“Il signore con i pantaloni alla cavallerizza” (马 裤 先 生 “măkù xiānshēng”) è un racconto pubblicato da Lăo Shĕ 老 舍 nel 1933 sulla rivista “Qīngnián Jiè”( 青 年 界 “Il mondo dei giovani”) ed inserito successivamente nella raccolta “Gănjí” (赶 集 “Di fretta”) del 1934. Molte storie di questa raccolta presentano personaggi bizzarri, quasi caricaturali, e mettono in evidenza la straordinaria capacità dell’autore di cogliere con ironia anche gli aspetti più assurdi della natura umana. Il protagonista del racconto che segue è una di quelle persone che nessuno si augurerebbe mai di trovare come compagno di scompartimento durante un viaggio in treno.
IL SIGNORE CON I PANTALONI ALLA CAVALLERIZZA
Sul treno in attesa nella stazione di Pechino-Est non avevano ancora aperto gli scompartimenti.
Il mio vicino di cuccetta, un signore che indossava pantaloni da cavallerizzo, occhiali dalle lenti non graduate, camicia di raso chiaro di taglio occidentale, che s’era infilato in testa un berretto di pecora e che aveva ai piedi confortevoli stivaletti di feltro, mi domandò molto amabilmente: “Anche Lei è salito a Pechino?”.
Rimasi un istante perplesso. Il treno non si era ancora mosso. Se non si era saliti a Pechino, dove mai si poteva essere saliti?
Mi venne solo da chiedergli, a mia volta: “Lei, dove è salito?”.
Mi aspettavo che mi dicesse di essere salito a Hànkóu o a Suìyuăn. In tal caso, avrei scoperto che i treni cinesi circolano senza bisogno di rotaie e possono portare i viaggiatori in qualunque posto si voglia.
Non mi rispose.
Cominciò invece a guardare la cuccetta (nello scompartimento ancor chiuso) e, con tutta la forza che aveva in corpo -o quasi tutta- si mise a sbraitare: “Cameriere!”.
Il cuccettista, tutto occupato a sistemare i passeggeri, stava trasportando oggetti per l’equipaggiamento delle cuccette, ma, sentendo quell’urlo rabbioso, che sembrava nascere da una necessità impellente, arrivò di corsa.
“Mi porti una coperta!” gli urlò l’uomo con i pantaloni alla cavallerizza.
“Attenda un momento, per favore.”gli rispose con cortesia il cuccettista” Non appena apriranno lo scompartimento, Le stenderò la coperta.”
Il signore coi pantaloni alla cavallerizza non ebbe alcuna reazione, salvo infilarsi un dito nel naso per cavarne fuori qualcosa.
Il cuccettista fece per allontanarsi.
“Cameriere!!”. Questa volta persino il treno sembrò sussultare per la scossa.
Il cuccettista piroettò su sé stesso come se fosse stato preso in un turbine di vento.
Il signore coi pantaloni alla cavallerizza aveva più o meno accettato che la coperta potesse aspettare, ma il cuscino no, il cuscino dovevano portarglielo subito.
“Un momento, Signore, La prego” disse il cuccettista, in fretta, ma sempre con molta cortesia” Ora sono occupato, ma le porterò insieme coperta e cuscino”.
Il cuccettista vide che il signore coi pantaloni alla cavallerizza non aveva più niente da ordinargli e si girò per andarsene.
Questa volta il treno fece veramente un balzo. “Cameriere!!!”.
Il cuccettista fece una mezza capriola per la paura e ritornò indietro di corsa.
“Mi porti il tè!”.
“Non appena avranno aperto tutti gli scompartimenti, farò bollire l’acqua”.
Poiché il signore coi pantaloni alla cavallerizza non sembrava più volergli comandare altro, il cuccettista si sforzò di sorridere come se gli rincrescesse di non ricevere ulteriori ordini e, mormorate due parole di circostanza, cominciò pian piano a voltarsi, ma, ancora intimidito, continuava a sbirciare indietro.
S’era appena girato del tutto e stava per muovere un passo, quando, alle sue spalle, si abbatté un fulmine: “Cameriere!!!”.
Il cuccettista finse di non sentire, oppure era già così rintronato dalle urla che non sentì davvero e, sorprendentemente, tirò avanti senza voltarsi, allontanandosi a passo svelto.
