissario” rispose Nikos, alzandosi, con un aspetto notevolmente sollevato ed uscì lentamente dalla stanza.
Una mezz’ora più tardi, Irina Lupescu si sedette di fronte al commissario con atteggiamento molto serio e si dispose con grande attenzione ad ascoltare le sue domande come se stesse per sostenere un difficile esame.
“Lei era amica della vittima ?“le domandò Van Kampenhout.
Irina, meditò un attimo prima di rispondere, poi cominciò a parlare pesando accuratamente le parole: “È difficile risponderle, commissario. Certo, coabitavamo insieme, con un paio di altre ragazze, e ci intendevamo abbastanza bene, o almeno quel tanto che bastava, tra persone civilizzate, per creare le condizioni di una convivenza accettabile. Da questo a dire che fossimo amiche, ce ne corre. Lei sa, commissario, io intendo per amicizia una familiarità che deriva dalla condivisione di valori comuni e di una certa corrispondenza di comportamenti e sotto questo aspetto devo dire che non sentivo un’amicizia profonda né per la povera Malgorzata, né per le altre mie coinquiline. Mi sembravano – mi scusi se lo dico – abbastanza frivole e superficiali, più impegnate nel comprare vestiti e cercare ragazzi che nello studio e nel lavoro. E questo valeva soprattutto per Malgorzata - mi dispiace dirlo perché sembra brutto criticare qualcuno che non c`è più – che interpretava in modo molto largo gli orari di lavoro e che si fingeva sempre occupatissima con quella sua famosa tesi… che non andava mai avanti. Mi chiamavano scherzando, ma fino ad un certo punto,
“la brunetta intelligente” ed io replicavo chiamandole, a mia volta, le “biondone gambelunghe”, perché erano tutte e tre abbastanza appariscenti. È vero, non è che ci amassimo alla follia, ma uscivamo qualche volta insieme e convivevamo in modo abbastanza sereno “.
“Ho però sentito” la interruppe il commissario” che tra lei e la vittima ci sarebbero stati particolari motivi di frizione”.
“Intende riferirsi a Nikos, Commissario, non è vero? Sì, quello stupido di Nicos si è innamorato di Malgorzata, che, tra l’altro, sono stata proprio io a fargli conoscere.
Malgorzata ha fatto un po’ la scema con lui, come faceva con tutti, ma non era certamente cotta di lui. Io l’ho capito subito e per questo non ce l’avevo affatto con lei. Però ho cercato di far capire a Nicos che stava sbagliando, che lei era leggera e superficiale e che non le importava niente di lui. Ma lui purtroppo, non l’ha capito e continuava a fare scenate, come fanno sempre i Greci che hanno il gusto del tragico.
Ho sentito dire in giro che la perseguitava ad ogni momento, ma questo mi sembra esagerato. Io lavoro nel suo stesso servizio ed ho potuto constatare che quando aveva una pratica importante da sbrigare non pensava ad altro per giorni interi. Certo, quando si incontrava con Scannabue, quell’italiano che girava un po’ intorno a Malgorzata, erano scintille, ma, secondo me, è perché sono tutti e due mediterranei e gli piace fare un po’di sceneggiata”.
“Ai romeni, invece no?” chiese il commissario.
“I romeni sono balcanici e vedono le cose in modo diverso” rispose Irina. Il commissario non insistette perché, in fondo, non era particolarmente interessato a sapere quale fosse la visione della vita dei popoli balcanici.
Proseguì con le domande:“Lei ha avuto occasione di incontrare la vittima la sera del delitto?”.
“No” rispose Irina “ Però sapevo che era al Berlaymont. Me l’ha detto Nikos quando l’ho visto nel suo ufficio e sono andata a salutarlo. Mi ha precisato che aveva visto il suo nome sul registro delle entrate e che, finito il lavoro, pensava di andarla a trovare.
Devo ammettere che non ci ho più visto e che ho cominciato ad elencargli tutte le ragioni per cui doveva smettere di pensare a lei. Non mi sono accorta che il tempo passava e devo dire che lui mi lasciava parlare perché nel frattempo cercava anche di dare un’occhiata alle pratiche di cui doveva occuparsi. Ad un certo punto, mi sono scocciata e me ne sono andata. Dovevano essere le 22.30”.
“Signorina,risulta che Lei è uscita dal Berlaymont alle 23.30” le domandò il commissario” Che cosa ha fatto fino a quell’ora?”.
“Ho lavorato” rispose candida Irina” ma naturalmente non posso provare in alcun modo di essere rimasta sempre nel mio ufficio. Succede così in tutti i gialli che si rispettano: l’innocente non ha mai un alibi”.
“Lei afferma che la vittima non aveva storie impegnative, ad es. un rapporto serio con un collega di lavoro o con un’altra persona, che avrebbe potuto concludersi tragicamente”proseguì Van Kampenhout, fingendo di non aver notato l’impertinenza “.Le risulta che fosse sottoposta a “mobbing”da parte di superiori gerarchici o che si trovasse in una situazione difficile nell’ambiente di lavoro?.”
“Per quel poco che diceva quando ci ritrovavamo insieme in casa, non mi risulta che abbia mai avuto rapporti sentimentali impegnativi né che abbia dovuto subire molestie sul posto di lavoro.Non ho mai pensato che le scene con Papageorgios potessero condurre ad un esito drammatico. Il rapporto con Scannabue era del tutto innocente e privo di complicazioni di qualsiasi genere.”.
“Le risulta che la vittima fosse preoccupata o inquieta nei giorni precedenti il delitto? Aveva qualche argomento di cui parlava con particolare insistenza?”.
“No” rispose Irina “ Era un po’turbata dal rapporto informativo, che era meno positivo di quello che lei avrebbe voluto, ma ci raccontava che avrebbe trovato il modo di farlo modificare. Per il resto continuava a parlare della sua tesi e dei grandi progressi che avrebbe fatto, quando il tedesco che aveva consultato su alcuni punti critici, le avesse fornito le spiegazioni richieste, ma, a mio parere, non sarebbe andata molto avanti neanche con le migliori spiegazioni… non era una “studiosa”, non aveva metodo..”.
“Molte grazie, signorina “ concluse il commissario “La sua testimonianza mi è stata assai utile per chiarire taluni aspetti della personalità della vittima. Riprenderò contatto con lei, se avrò bisogno di ulteriori chiarimenti”.
Capitolo XVIII
GLI ALTI PAPAVERI
“Ed adesso attendiamo la chiamata degli alti papaveri” mormorò il commissario rilassandosi pigramente sulla sedia.
Contrariamente a quanto si aspettava, la prima a telefonare fu la segretaria del Direttore generale e non erano ancora nemmeno le cinque del pomeriggio.
“Delle due l’una “ pensò sorridendo Van Kampenout “ o è vero che più si sale in alto, meno si è occupati, oppure il nostro caro Direttore generale è coinvolto in qualche modo in questa spiacevole vicenda e desidera vedere il più presto possibile come si presentano le cose”.
