Mò Dì 墨 翟 (1), generalmente noto come Mòzĭ 墨 子 (“il maestro Mò”) nacque a Téngzhōu 滕 州 nel ducato di Lŭ 魯 , territorio che fa oggi parte dello Shāndōng 山 东, intorno al 470 d.C.
Di umile estrazione sociale, esercitò il mestiere di carpentiere ed acquistò una certa fama come esperto di fortificazioni.
Da giovane studiò la dottrina confuciana, di cui non gli piacque tuttavia l’importanza data ai riti e alle cerimonie, che, a suo parere, distoglievano il popolo dalle attività concrete destinate ad assicurarne la sussistenza.
Ebbe un largo seguito soprattutto tra i lavoratori specializzati e gli artigiani, che erano interessati anche ai suoi scritti di carattere tecnico.
In un periodo come quello degli Stati combattenti 戰 國 (“zhàn guó”), caratterizzato da continue guerre tra i vari regni, Mozĭ passò da uno Stato all’altro cercando di dissuadere i sovrani dai loro propositi di conquista.(2)
Della sua vita non si conoscono molti dettagli.
Si racconta che vivesse assai modestamente, senza lusso e senza ambizioni. (3)
Morì intorno al 391 a.C.
La scuola filosofica da lui fondata, il Mohismo 墨家 (“mòjiā”), fece concorrenza al Confucianesimo durante i secoli che seguirono, ma subì un duro colpo quando, come le numerose altre scuole di pensiero fiorite in quel tempo, fu perseguitata dal Primo Imperatore (4), che era un fautore delle teorie legistiche. (5)
In seguito il Mohismo fu gradualmente assorbito dal Confucianesimo, che condivideva alcuni dei suoi principî più importanti, quali la ricompensa del merito e la benevolenza verso gli altri, e, agli inizi del 1° secolo a.C., era praticamente scomparso.
Mòzĭ sviluppa la propria dottrina partendo dall’idea che la moralità di un atto debba essere valutata in relazione alle sue conseguenze.
È giusto tutto ciò che porta vantaggio alla società, è ingiusto tutto ciò che produce l’effetto contrario.
Costituiscono perciò un bene l’ordine pubblico, la prosperità economica, l’incremento demografico, che rafforzano lo Stato ed aumentano il benessere dei cittadini.
Questi risultati possono essere conseguiti tramite:
- il riconoscimento dei meriti, che porta alla nomina di funzionari onesti e competenti;
- l’imitazione del buon esempio fornito da una classe dirigente moralmente degna;
- la pratica dell’amore universale;
- la condanna delle guerre di aggressione;
- la moderazione nei consumi ed il rigetto del lusso, il quale conduce e spese sconsiderate ed improduttive;
- la rinuncia a cerimonie funebri grandiose, i cui costi spropositati possono mandare in rovina una famiglia;
- l’adesione ai voleri del Cielo, che, senza dubbio, favorisce i comportamenti vantaggiosi per la società;
- le credenze religiose che conducono a comportamenti utili per la società, in quanto divinità e spiriti vengono percepiti come esecutori della volontà del Cielo;
- la condanna delle grandi manifestazioni musicali, particolarmente gravose per le casse dello Stato; (6)
- il rigetto del fatalismo in quanto conduce all'inerzia e all'irresponsabilità.
Uno dei punti fondamentali nella filosofia di Mòzĭ è l’amore universale (兼愛 “jiàn’ài”), che il Cielo stesso desidera veder praticato dagli uomini. (7)
All’obiezione secondo cui l’amore nei confronti di tutti conduce necessariamente a trascurare i proprî genitori violando così il dovere della pietà filiale, il filosofo risponde che l’amore universale non contrasta affatto con l’amore per i proprî familiari. Nel capitolo del Mòzĭ intitolato “Coltivare sé stessi” leggiamo : “Quando non vogliamo bene a chi ci è vicino è inutile cercare di attirare chi sta lontano”.(8)
Logico corollario dell’amore universale è il rigetto della violenza e quindi la condanna della guerra. (9) Se l’uccisione di un uomo è un male e va deprecata, argomenta in sostanza Mòzĭ, l’uccisione di cento uomini è una male ancora più grande e va deprecata a maggior ragione. Perché allora la morte di innumerevoli uomini in una guerra non suscita la stessa reazione e le guerre di conquista vengono addirittura giustificate ed esaltate? Il giudizio morale non può cambiare secondo le circostanze, un male non può diventare un bene soltanto perché assume dimensioni enormi. (10)
NOTE
1) Poiché il termine 墨 (“mò”) significa “inchiostro”, alcuni studiosi ne hanno dedotto, senza che però esista alcun elemento concreto a sostegno di tale ipotesi, che Mòzĭ avesse subito la pena del tatuaggio sulla fronte, inflitta a coloro che erano stati condannati per taluni tipi di delitti.