“Cameriere!!! Cameriere!!!! Cameriere!!!!!” urlò in crescendo il signore coi pantaloni alla cavallerizza.
Coloro che avevano accompagnato i viaggiatori fino ai binari dovettero credere che il treno avesse preso fuoco o che fosse morto qualcuno.
Malgrado tutto questo strepito, il cuccettista non si voltò.
Il signore coi pantaloni da cavallerizzo si frugò di nuovo nel naso, poi si sedette sulla mia cuccetta. Non appena seduto si rimise a sbraitare “Cameriere!!!”, ma il cuccettista non si fece più vedere.
Dopo essersi contemplato le ginocchia, abbassando il volto quanto più poteva, sempre con un dito infilato nel naso, rialzò la testa di scatto e chiese: “Lei ha un biglietto di seconda classe?”.
La domanda era rivolta a me. Rimasi di nuovo sconcertato. Avevo in effetti comprato un biglietto di seconda classe. Era possibile che avessi sbagliato carrozza?
“E Lei?” domandai a mia volta.
“Ho un biglietto di seconda. Questa è la seconda! È in seconda che ci sono le cuccette.! Stiamo per partire, non è vero? Cameriere!” esclamò mentre io tiravo fuori il biglietto che avevo in tasca.
Si alzò in piedi e si mise a contare i suoi bagagli –otto valigie in tutto, tutte ammucchiate sulle altre cuccette (aveva occupato anche le due cuccette superiori).
Dopo aver contato due volte, si rivolse di nuovo a me: “Dove sono i Suoi bagagli”?
Io non risposi, ma, in un primo momento, pensai che me lo avesse chiesto in buona fede, giacché aggiunse subito: “Come può essere che quel disgraziato di cuccettista non Le abbia ancora portato i bagagli nello scompartimento?”.
Non potei fare altro che rispondergli: “Non ho bagagli”.
“Ah?” Ebbe un vero e proprio sussulto, come se prendere il treno senza bagagli fosse la più grave scorrettezza che uno potesse commettere. “Se avessi saputo che Lei non aveva bagagli, mi sarei risparmiato di pagare il biglietto per depositare nel bagagliaio quei quattro valigioni di pelle”.
Questa volta fui io ad essere scosso. “Ah?” pensai “Meno male che non lo sapeva. Altrimenti, se avesse portato dentro altre quattro valigie, ci sarebbe ancora rimasto il posto per dormire?”.
“Ah?” proseguì il signore dai pantaloni alla cavallerizza “Se avessi saputo prima che Lei non aveva bagagli, avrei anche potuto evitare di comprare un altro biglietto per quella bara”.
Decisi che, se avessi ancora dovuto viaggiare, mi sarei sicuramente portato dietro le valigie. A chi piacerebbe dormire una notte intera accanto ad una bara?
Il cuccettista passò dinanzi alla porta dello scompartimento.
“Cameriere! Un asciugamano tiepido!” (1)
“Un momento! Un momento!” si ribellò il cuccettista, che stava perdendo la calma.
Il signore coi pantaloni alla cavallerizza si allentò la cravatta, tirò fuori il colletto della camicia, poi prese l’una e l’altro e li appese a due distinti gancetti. Occupò così tutti i gancetti disponibili, poiché il suo berretto e il suo soprabito erano già appesi agli altri due.
Il treno partì. Un attimo dopo, il signore si ricordò che voleva comprare il giornale.
“Cameriere!”.
Presi il mio giornale e glielo diedi. Ero disposto a regalarglielo. Dovevo aver cura dei miei timpani.
Dopo essersi arrampicato sulla cuccetta superiore, si tolse gli stivaletti al di sopra della mia testa, poi ne sbattè insieme le suole.
Posò la testa sulla sua valigietta, si stese sul volto un foglio del mio giornale, e, prima che il treno arrivasse alla Porta di Yŏngdìng (2), s’era già addormentato.
Nel mio intimo mi sentii molto più rilassato.
Il treno era appena entrato nella stazione di Fēngtài (3) che, sulla mia testa, rimbombò di nuovo un urlo: “Cameriere!”, ma, prima che il cameriere potesse rispondergli, il signore s’era riaddormentato. Probabilmente, questa volta, erano solo parole pronunciate inconsciamente nel sonno.