L’assistente del Direttore generale lo pregò di attendere in anticamera e si recò ad informare il suo capo dell’arrivo del commissario.
Non erano trascorsi tre minuti, che René Paleron apparve sorridente sulla soglia del suo ufficio ed invitò cortesemente il commissario ad entrare.
“Sono veramente turbato da questa triste vicenda che l’ha costretta a venire sin qui” disse, facendogli cenno di accomodarsi su una delle poltrone del salotto che si trovava di fronte alla vetrata dell’enorme stanza dal lato opposto a quello in cui si ergeva l’imponente scrivania. “E lo sono ancor di più” aggiunse con naturalezza” perché la povera ragazza che è stata vittima di questo omicidio era stata sobillata da qualcuno a tentare nei miei confronti un odioso ricatto simulando che io l’avessi molestata. È successo quella sera stessa, qui, nel mio ufficio, dove s’era fatta ricevere con il pretesto di presentarmi informalmente un reclamo contro dei torti che le sarebbero stati fatti durante la compilazione dei rapporti informativi. Come lei può pensare, ho immediatamente presentato al competente Membro della Commissione una relazione dettagliata dei fatti che mette in luce con la più assoluta chiarezza l’irreprensibilità del mio comportamento. Mi sono permesso di dirglielo affinché anche lei sia fin dall’inizio al corrente di una calunnia che potrebbe altrimenti
ostacolare le indagine e creare ingiustificati sospetti”.
“La ringrazio della sua franchezza, signor Direttore generale” rispose cortesemente Van Kampenhout “e la assicuro che non mi sarei mai lasciato fuorviare da voci e pettegolezzi inconsistenti. Ma potrebbe dirmi, per favore, quando precisamente ha avuto luogo l’incidente di cui mi parla”.
“Si è svolto tutto con estrema rapidità. La ragazza mi aveva chiesto un appuntamento per le 21.45, ma, appena entrata, ha cominciato a fare gesti incoerenti e ad alzare la voce. Ho capito in un lampo dove voleva arrivare e l’ho afferrata per un braccio per gettarla fuori del mio ufficio. Dovevano essere passati 2 o 3 minuti al massimo. Proprio in quel momento, accanto alla porta, stava passando, si direbbe per caso, il Direttore della Traduzione, il signor Adalberto Lopez Garrido, che ha accompagnato via la ragazza. Da quel momento, io non l’ho più vista e solo qualche giorno dopo ho saputo, dai giornali, che era stata uccisa”.
“Risulta dai registri delle entrate e delle uscite, che Lei ha lasciato il Berlaymont solo alle 23.16. Potrebbe cortesemente spiegarmi che cosa ha fatto in questo tempo?”.
“È molto semplice. Avevo ancora qualche pratica da verificare, ma la scena inaudita che si era appena svolto mi aveva talmente stravolto che non riuscivo più a concentrarmi. Ho impiegato due ore a leggere dei dossier che normalmente sbrigo in non più di venti minuti”.
“La ringrazio della collaborazione e mi scuso per il disturbo” disse Van Kampenhout alzandosi. René Paleron lo accompagnò cortesemente fino alla porta dell’ufficio.
Il commissario Van Kampenhout ritornò all’ufficio che gli era stato messo a disposizione ed aspettò pazientemente la chiamata del Direttore della traduzione, che si fece attendere. Finalmente, quando già la maggioranza dei funzionari avevano lasciato gli uffici , la segretaria del Direttore telefonò a Van Kampenhout per avvertirlo che il suo capo aveva un attimo libero per riceverlo.
Il Direttore della traduzione si alzò dalla sua imponente scrivania quando il commissario fu introdotto nel suo ufficio dalla segretaria ed accennò a venirgli incontro ma senza affrettarsi cosicché la stretta di mano avvenne quasi dinanzi alla scrivania. Il Direttore fece cenno al commissario di sedersi e si scusò per averlo fatto attendere, anche se il commissario capiva senz’altro che era stato difficilissimo per lui trovare un attimo libero dagli innumerevoli impegni che lo tenevano occupato tutta la giornata.
Van Kampenhout rispose sorridendo che se ne rendeva perfettamente conto ed osservò, con assoluta serietà e profonda convinzione, che doveva essere particolarmente gravoso essere costretto a trattenersi lungamente in ufficio anche dopo l’orario di lavoro fino a tarda sera e che questo richiedeva certamente un forte senso della propria missione. In realtà, aveva fatto svolgere dai suoi collaboratori, una cauta indagine sulle abitudini di coloro che erano rimasti al Berlaymont fino a tarda ora la notte in cui era stata uccisa la signorina Dombrowska ed era stato informato che il signor Lopez Garrido non apparteneva all’esigua schiera degli stakanovisti.
Il Direttore era però troppo scaltro e navigato per cadere in una trappola così evidente e rispose con naturalezza che, pur dovendo smaltire ogni giorno una considerevole mole di lavoro, riusciva in genere a terminare tutte le pratiche verso la fine dell’orario di servizio e non doveva mai trattenersi più di mezz’ora al massimo al di là delle 18.30, salvo casi assolutamente eccezionali. Uno di questi casi si presentava normalmente con i rapporti informativi, una cinquantina di valutazioni dettagliate dei suoi collaboratori, che dovevano essere imperativamente redatti entro una data che la Direzione del personale fissava di proprio arbitrio senza tenere alcun conto del carico di lavoro dei notatori. Per non andar fuori termine, era perciò costretto per un paio di giorni a trattenersi in ufficio fino a tardi e talvolta addirittura a portarsi il lavoro a casa durante il weekend. Ecco la ragione per cui era rimasto al Berlaymont nella serata del venerdì. Tra l’altro, durante la giornata aveva avuto un animato colloquio con la signorina Dombrowska, che era venuta a lamentarsi del rapporto informativo redatto dal suo capo divisione e lo aveva pregato di intervenire per modificarlo. Di fronte al suo cortese, ma deciso e ripetuto rifiuto, aveva improvvisamente perso ogni self-control ed aveva espresso alcune considerazioni assolutamente inaccettabili, dicendogli che sapeva già a priori che sarebbe finita così, che per ottenere qualcosa bisognava rivolgersi subito molto in alto e che proprio per questo aveva già chiesto un colloquio al Direttore generale, che l’avrebbe ricevuta la stessa sera alle dieci meno un quarto. Lui aveva perso le staffe a sua volta e l’aveva cacciata in malo modo
dandole della maleducata e della svergognata e lei se ne era andata piangendo. Pensandoci in seguito, s’era reso di conto di aver ecceduto e l’aveva fatta cercare per scusarsi, ma la ragazza non era stata trovata in ufficio. Allora s’era ricordato che gli aveva menzionato l’incontro con il Direttore generale alle 21.45 ed aveva pensato di aspettarla nel corridoio, all’uscita dal colloquio, per chiarire lo spiacevole equivoco del pomeriggio. Appena giunto nei pressi dell’ufficio, aveva però improvvisamente sentito uno scoppio di voci e tramestii, e, mentre accorreva preoccupato, aveva visto la porta aprirsi e la ragazza uscirne urlando, mentre il Direttore generale la tratteneva per un braccio:”.
