Zhāng Xù 張 旭 (710 d.C.-750 d.C.), nativo di Sūzhōu 蘇 州 , fu un famoso calligrafo dell’epoca Táng 唐 朝 , cultore dello stile corsivo (草 書 “căoshū), del quale fu uno dei massimi esponenti.
Amava molto il bere ( non per nulla fece parte del Gruppo degli Otto Immortali del Vino 飲中八仙 (yǐnzhōng bāxīan ) e secondo la leggenda componeva le sue calligrafie usando i capelli come pennello quand’era ubriaco, stupendosi poi di non riuscire a produrre nulla di egualmente valido quando era sobrio.
La sua maestria nello stile corsivo gli valse il soprannome di “santo del corsivo” ( 草 聖 “căoshèng” ). Si dice che avesse tratto ispirazione dai gesti di alcuni portatori che lottavano per aprirsi il cammino in una strada bloccata dalla scorta di una principessa o dalle mosse rapide e scattanti della famosa ballerina Gōngsūn 公 孫 大 娘 nella sua celebre esecuzione della “Danza della Spada”( si veda in proposito il preambolo della poesia di Dù Fŭ intitolata: “Canto composto guardando un’allieva della prima ballerina Gōngsūn eseguire la danza della spada”.- 觀 公 孫 大 娘 第 子 舞 劍 器 行 并 序 ”guān gōngsūn dà niáng dì zĭ wŭ jiàn qì xíng bíng xù”).
A causa delle frequenti ubriacature, che lo portavano spesso a comportarsi in modo sconsiderato, fu anche chiamato “Zhāng il matto” 張 顛 (“zhāng diān”).
La poesia che segue è una variazione sul tema del villaggio nascosto, un paese felice, al di fuori del tempo e dello spazio, che un pescatore scopre per caso, una sera, inoltrandosi in una caverna sulla riva di un torrente fiorito, e che non riuscirà mai più a ritrovare.
Questo tema fu trattato, per la prima volta, da Tào Yuān Míng 陶 淵 明 in un suo breve racconto intitolato “La storia della sorgente dei fiori di pesco” (桃 花 原 記 “táo huā yuán jì” ) e fu ripreso, in seguito, da Wáng Wéi 王 維 in una sua poesia giovanile intitolata “Il canto della sorgente dei peschi” (桃 原 行 “tào yuán xíng”):
Zhāng Xù si trova una sera di primavera in riva ad un torrente: un ponte immerso nella nebbia, che non sembra condurre da nessuna parte, ma che, proprio per questo, potrebbe condurre dappertutto, rocce e scogli, la barchetta di un pescatore, petali di fiori trascinati dalla corrente.
La suggestione è troppo forte. Perché quel pescatore solitario non potrebbe essere quello che scoprì una volta il villaggio incantato?
IL TORRENTE DEI FIORI DI PESCO
Il ponte sospeso si perde (1)
nella nebbia della pianura. (2)
Uno scoglio presso la riva, (3)
una barca di pescatori. (4)
Al tramonto, i fiori di pesco (5)
galleggiano nella corrente.(6)
Mi porterà il chiaro ruscello
alla caverna dei miei sogni?(7)
桃 花 溪 táo huā xī
陰 陰 飛 橋 隔 野 煙 yĭn yĭn fēi qiáo yĕ yàn
石 磯 西 畔 問 漁 船 shì jī xī pān wén yú chuán
桃 花 盡 日 隨 流 水 táo huā jìn rì suí liú shuĭ
洞 在 青 溪 何 處 邊 dòng zài qīng xī hé chù biān
NOTE
1) Il termine 飛 橋 (“fēi qiáo” “ponte volante”) indica semplicemente un ponte di una certa altezza ( in particolare un ponte ad arco) o un ponte situato ad una certa altezza ( ad es. un ponte che colleghi le due sponde di una profonda vallata”).
2) Il termine 野 (“yĕ”) indica la “pianura non coltivata”, la “steppa”.
3) L’espressione 西 畔 (“xī pān”) indica più precisamente la “riva occidentale” del torrente. Non so se l’uso del termine “xī” 西 serva qui soltanto a fini metrici oppure abbia un significato specifico. Nel Buddhismo della Terra Pura” (淨 土 宗 “jìngtŭzōng”) si insegna che ad occidente risiede il Buddha Amithāba, in cinese Āmítuó Fó 阿 彌 陀 佛 .
4) La barca dei pescatori è un evidente riferimento al protagonista della storia raccontata da Tào Yuān Míng. Non ho tradotto il termine “wén” 問 (“domandare”) per ragioni di metrica, ma ho cercato di riprenderlo implicitamente, dando all’ultimo verso la forma di un’interrogazione.
5) L’espressione 盡 日 (“jìnrì”) vale “al tramonto”, “al calar del sole”.È questo il momento in cui, nella poesia di Wáng Wéi, il pescatore scopre la caverna attraverso cui si entra nel paese incantato:
“Questa mattina ancora spazzavo i petali da vicoli e straducole del mio villaggio. Poi ho risalito la corrente e, pescando e cogliendo legna, la sera son giunto qui”.
6) Troviamo qui un altro chiaro riferimento al racconto di Tào Yuān Míng. Nella “Storia della sorgente dei fiori di pesco” si legge infatti: “All’epoca in cui regnò la dinastia Jìn, e precisamente durante l’era Tàiyuán, ci fu un pescatore di Wŭlíng, che, un giorno,risalendo con la sua barchetta il corso di un torrente, si allontanò,senza rendersene conto, dai posti conosciuti. Improvvisamente si ritrovò in mezzo ad un boschetto di peschi fioriti. Sulle due rive, per molte centinaia di passi, c’erano soltanto alberi di pesco, dai cui rami cadevano, in un turbinio incessante, splendidi petali profumati”.
7) Letteralmente: “Da che parte il limpido ruscello (conduce) alla caverna?” (洞 在 青 溪 何 處 邊 “dòng zài qīng qī hé chù biān”.
Ecco la narrazione di Tào Yuān Míng:” Il pescheto finiva proprio accanto alla sorgente del corso d’acqua, dietro la quale si ergeva una montagna. Nella parete rocciosa si scorgeva una fenditura dalla quale sembrava filtrare un po’di luce. Il pescatore lasciò la barchetta e penetrò nella fessura della roccia che, all’inizio, era così stretta da lasciar passare una sola persona. Dopo qualche decina di passi però la galleria sbucava improvvisamente all’aperto in un’ampia pianura, tutta circondata dalle montagne, ed apparivano d’un tratto alla vista numerose e magnifiche case. C’erano bei campi, deliziosi laghetti, filari di gelsi, boschetti di bambù, ed altre cose dello stesso genere. Sui sentieri che si intersecavano tra i campi si sentivano abbaiare i cani, chiocciare le galline. Uomini e donne indossavano abiti di foggia mai vista, come gli stranieri. Vecchi e giovani avevano un aspetto lieto e sereno.”
Tutta la storia ha, senza dubbio, un significato allegorico. Il villaggio nascosto è il simbolo della vita serena cui può aspirare chi si è liberato dalle passioni mondane. Ciò è molto chiaro nella poesia di Wáng Wéi, in cui il pescatore non riesce più a ritrovare il villaggio della felicità, perché si è lasciato cogliere dalla nostalgia del suo paese, cioè si è lasciato dominare dalle preoccupazioni e dai sentimenti del mondo ( 塵 心 “chén xīn” “cuore di polvere”)