Passata Fēngtài, arrivò il cuccettista con due bricchi di tè bollente.
Io e il passeggero che mi stava di fronte – un individuo normale, di una quarantina d’anni a giudicare dalla pelle del viso- bevemmo il nostro tè conversando tranquillamente.
Il cuccettista non era probabilmente ancora ritornato al suo sgabuzzino nel corridoio quando, sopra di me, tuonò nuovamente: “Cameriere!”.
Il cuccettista si presentò con un diavolo per capello.
“Che cosa sta succedendo? Siii..gnooo..re!?”.
“Mi porti il tè!”.si sentì rispondere ad alta voce dalla cuccetta superiore.
“Non ho già portato due bricchi di tè?” chiese il cuccettista indicandoli col dito sul tavolino dello scompartimento.
“Ne voglio un altro”.
“Va bene!” Il cuccettista si tirò indietro e fece per andarsene.
“Cameriere!”
Il cuccettista aggrottò la fronte. Sembrava che le sopracciglia stessero per cadergli a terra.
“Non voglio il tè. Mi porti un bricco d’acqua calda”.
“Bene!”
“Cameriere!”
Il cuccettista contrasse talmente le sopracciglia che temetti gli cascassero giù tutti i peli.
“Voglio la coperta, il cuscino, l’asciugamano bagnato nell’acqua calda, voglio...”. Non si ricordava nemmeno più che cosa voleva che gli portassero.
“Aspetti un momento, Signore. A Tiānjīn devono ancora salire dei viaggiatori. Passata Tiānjīn, Le porterò in una sola volta tutto ciò che m’ha chiesto. Abbia un po’di pazienza e potrà dormire.”
Il cuccettista disse queste parole d’un sol fiato, girò la testa e se ne andò deciso, come se avesse intenzione di non tornare più.
Trascorse un momento prima che arrivasse il bricco di acqua calda e il signore coi pantaloni da cavallerizzo ebbe il tempo di sprofondare nuovamente nel mondo dei sogni. Il suo russare era solo un po’meno rumoroso delle urla con cui aveva chiamato il cameriere, ma era regolare e uniforme e, se a volte calava un pochino di intensità, era compensato dal digrignar dei denti.
“L’acqua calda, Signore.”
“Cameriere!”.
“Son già qui. Le ho portato l’acqua calda”.
“Mi porti della carta igienica”!
“Ce n`è nella toilette”.
“Mi dica dov’è la toilette”.
“Non avrà difficoltà a trovarla”.
“Cameriere!”
“Arrivederla”.
“Cameriere! Cameriere!! Cameriere!!!”
Il cuccettista non rispose.
“Ronf...ronf ronf..ronf”. Il signore s’era riaddormentato."
Curioso!
Arrivammo a Tiānjīn, dove salirono alcuni altri passeggeri. Il signore coi pantaloni alla cavallerizza si svegliò, prese il bricco, lo portò alle labbra e bevve un sorso d’acqua. Mi scrollò di nuovo le suole degli stivali sulla testa. Indossò gli stivali, scivolò giù dalla cuccetta, si infilò un dito nel naso e, dopo essersi guardato intorno, sbirciò fuori dello scompartimento. “Cameriere!”.
Per caso il cuccettista stava proprio passando dinanzi alla porta.
“Mi porti la coperta!”
“Subito”!
Il signore coi pantaloni alla cavallerizza uscì dallo scompartimento e si fermò, con l’aria ancora addormentata in mezzo al corridoio, ostruendo deliberatamente il passaggio agli altri viaggiatori e ai facchini.
All’improvviso ,dopo aver frugato energicamente nella narice, si mosse, scese dal vagone, esaminò le pere che gli ambulanti offrivano in vendita, ma non acquistò nulla; diede un’occhiata ai giornali, ma non li comprò; passò il resto del tempo ad ammirare, senza una precisa ragione, le uniformi dei facchini.
Risalito in carrozza, si rivolse a me: “ Siamo a Tiānjīn, non è vero?”.
Non gli risposi.
Borbottò tra sé e sé “Lo chiederò all’inserviente” e, senza por tempo in mezzo, si mise a sbraitare: “Cameriere!”.