“Complimenti” pensò fra sé Van Kampenhout “Una perfetta ricostruzione degli avvenimenti che nessuno potrà mai smentire e che dà una giustificazione assolutamente ragionevole della presenza in ufficio e dell’incidente con il Direttore generale. Però , dopo l’incidente rimane uno spazio vuoto di almeno mezz’ora fino al momento in cui la ragazza è uscita dal Berlaymont (ore 22.35) o al momento, leggermente anteriore in cui il signor Papageorgios afferma di averla vista prendere l’ascensore”.
“A questo punto Lei è rimasto solo con la ragazza “ osservò Van Kampenhout” Potrebbe dirmi per favore che cosa ha fatto o che cosa vi siete detti?”.
“Non c`è nulla da raccontare” rispose con calma Adalberto Lopez Garrido” La ragazza aveva l’aria abbastanza sconvolta e non m’è sembrato assolutamente il momento di intavolare una discussione sul nostro incontro del pomeriggio. Le ho proposto di accompagnarla subito in portineria, ma mi ha risposto che preferiva passare un momento nel suo ufficio per riassettarsi e che non c’era bisogno di accompagnarla perché escludeva che il Direttore generale andasse a cercarla nel suo ufficio. Devo dire che anche a me questa possibilità è sembrata molto remota – sebbene, visto quello che è successo, si possano ormai avere dubbi sul comportamento di chiunque – e che non ho insistito. Ho controllato che salisse sull’ascensore e poi me ne sono andato lungo il corridoio. Sono rientrato nel mio ufficio e ho continuato la redazione dei rapporti informativi, ma purtroppo il tempo non mi è bastato ed ho dovuto portarmi a casa alcuni fascicoli per esaminarli durante il weekend”.
“La ringrazio” disse il commissario Van Kampenhout “ e per il momento non ho altre domande da farle. Le auguro una buona serata, Signor Direttore”.
“Buonasera anche a Lei, commissario” rispose il Direttore della traduzione, alzandosi dalla scrivania e premendo il campanello affinché la segretaria accompagnasse il commissario fuori dall’ufficio.
La sera, a casa, di fronte ad un bicchiere di Gueuze, il cui sapore leggermente acidulo lo aiutava a tenersi sveglio, il commissario Van Kampenhout prese una biro ed un foglio di quaderno e stese un rapido riassunto della situazione in diversi punti:
Punto 1) Stando alle risultanze dei registri delle presenze e delle telecamere, la ragazza era uscita dal Berlaymont alle 22.35
Punto 2.) Il rinvenimento del cadavere in un ufficio del Berlaymont sembrava provare che la stessa notte del venerdì la vittima era rientrata al Berlaymont. Un test effettuato all’entrata del garage del Berlaymont aveva dimostrato che era possibile per una persona eludere i controlli con la complicità di altri. Tuttavia una prima verifica delle riprese effettuate dalle telecamere piazzate dinanzi al Berlaymont e dalle telecamere piazzate nelle stazioni del metro più vicine all’edificio nel periodo compreso tra l’uscita della ragazza e l’ora presumibile della morte indicata dal medico legale non aveva dato alcun risultato. Occorreva perciò approfondire ulteriormente le indagini cercando di scoprire qualsiasi possibile indizio.
Punto 3.) Tutte le persone che erano al Berlaymont nel periodo sospetto conoscevano più o meno bene la vittima ed alcune avevano addirittura ammesso di averla vista o incontrata nell’edificio la sera stessa dell’omicidio.
Il più vago era il signor Stevenson, che la conosceva- a suo dire- solo in quanto amica di Vera Zadonskaya e che aveva affermato di aver ricevuto una sua telefonata tra le 21.45 e le 21.50.
La signorina Zadonskaya era entrata con la vittima, ma affermava di non averla più vista nel corso della serata.
Il signor de Gubernatis ammetteva di averla incontrata nel proprio ufficio tre le 21.00 e le 21.10.
Il signor von Waldenburg riconosceva di essere stato nell’ufficio della vittima per una ventina di minuti fino alle 21.40 circa.
La sua testimonianza era confermata dalla sig.na Schönhofen, che aveva visto la ragazza salire in ascensore col signor von Waldenburg e che li aveva persi di vista nel corridoio in cui c’era l’ufficio del Direttore generale, dove aveva però incontrato un uomo d’alta statura , presumibilmente il signor Lopez Garrido.
Il Direttore generale René Paleron ammetteva da parte sua che la signorina Dombrowska era stata nel suo ufficio per qualche minuto intorno alle 21.45.
Il Direttore della traduzione Lopez Garrido riconosceva di aver accompagnato la ragazza all’ascensore un minuto o due dopo le 21.45.
Lo stagiaire Giandomenico Scannabue, era stato pregato dalla vittima di sorvegliarla discretamente e poteva quindi confermare gli incontri con de Gubernatis e von Waldenburg. Non aveva visto nulla degli incontri successivi perché la vittima era uscita dal proprio ufficio con il signor von Waldenburg e non lo aveva più contattato.
Il signor Papageorgios, infine, aveva dichiarato di aver visto di lontano la signorina Dombrowska prendere l’ascensore un minuto prima delle 22.35 e di averla inutilmente chiamata.
La signorina Lupescu era stata con il sig. Papageorgios fino alle ore 22.30 circa.
Rimaneva scoperto un periodo di tempo di oltre mezz’ora – dalle 21.48 circa alle 22.35 - in cui nessuno dei testimoni aveva più visto la signorina Dombrowska. L’esame dei tabulati telefonici della vittima che il commissario Van Kampenhout aveva disposto fin dall’inizio come misura di routine aveva messo in evidenza soltanto una telefonata al signor Stevenson intorno alle 21.48. Il telefonino portatile della vittima, come i suoi abiti, non era stato ritrovato ed era stato manifestamente neutralizzato.
Allo stato attuale delle indagini gli accertamenti finivano qui.
“Un po’ poco” pensò fra di sé Van Kampenhout.
Il fatto che, come risultava dagli esami autoptici, la ragazza fosse stata uccisa all’interno del Berlaymont, nell’ufficio in cui era stato ritrovato il suo cadavere o a pochi metri di distanza, sembrava tuttavia semplificare le indagini, anche se, in ogni caso sarebbe stato molto utile trovare qualche traccia degli spostamenti della sig.na Dombrowska dopo le 22.35 del venerdì sera. Con una ricerca a tappeto che interessasse tutti i tassisti, i conduttori di autobus, i negozianti ed infine i semplici cittadini sarebbe stato impossibile non trovare almeno un piccolo indizio, ma Van Kampenhout era restio a gettare subito le armi ed a chiedere ai superiori di ricorrere immediatamente ai “grandi mezzi”. Allo stesso modo, la raccolta delle testimonianze di tutto il personale di sorveglianza, delle donne di servizio ed infine anche dei funzionari del Berlaymont avrebbe potuto forse permettere di trovare ancora qualche indizio all’interno dell’edificio. L’indomani era mercoledì ed avrebbe potuto interrogare il sig. Lopaczynski, che doveva riprendere servizio in mattinata.