2) Il capitolo del Mòzĭ 墨 子intitolato “Góngshū” 公 輸 riporta, a questo proposito, un curioso aneddoto.
Venuto a sapere che il re di Chŭ 楚 intende invadere il regno di Sòng 宋, Mòzĭ si reca alla sua corte e sfida il comandante dell’esercito Góngshŭ Pán 公 輸 盤 in nove giochi di simulazione della guerra, uscendone ogni volta vincitore. Quando Góngshŭ Pán minaccia di farlo uccidere, Mòzĭ replica che la sua uccisione non servirebbe a nulla perché ha già insegnato alle truppe del re di Sòng le migliori tecniche di manovra e di difesa. Il re di Chŭ si vede perciò costretto ad abbandonare l’idea di una guerra contro il regno di Sòng.
3) Si legge nel Mòzĭ 墨 子 , capitolo “Questioni di Lŭ”( “lŭ wèn”), paragrafo 13, che, quando il re di Yuè richiese i suoi servigi promettendogli ricchezze ed onori, il filosofo rispose che gli bastava essere ricompensato con una quantità di cibo sufficiente per nutrirlo e con abiti adatti alla sua taglia. Al paragrafo 15 dello stesso capitolo si legge che i suoi discepoli indossavano abiti confezionati con poco tessuto e mangiavano una sola volta al giorno.
Nel “Classico dei Mille Caratteri” (千字文 “qiān zì wén”) si legge 墨悲丝染 (“mò bēi sī rǎn”), vale a dire “Mòzĭ si rattristava che la seta fosse tinta”, evidentemente perché la tintura della seta contrastava con le sue idee di semplicità e di genuinità.
4) Yíng Zhèng 嬴 政 , re di Qín 秦, assunse, dopo aver sconfitto nel 221 a.C. l’ultimo dei regni rivali, il titolo di Primo Imperatore della dinastia Qín 秦 始 皇 帝 (“qín shĭhuáng dì”).
5) Il Legismo (法家; “fă jiā”) era una scuola di pensiero la quale propugnava un governo forte ed accentratore che fondasse la sua azione politica su leggi concrete severamente applicate e non su concetti vaghi quali il perseguimento della virtù o la bontà naturale degli uomini.
6) Mòzĭ non condanna la musica in quanto tale. Consiglia invece di rinunciare ai grandi concerti pubblici, che implicano enormi costi e portano quindi ad un aumento delle tasse. Si veda il capitolo ”Contro la Musica” 非樂 (“fēi yuè”).
7) Leggiamo nel Mòzĭ 墨 子 (capitolo “La Volontà del Cielo”, Parte Terza, paragrafo 3 天志下) quanto segue: ”Qual è la volontà del Cielo a cui si deve obbedire? È il comandamento di amare tutti senza distinzioni” (曰順天之意何若?曰兼愛天下之人 “yuē shùn tiān zhī yì hé ruò? yuē jiān'ài tiānxià zhī rén”)
8) Mòzĭ 墨 子, “Coltivare sé stessi” 修身, paragrafo 1: “近者不親,無務來遠 “ jìn zhě bù qīn, wú wù lái yuǎn”). Questo punto è ribadito da un seguace di Mòzĭ, che, in un dibattito con Mencio, afferma: “Bisogna cominciare da chi ci è vicino”.
9) Mòzĭ condanna ovviamente la guerra di conquista, che si traduce in un “attacco ingiusto” ( 非攻“fēi gōng”), non la legittima difesa.
10) Si veda il capitolo “Guerra Ingiusta”, Parte Prima, 非攻上 (“fēi gōng shàng”). Ritroviamo la stessa contraddizione anche nell’atteggiamento mentale degli Occidentali. Chi uccide un solo uomo è un assassino. Alessandro, Cesare, Napoleone, che hanno mandato alla morte innumerevoli uomini, sono grandi e gloriosi conquistatori.