MI pentii di non avergli risposto e mi affrettai a confermare: “ Ha ragione. Siamo a Tiānjīn.”
“Sarà meglio chiederlo all’inserviente. Cameriere!”.
Scoppiai a ridere. Non riuscivo più a contenermi.
Poi il treno ripartì sbuffando da Tiānjīn. (4)
Non appena il treno fu ripartito, il cuccettista venne subito a portare al signore con i pantaloni da cavallerizzo la coperta, il cuscino e il tovagliolo inumidito nell’acqua calda.
Il signore si infilò il tovagliolo nelle orecchie e nelle narici quanto più a fondo poteva, ci si strofinò il viso per almeno un quarto d’ora ed infine, dopo averlo ben usato, lo passò ancora sulla sua valigetta per ripulirla dalla polvere.
Mi misi a contare. Nei dieci minuti che il treno impiegò dalla vecchia stazione alla stazione centrale della città, chiamò il cuccettista tra le quaranta e le cinquanta volte.
La sola volta che il cuccettista si presentò, il signore coi pantaloni alla cavallerizza gli domandò se non rientrava nei suoi compiti occuparsi dei problemi dei viaggiatori. Non ricordo che cosa rispose il cuccettista. Allora il signore fece notare che, come sapeva chiunque si trovasse su un treno, era dovere del cuccettista venire a chiedere che cosa volevano i passeggeri. Il cuccettista rispose che su un treno in corsa non si poteva spiegare tutto a tutti. Il signore cambiò quasi colore dalla rabbia. “E se il treno sbagliasse percorso?”. ll cuccettista non replicò, ma appariva molto seccato.
Il signore coi pantaloni alla cavallerizza si rimise a dormire, questa volta non prima di avermi scrollato i calzini sulla testa. Scatarrò anche, ma lo sputo, anziché cadere a terra, rimase appiccicato al soffitto dello scompartimento.
Come era prevedibile non riuscii ad addormentarmi e rimasi lungo tempo a rimuginare che, se solo avessi avuto un paio di tappi per le orecchie, avrei potuto riposare tranquillamente. C’era da compatire i passeggeri degli altri scompartimenti. Non s’erano di certo aspettati di passare la notte in bianco, ma con questo tizio che russava come una sega, non avrebbero potuto far altro che rimanere svegli tutta la notte.
La mia destinazione era Dézhōu (5), che raggiungemmo sul far del giorno. Grazie al Cielo!
Qui il treno si fermò per mezz’ora. Io noleggiai una vettura e mi feci portare in città, ma continuavo ancora a sentire, chiaro e nitido, quell’urlo: “Cameriere!”.
E, per una buona settimana, continuai ad avere dinanzi agli occhi il cuccettista che aggrottava le sopracciglia.
NOTE
(1) È uso, sui treni cinesi, distribuire ai passeggeri dei tovaglioli di spugna inumiditi in acqua bollente, detti in dialetto pechinese 毛 巾 把 (“máojīnbă ), per pulirsi il volto e le mani.
(2) La Porta di Yŏngdìng 永 定 门 (“yŏngdìngmén”) era la porta principale nella cerchia murale esterna dell’antica città di Pechino. Costruita nel 1553, fu abbattuta nel 1950 nell’ambito della nuova sistemazione urbanistica della città. Ricostruita nel 2005, ha ormai una funzione puramente monumentale.
(3) Fēngtài 丰 台 区 è un quartiere periferico di Pechino, situato a sud-ovest del centro della città.
(4) L’autore usa qui l’espressione 车 好 容 易 又 从 天 津 开 走 (“chĕ hăoróngyì yòu cóng tiānjīn kāizŏu”), vale a dire “il treno ripartì con difficoltà da Tiānjīn”. L’avverbio 好 容 易(”hăoróngyì”) significa letteralmente“con facilità”, ma, nel linguaggio informale o dialettale, ha esattamente il senso opposto : “ con difficoltà”. L’immagine può essere giustificata dal fatto che le locomotive a vapore di un tempo, sbuffando e ansimando al momento della partenza, davano l’impressione che i treni si mettessero in moto con difficoltà.
(5) Dézhou 德 州 è una città dello Shāndōng 山 东 che dista circa 300 chilometri da Pechino.
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(segue)