Avrebbe raccolto anche la testimonianza di quest’ultimo testimone e poi avrebbe riflettuto sulla necessità di estendere l’inchiesta.
CAPITOLO XIX
DZIEN DOBRY, PAN LOPACZINSKY, JAK SIE MACIE ?
Il signor Lopaczynski si presentò nell’ufficio occupato dal commissario Van Kampenhout verso le dieci del mattino del mercoledì.
Sembrava essersi un po’ripreso dallo shock del sabato mattina ed il commissario pensò che avrebbe potuto arrischiare qualche domanda senza timore di effetti secondari imprevedibili.
Come aveva previsto, Lopaczynski non fu in grado di apportare alcun elemento di rilievo al quadro del delitto che il commissario già ben conosceva. Del resto, tra il momento in cui Lopaczynski era entrato nel suo ufficio e l’arrivo del commissario nulla era stato toccato o spostato e Lopaczynski non avrebbe dunque potuto dire al commissario nulla che questi non avesse già osservato personalmente.
Fatta rapidamente questa constatazione, Van Kampenhout pensò che sarebbe stato opportuno domandare a Lopaczynski se conoscesse la vittima, per quanto, visto il carattere timido e solitario del funzionario, questa ipotesi gli paresse improbabile, a meno che i due non si fossero incontrati per precise ragioni di servizio.
Lopaczynski infatti negò di aver mai parlato con la signorina Dombrowska, pur non escludendo di averla incrociata qualche volta nei corriodi della Direzione della Traduzione, alla mensa o in ascensore, cosa che tuttavia- precisò- non poteva equivalere ad una conoscenza e chiese, un po’inquieto, al commissario perché pensava che dovesse conoscere bene la vittima.
“Per nessuna particolare ragione, signor Lopaczynski” gli rispose il commissario per tranquillizzarlo “Ho solo pensato che, siccome il suo nome suona polacco e la vittima era polacca, ci fosse qualche probabilità in più che aveste potuto fare conoscenza”.
“Io non sono polacco” puntualizzò con un certo disagio il signor Lopaczynski “Sono nato in Belgio ed ho parlato francese sin dalla mia infanzia. Del resto mia madre era belga. Mio padre però, che giunse in Belgio nell’estate 1939 per lavorare nelle miniere proveniva dalla Polonia, da una cittadina che si chiama Nowa Ruda presso la città di Walbrzych nella Slesia occidentale. Ci sono stato una sola volta da bambino perché mio padre voleva portare la famiglia a vedere i luoghi dove aveva trascorso la gioventù, ma non ci sono più ritornato perché non abbiamo più nessun parente in quella zona”.
“Vede che ci ero comunque andato vicino “ osservò sorridendo il commissario” Pensi che la vittima, la signorina Dombrowska era proprio originaria della città di Walbrzych”.
“È una pura coincidenza e, a mio parere, non significa assolutamente niente e non è affatto una prova che io conoscessi la signorina Dombrowska” si affrettò a precisare affannosamente il signor Lopaczinsky girando intorno uno sguardo sospettoso ed inquieto.
“Sono d’accordo con lei” rispose calmo il commissario” e, per mostrarle che non nutro alcun sospetto e non ho alcuna animosità nei suoi confronti le offro un caffè da uno dei distributori automatici piazzati accanto agli ascensori proprio qui di fronte.
“Preferirei un tè” obiettò timidamente Lopaczynski “Ho paura che un caffè mi renda troppo nervoso”.
Uscirono nella hall e si avvicinarono ad un distributore automatico.Van Kampenhout introdusse una moneta, premette un tasto, attese che il bicchiere di plastica si riempisse e lo porse a Lopaczynski. Mentre stava ripetendo per sé la stessa procedura, sentì alle sue spalle una voce squillante pronunciare in una lingua sconosciuta: “Dzien dobry, pan Lopaczynski, jak sie macie?”.
“Quante volte ti ho già detto di non parlarmi in polacco?”replicò seccato Lopazcynski ad Eleuterio Aragón Quiroga, che s’era avvicinato anche lui al distributore automatico per bere un caffè. “Non sono polacco”.
“Eppure Lopaczynski è un bel cognome polacco. Non ho nessun dubbio al riguardo”.
“Certo “rispose a muso duro Lopaczynski “Mio padre era polacco quando venne in Belgio nell’estate del 1939 da Nowa Ruda nella Slesia occidentale, ma, dopo la guerra, ottenne la nazionalità belga ed io sono nato belga e sono cresciuto parlando francese”.
“ Se ciò che mi dici è vero” osservò perplesso Eleuterio Aragón Quiroga “ allora, a rigor di termini, neppure tuo padre era polacco. Tu dovresti infatti sapere meglio di me che, dopo la prima guerra mondiale, talune zone dell’Alta Slesia furono effettivamente incorporate dalla Polonia in seguito al referendum del marzo 1921, ma che la maggior parte della Slesia rimase alla Germania e che solo nel 1945 fu occupata dall’Armata Rossa e, successivamente, assegnata alla Polonia. Tuo padre era dunque, se vogliamo essere precisi, un cittadino tedesco di etnia polacca. E, se vogliamo essere ancora più precisi non veniva da Nowa Ruda, ma da Neurode, in un dipartimento il cui capoluogo non si chiamava come ora Walbrzych, ma Waldenburg”.
Van Kampenhout, che aveva ascoltato fino a quel momento con una certa noia la dotta dissertazione dello spagnolo diventò improvvisamente attento.
“Mi scusi” intervenne, rivolgendosi senza tante cerimonie ad Arágon Quiroga “ Questo significa che la famiglia dei conti von Waldenburg era legata alla città che ora si chiama Walbrzych in Polonia?”.
“Per esserne sicuri al cento per cento si dovrebbero effettuare ricerche approfondite volte ad accertare che non esistano altrove località anche insignificanti a cui potrebbe essere collegato il titolo. Come lei ben sa, Waldenburg significa semplicemente “il castello in mezzo ai boschi” e potrebbe quindi riferirsi anche ad un semplice castello ora in rovina. Però, pensandoci meglio, non sono necessarie grandi ricerche, basta che guardi su Internet alla voce “Conti di Waldenburg”e troverà certamente un mucchio di informazioni”.
“Grazie, molte grazie. È per me un’informazione preziosa. Ed ora scusatemi, devo andare. Ho un impegno urgente” e si allontanò in fretta mentre Eleuterio Aragón
Quiroga stava ricominciando “Come è ben noto, la Slesia occidentale era stata occupata da genti d’origine slava fin dal 9° secolo della nostra era quando si formò in una parte dell’attuale Polonia il regno dei Piast…”. Voltandosi indietro vide che Jean Casimir Lopaczynski, incapace di allontanare il collega o di allontanarsi lui stesso, stava ascoltando l’improvvisata lezione di storia patria con un’espressione di grande sofferenza.
Rientrato in ufficio, il commissario accese il computer ed entrò in Internet. Nel giro di pochi minuti apprese così che i von Waldenburg, antica famiglia nobile originaria della Slesia occidentale, avevano avuto sino alla fine della seconda guerra mondiale la loro residenza a Waldenburg (ora Walbrzych) , nel cui distretto possedevano numerose terre. Dopo la confisca dei loro possedimenti in Slesia ed in Turingia, si erano trasferiti in Baviera, dove erano altresì proprietari di parecchi castelli e numerose fattorie. Erano una famiglia di militari e diplomatici che aveva servito onorevolmente lo Stato in guerra e in pace.
“Bene” si disse, soddisfatto, il commissario. Aveva trovato un legame tra la signorina Dombrowska ed il conte di Waldenburg. Poteva anche trattarsi di una pura coincidenza come nel caso di Lopaczynski, ma qui l’indizio sembrava più consistente, perché non solo i due si frequentavano, ma sembravano anche avere relazioni agitate.
Meritava di essere approfondito perché forse avrebbe potuto gettare maggior luce su tensioni che non sembravano giustificate da una semplice ricerca su una tesi di laurea e non potevano con sicurezza farsi risalire ad una relazione amorosa di cui non c’era alcun indizio salvo i sospetti della signorina Schönhofen.
Telefonò ad Hans-Heinrich von Waldenburg e gli chiese quando avrebbe potuto rendergli visita alla Rappresentanza permanente. Il diplomatico rispose che, se il commissario voleva, poteva recarsi da lui subito, giacché non aveva alcun impegno tra le undici e l’ora di pranzo.
Venti minuti dopo Van Kampenhout si presentò alla sede della Rappresentanza permanente e fu introdotto da un usciere nell’ufficio del signor von Waldenburg.
Il commissario era deciso a giocare il più possibile d’astuzia, perché l’elemento di cui disponeva era veramente assai tenue.
Dopo i convenevoli, spiegò dunque che si era permesso di disturbare il signor conte perché gli elementi emersi dall’inchiesta sembravano indicare l’esistenza fra la vittima ed il signor von Waldenburg di rapporti più intensi di quelli che potevano derivare da una semplice consulenza per la redazione di una tesi di laurea.
Vide un lampo di inquietudine attraversare per un brevissimo istante lo sguardo del suo interlocutore, ma la risposta che giunse era del tutto prevedibile: “ Potrebbe dirmi quali sarebbero concretamente gli elementi che le permettono di pensare che la mia descrizione dei fatti possa essere contestata?”.
“La testimonianza della sua collaboratrice, la signorina Schönhofen, che ha menzionato di aver riscontrato inquietudine ed agitazione sia in lei sia nella vittima dopo i vostri incontri ci induce a ritenere che l’oggetto di questi incontri non fosse puramente accademico”.
“La signorina Schönhofen è molto gelosa e possessiva e sospetta facilmente di tutti” obiettò tranquillo von Waldenburg.
“Il punto curioso è che la signorina Schönhofen si è detta stupita proprio del fatto che, se si fosse trattato di appuntamenti fra innamorati, l’espressione del suo volto e di quello della signorina Dombrowska avrebbe dovuto essere più distesa, più serena”.
“Sono argomentazioni che trovano riscontro solo nella fervida immaginazione della signorina Schonhöfen” rispose von Waldenburg, apparentemente sicuro si sé.
“Nondimeno” obiettò cortesemente Van Kampenhout “ debbo informarla che è risultato dalle nostre indagini un altro elemento che sembrerebbe confermare l’impressione della signorina Schönhofen che l’oggetto degli incontri non fosse esattamente quello che ci ha dichiarato lei. Sembrerebbe infatti che il rapporto fra lei e la signorina Dombrowska non debba necessariamente ricondursi al vostro incontro presso l’ambasciata polacca”.
“E a che cosa si potrebbe ricondurre, secondo lei, se mi permette?”.
“Potrebbe ricondursi” rispose seraficamente Van Kampenhout, giocando d’azzardo la sua unica carta, al fatto che potreste esservi incontrati a Walbrzych, la città di cui la vittima è originaria, così come la famiglia von Waldenburg, o aver discusso di problemi che trovano origine in questa città”.
“La sua è una ipotesi di pura fantasia non confortata da alcun elemento obiettivo” replicò von Waldenburg, ma all’orecchio del commissario esercitato da decenni di interrogatori, parve di avvertire che la sua voce fosse un briciolino meno sicura.
“Non è detto “ riprese il commissario avanzando a tastoni“ che le carte che la vittima portava con sé quando vi incontravate fossero esclusivamente i documenti relativi alla tesi di laurea. Poteva esserci anche un documento relativo a rapporti nati in Polonia, rapporti tra famiglie, rapporti nati da fatti delittuosi... Lei m’ha detto che suo nonno comandava una brigata di carri in Polonia”.
“Mio nonno ha sempre combattuto rispettando le leggi di guerra e le leggi dell’onore” lo interruppe bruscamente von Waldenburg.” Inoltre, lei dovrebbe sapere che nel 1939, Waldenburg faceva parte del Reich e che nessuna operazione militare si svolse in quella zona durante la campagna di Polonia”.
“Mi scusi, era soltanto un’ipotesi, che, come lei mi dice, non è giustificata.
Però stiamo provando in tutte le cassette postali della città e della regione di Bruxelles le chiavi che abbiamo scoperto nella stanza della vittima e finiremo per imbatterci in quella giusta, dove troveremo dei documenti che non saranno – ne sono sicuro-il semplice manoscritto di una tesi di laurea.
Dicendo queste cose, Van Kampenhout si rendeva conto che il suo era semplicemente un bluff e che le possibilità che riuscisse erano minime.
Con sua sorpresa von Waldenburg rimase in silenzio per un momento piuttosto lungo, poi parlò lentamente:
“Penso che lei abbia ragione, commissario. Credo anch’io che alla lunga potrebbero venire alla luce elementi atti a provare l’esistenza di un rapporto tra la mia famiglia e la famiglia della signorina Dombrowska. È un rapporto che, per ragioni di cui lei si renderà conto, non avevo alcun desiderio di rendere pubblico, ma nel quale non c`è nulla di illecito o di criminoso. Quindi, poiché io non sono responsabile dell’uccisione della signorina Dombrowska e poiché presto o tardi la natura delle nostre relazioni sarebbe comunque venuta alla luce, preferisco chiarire subito tutto.
È una storia che risale molto indietro nel tempo, a qualche anno prima dell’inizio della seconda guerra mondiale. Mio nonno, Fridolin, di cui le ho già parlato, che non era ancora sposato, aveva avuto una relazione appassionata con una giovane contadina di Waldenburg da cui era nato un bambino. Pur amando molto la ragazza non aveva potuto sposarla perché, come lei può immaginare i pregiudizi sociali dell’epoca erano fortissimi, e, su ingiunzione del padre, che aveva fatto tutto il possibile per tener segreto questo rapporto, aveva infine sposato una contessa bavarese, da cui nacque mio padre. Al momento di andare in guerra, aveva voluto dare anche al figlio illegittimo la parte che riteneva gli fosse dovuta, senza discriminazioni, ed aveva consegnato alla madre del ragazzo un testamento con cui designava il figlio coerede dei beni familiari. Mio nonno morì negli anni sessanta e non fu trovato alcun testamento. L’anno scorso mi si presentò la signorina Dombrowska, la quale mi raccontò che, rovistando qualche mese prima nella soffitta della vecchia fattoria di famiglia, aveva trovato nel baule della nonna questo documento di cui nessuno in famiglia conosceva l’esistenza. S’era informata sulla famiglia von Waldenburg ed aveva scoperto che, per una curiosa coincidenza, entrambi lavoravamo a Bruxelles.
Mi si era quindi presentata per chiedermi di riconoscere la validità del testamento, ma, visti gli anni trascorsi e la complessità della situazione, io avevo voluto far esaminare accuratamente la situazione giuridica, senza che la cosa si risapesse. L’applicazione di questo testamento avrebbe portato un fiero colpo alle mie finanze ed ammetto senza vergogna che, nonostante tutto il rispetto per il nonno, non ero disposto ad accettarlo senza prima averne accertato la piena validità. La signorina Dombrowska, da parte sua, insisteva perché io lo riconoscessi e mi diceva che avrebbe fatto fare anche lei delle ricerche giuridiche. Per mantenere segreto l’oggetto dei nostri incontri, decidemmo di far credere che la stessi aiutando a redigere la sua tesi di laurea.
Credo con questo di aver chiarito esaurientemente la mia posizione”.
“Prendo atto della sua dichiarazione, signor conte, ma non posso affermare che lei abbia chiarito la sua posizione per quanto riguarda l’omicidio della signorina Dambrowska. A questo riguardo continuiamo a brancolare nel buio e, a rigor di logica, si potrebbe addirittura dire che la storia che lei mi ha appena raccontato rafforza la sua condizione di sospetto perché ci fornisce un possibile movente”.
“Lei può dire tutto, commissario, ma io le assicuro sul mio onore di gentiluomo, che non sarei mai ricorso ad un simile mezzo, neppure se il testamento mi avesse privato di tutte le mie proprietà”.
“Purtroppo l’onore di gentiluomo non è considerato una valida prova dai codici moderni” osservò compunto Van Kampenhout “Io non ho detto che lei sia colpevole, ho semplicemente osservato che l’esistenza d’un movente potrebbe rendere più plausibile il sospetto di omicidio”.
Capitolo XX
UNO STATO DI POLIZIA
Rientrando al Berlaymont, il commissario Van Kampenhout incrociò nella hall d’entrata il Direttore della traduzione, Adalberto Lopez Garrido. Con sua grande sorpresa, l’alto funzionario, invece di rispondere rapidamente al saluto e proseguire per la sua strada, gli fece un largo sorriso ed avanzò verso di lui tendendogli cordialmente la mano:
“Come va, commissario? Spero che il suo soggiorno al Berlaymont non sia troppo scomodo e vorrei assicurarle che può far conto su di me per qualsiasi cosa di cui abbia bisogno. Come procedono le indagini? È necessario che il colpevole salti subito fuori, se non vogliamo che si crei presto un’atmosfera irrespirabile di paura e di sospetto.
Lei ha già, se posso permettermi di domandarglielo, qualche elemento su cui orientare le indagini”?
“Lei capirà, signor direttore, che le indagini sono sottoposte al vincolo della più stretta confidenzialità e che non potrei quindi violare il vincolo del segreto neppure conversando con una persona così autorevole come lei. Posso però confessarle che per ora non abbiamo alcuna pista precisa e che - anche se è un po` difficile da ammettere – stiamo ancora brancolando nel buio più completo”.
“Ho riflettuto a lungo su tutto ciò che è avvenuto” proseguì il direttore” e mi sono sempre più convinto che deve esserci un rapporto con l’incidente che è successo nell’ufficio del direttore generale. Deve essere stata una cosa molto grave. Lei avrebbe dovuto vedere in che stato era quella povera ragazza quando s’è precipitata fuori dall’ufficio: era tutta rossa in volto e scossa da singhiozzi, spettinata, con i primi due bottoni della camicetta aperti, e non faceva che mormorare “ io lo denuncio…io lo denuncio”.
“Lei ritiene, signor direttore, che ciò che sarebbe avvenuto nell’ufficio del direttore generale potesse essere così grave da mettere in moto una catena di eventi che avrebbe portato addirittura ad un omicidio”?
“No, commissario. Io non dico questo e non ho elementi per sostenere una tesi del genere. Ma penso, a titolo puramente personale, sia chiaro - che potrebbe essere opportuno approfondire questo punto. Lei sa, commissario, che la sensibilità generale nei confronti dei problemi di “mobbing” e di molestie sessuali è enormemente cresciuta negli ultimi tempi, che la protezione contro il “mobbing” è costantemente all’ordine del giorno delle assemblee sindacali e delle riunioni dei comitati del personale, che tutte le istituzioni hanno creato o stanno creando appositi comitati incaricati di intervenire e di indagare non appena venga sollevata un’accusa di molestie e che, quindi, siamo ormai ben lontani dai tempi in cui attenzioni anche pesanti venivano considerate un’esuberanza ampiamente scusabile. Al giorno d’oggi uno può già essere sottoposto a procedimento disciplinare per un fischio d’ammirazione o un complimento un po’grossolano o addirittura perché tiene appeso alla parete del proprio ufficio un calendario con foto di donne un po’discinte…
figuriamo che cosa potrebbe succedere se qualcuno venisse accusato di “avances” molto pesanti o addirittura di un tentativo di violenza. Rischierebbe non solo la reputazione, ma anche la carriera… per non parlare delle conseguenze penali e disciplinari”.
“La ringrazio, signor direttore” rispose il commissario “ di aver attirato la mia attenzione su un punto che forse avevo un po’ trascurato e che, come lei ha giustamente osservato, potrebbe avere particolare rilevanza ai fini delle indagini. Mi permetterò di disturbarla ancora se avrò bisogno di lei nel seguito dell’inchiesta.”
“Sempre a sua completa disposizione” rispose il direttore” ed auguri. Arrivederci”.
Giunto al suo ufficio, Van Kampenhout esaminò i rapporti dei suoi collaboratori, cui aveva nel frattempo affidato il compito di condurre un paio di indagini relative ad alcuni dei sospetti e dopo aver riflettuto un momento telefonò al signor Elio de Gubernatis, per chiedergli se potesse rendergli visita al fine di chiarire alcuni aspetti della sua testimonianza che desiderava approfondire.
Elio de Gubernatis gli rispose che era felicissimo di riceverlo anche subito perché, come onesto cittadino, si sentiva in obbligo di fare tutto il necessario perché il responsabile di un così orrendo delitto fosse assicurato subito alla giustizia.
Quando Van Kampenhout fu seduto dinanzi alla scrivania di de Gubernatis, gli spiegò rapidamente, senza entrare nei dettagli confidenziali, di aver avuto conferma che la vittima desiderava effettivamente risolvere una questione di diritto successorio.
“Vede che questo conferma la mia testimonianza…” lo interruppe de Gubernatis con un sorriso di trionfo.
“Sì, in effetti” ammise senza difficoltà il commissario” il punto è che, secondo un testimone che l’ ha vista uscire dal suo ufficio, signor de Gubernatis, la vittima è uscita quasi correndo e con un’espressione tra sdegno e sorpresa, che non mi sembra essere quella di una persona cui è stato semplicemente detto che non ha esposto un problema con sufficiente chiarezza o che non ha fornito una documentazione adeguata:.. in questo caso la vittima avrebbe dovuto avere un’espressione delusa piuttosto che sdegnata…”.
“L’interpretazione della mimica facciale di una persona è sempre una questione molto soggettiva “ osservò con calma de Gubernatis.
“Purtroppo” riprese Van Kampenhout, lanciando la sua prima freccia” Lei, signor de Gubernatis ha fama di essere un playboy e si racconta in giro che è molto rapido, come dire, negli approcci con il gentil sesso”.
“Vedo che non avete perso tempo a raccogliere tutte le voci che circolano in questo ambiente e che spesso non hanno alcun fondamento” fece un po’acido de Gubernatis.
“Routine, pura routine, signor de Gubernatis” rispose Van Kampenhout, facendo finta di non essersi accorto della critica.
“E va bene. Che cosa devo dire? “ riprese de Gubernatis, come rassegnato “È vero. Ci provo sempre. Ma sempre nei limiti della massima correttezza e della più stretta decenza…Uno sguardo più intenso, un complimento un po’ più galante, al limite… proprio al limite una mano sul braccio…una leggera carezza sui capelli. Se la ragazza non ci sta, le assicuro che non insisto…io sono uno della vecchia scuola, gentilezza e buona educazione”. E guardò il commissario con aria soddisfatta, come se, con questa confessione, avesse chiarito ogni malinteso e non avesse ormai più nulla a che fare con l’inchiesta in corso.
Ma il commissario non la vedeva in questo modo. Lasciò passare qualche istante perché de Gubernatis potesse gustare un momento la gioia illusoria di essersela cavata a così buon mercato e poi ritornò all’attacco.
“Purtroppo, signor de Gubernatis, le nostre indagini hanno portato alla scoperta di altri elementi che io desidero chiarire con lei. Abbiamo per esempio accertato che lei, pur abitando con la sua famiglia in una villa di Woluvé Saint-Pierre ha in affitto un monolocale in Avenue Louise”.
“Come può sapere una cosa del genere?” lo interruppe de Gubernatis strabuzzando gli occhi “ Chi vi ha autorizzati? Sapete che cos’è la privacy?”
“Nell’ambito di un’inchiesta penale, il magistrato può autorizzare la ricerca di informazioni che rientrano nella privacy dei sospettati di un reato e la ricerca in questione era assolutamente semplice. Poiché ci risulta che la vittima è uscita dal Berlaymont e non sappiamo dove sia andata prima di rientrare al Berlaymont, abbiamo pensato che potesse essere utile accertare se qualcuno dei sospettati potesse disporre di un locale non troppo lontano dal Berlaymont, magari raggiungibile a piedi. Ci è bastato chiedere al comune di Bruxelles di poter consultare i dati del censimento annuale degli immobili in cui ogni proprietario di case e di appartamenti deve dichiarare gli appartamenti di cui dispone ed i nomi degli eventuali locatari, per giungere al suo”pied à terre”.
“Questo è veramente uno Stato di polizia. Possibile che non ci sia più una sola cosa che un povero cittadino possa fare in pace senza essere sorvegliato dalla gendarmeria, dagli agenti delle tasse, dall’antiterrorismo, dal comune, dalle banche, dalla CIA e da chiunque abbia voglia di ficcare il naso nelle faccende altrui ? ” protestò vivacemente de Gubernatis. Si vedeva che era sdegnato per questa intromissione nella sua vita privata, ma Van Kampenhout colse, al di sotto dello sdegno manifesto, una netta sensazione di inquietudine e di paura.
“Mi dispiace, signor de Gubernatis, ma posso assicurarle che tutti questi controlli non mirano ad altro che a garantire nel miglior modo possibile la sicurezza dei cittadini e ad aiutare a risolvere più facilmente casi come quelli di cui ci stiamo occupando. Devo aggiungere che, una volta accertato che lei era locatario di uno “studio” in Avenue Louise, ci siamo permessi di interrogare il portinaio del condominio e siamo venuti a sapere che lei era stato visto più volte entrare nell’edificio con una ragazza bionda, che il portinaio ha riconosciuto quando gli è stata mostrata una fotografia della vittima”.
“Vergogna, vergogna” mormorò de Gubernatis il cui self-control stava andando in briciole “ Ed ora che sapete che avevo una relazione con la signorina Dombrowska, ne avete dedotto che l’ho ammazzata io e che il caso è risolto. Bravi, bravi. Logica poliziesca ineccepibile”.
Van Kampenhout quasi si vergognò di infierire contro un uomo ormai manifestamente alle corde, ma non poté non continuare perché gli elementi di cui disponeva esigevano che si pretendesse da de Gubernatis un chiarimento completo…se non addirittura una confessione.
“C’è molto di più, signor de Gubernatis. Dal conto bancario della sig.na Dombrowska risulta che negli ultimi mesi la vittima ha effettuato un certo numero di versamenti di somme varianti tra i 1000 ed i 2000 euro in contanti e che le date dei versamenti corrispondevano a quelle dei giorni successivi alle date in cui il portinaio dell’immobile di Avenue Louise si ricordava di averla vista entrare con lei. La cosa che più ci ha turbato è però che l’ultimo versamento , effettuato appena pochi giorni prima dell’assassinio, è per un importo di 5.000 euro.
Che cosa dobbiamo pensare?”.
“Dovete pensare che se mi piace una ragazza, io sono libero di farle i regali che preferisco, magari anche di offrirle del vile denaro, e che non tocca alla polizia stabilire se questi regali sono troppo costosi o no. Mi sembra, e lo ripeto, che queste cose riguardino esclusivamente la mia vita privata” disse de Gubernatis, che cercava manifestamente di salvare il salvabile.
“A noi sembra invece, mi scusi se glielo dico, di trovarci di fronte ad un ricatto. La ragazza potrebbe aver minacciato di informare sua moglie della vostra relazione o di parlarne in giro e lei può aver preso molto sul serio questa minaccia”.
“Ma quando mai” si sforzò di sorridere de Gubernatis “ Viviamo nel ventesimo secolo e mia moglie è una donna moderna ed aperta, che sa valutare le cose e che non fa tragedie per una piccola sbandata, senza importanza. Quanto all’ambiente di lavoro, se sapeste quante ne succedono senza che nessuno se ne scandalizzi. Non vedo come la vittima avrebbe potuto ricattarmi.”.
“Questo significa” rispose con finto candore Van Kampenhout, pur rendendosi conto di star commettendo una crudeltà, che possiamo rivolgerci senza problemi a sua moglie per chiederle che cosa sa della signorina Malgorzata Dombrowka?”
Il colorito ormai terreo di de Gubernatis mostrava che il poveretto stava sparando le sue ultime cartucce : “ No, no…preferirei che mia moglie rimanesse all’oscuro di questa vicenda. Sa, io, mia moglie, i miei figli siamo una famiglia moderna, senza tabù, senza pregiudizi…ma queste cose lei sa..lei capisce... è sempre meglio non spiattellarle così brutalmente…c`è sempre una sensibilità da proteggere…una famiglia da tenere unita una reputazione da difendere..”.
“La capisco” mormorò condiscendente il commissario “ma lei non potrà negare, da parte sua, che queste considerazioni provano che un eventuale ricatto poteva metterla in serie difficoltà. Ci risulta inoltre, sempre dall’indagine che abbiamo condotto tra i suoi colleghi, che si parlava recentemente del suo possibile inserimento, per le prossime elezioni del Parlamento europeo, nella lista di un partito che difende, in particolare, i valori tradizionali della famiglia. Mi sembra evidente che uno scandalo sulla sua moralità familiare avrebbe potuto condurre anche ad un ripensamento da parte di coloro che intendevano proporre il suo nome come candidato alle elezioni europee e quindi portare un colpo decisivo a tutte le prospettive di una carriera politica a livello europeo.”.
“Vedo che purtroppo tutte le apparenze sono contro di me” concluse rassegnato de Gubernatis “ Ne devo dedurre che sono divenuto il principale sospetto dell’assassinio?”.
“Questo non lo direi ancora” gli rispose onestamente Van Kampenhout” Però devo ammettere che, alla luce delle ultime risultanze, lei è senz’altro una delle persone nei cui confronti sono stati raccolti seri indizi al riguardo”.
Mezz’ora dopo, appena rientrato nel suo ufficio, il commissario ricevette una telefonata.
“Il direttore generale René Paleron desidera parlarle. Resti in linea.” gli intimò la segretaria, dimenticandosi addirittura di aggiungere “per favore”. Van Kampenhout si domandò se questo atteggiamento di sufficienza delle segretarie personali degli alti papaveri fosse prescritto dalle norme di comportamento o se fosse semplicemente, come era più probabile, un riflesso dell’importanza e del potere dei capi che rendeva automaticamente più antipatico e prepotente chiunque parlasse in loro nome.
Il direttore generale fu invece molto più gentile. “ Come sta, signor commissario ?” gli domandò” Come procedono le indagini? Lei sa quanto io sia interessato ad un rapido chiarimento del caso, che tuteli il buon nome della Commissione e blocchi sul nascere tutte le dicerie e le voci infondate che sogliono diffondersi in simili occasioni.
Mi domandavo appunto, se posso permettermi di chiederglielo, che cosa sia stato detto a proposito di quell’incidente di cui le ho parlato che si è verificato la sera stessa dell’assassinio”.
“ Posso dirle, signor direttore, che il signor Lopez Garrido, che si trovava nel corridoio quando la signorina Dombrowska è uscita ha confermato per quanto riguarda la sostanza e la sequenza dei fatti tutto quello che m’aveva già detto lei, sebbene come lei sa uno stesso fatto o uno stesso gesto possa essere interpretato in modo diverso da una persona o da un’altra “.
“Si trovava nel corridoio” sbottò il direttore generale “ nel preciso istante in cui io aprivo la porta e cacciavo via la signorina Dombrowska e pochi secondi dopo che questa s’era messa ad urlare e a smaniare senza alcuna ragione…bisogna proprio dire che il caso fa le cose con un tempismo eccezionale…”.
“A dire il vero, il signor Lopez Garrido non parla di caso. Afferma che aveva alcune cose urgenti da dire alla signorina Dombrowska e che non avendola trovata nel pomeriggio, ma avendo saputo che aveva un appuntamento con lei alle 21.45, aveva pensato di attenderla nel corridoio alla fine del colloquio “.
“E lei ci crede, commissario? Quando mai il signor Lopez Garrido si è trattenuto in ufficio oltre le 6.30 del pomeriggio, le 7 al massimo? Quante volte l’ho cercato verso le 7 e mezza o le 8, senza mai trovarlo. È notorio che non fa mai straordinari e, proprio la sera in cui sa che devo ricevere la signorina Dombrowska, si mette a fare gli straordinari per avere un pretesto di trovarsi dinanzi alla porta del mio ufficio? Si rende conto, commissario, che tutto questo puzza di complotto da lontano un miglio. Chi le dice che, quando ha visto che il piano era fallito, la vittima non abbia minacciato il signor Lopez Garrido di rivelare tutto alle autorità della Commissione o che i due non fossero coinvolti in un piano sistematico di ricatti e che quando hanno visto che la mia reazione stava facendo fallire tutto il loro sistema di complotti uno dei due non abbia perso la testa con le conseguenze che si sono viste ?
Ci pensi, commissario, ci pensi”.
Il contenuto della conversazione lasciò molto perplesso Van Kampenhout. Non sapeva affatto se si trattasse di un complotto o di una pura concatenazione di circostanze fortuite, ma era evidente che il direttore della traduzione aveva preso la palla al balzo per tentare, senza alcuno scrupolo, di fare le scarpe al direttore generale e che quest’ultimo, essendosi reso conto istantaneamente del tentativo di farlo fuori, stava difendendosi con tutte le armi a sua disposizione. Era senza dubbio una spietata lotta di potere in cui quello dei contendenti che fosse riuscito a gettare tra i piedi dell’altro una bella inchiesta penale poteva sperare di ottenere un vantaggio risolutivo. Però, riflettè il commissario, che elementi c’erano per escludere a priori che qualcosa in questa bella contesa senza esclusione di colpi fosse andato storto e che alla fine ci fosse scappato il morto o che uno dei due, ciascuno dei quali conosceva la ragazza,avesse avuto le proprie ragioni per farla fuori?
Non è proprio il caso di lasciare questi due personaggi al di fuori delle mie indagini- si disse Van Kampenhout - che, istintivamente, non provava una particolare simpatia né per l’uno né per l’altro.