Capitolo XXI
IN VISITA ALLA MOSCHEA
Il giovedì mattina, alle ore 9, il commissario Van Kampenhout suonò al campanello dell’appartamento di rue des Sablons. Aveva infatti deciso che un sopralluogo nell’appartamento ed in particolare nella camera di Malgorzata Dombrowska avrebbe potuto portare alla scoperta di qualche elemento che permettesse di illuminare meglio le abitudini e la personalità della vittima ed aveva perciò preso contatto con Irina Lupescu e Vera Zadonskaya perché fossero presenti e gli aprissero la porta. Irina aveva risposto che purtroppo doveva assolutamente essere in ufficio alle 8 , ma Vera s’era dichiarata disponibile ad attendere il commissario, pur facendo rilevare che la stanza della povera Malgorzata era chiusa a chiave e che nessuna delle coinquiline disponeva di una copia delle chiavi delle altre. Van Kampenhout le aveva detto di non preoccuparsi, che questo non sarebbe stato un problema.
Vera aprì la porta e fece entrare il commissario, ed i due agenti che lo accompagnavano, nel salotto dell’appartamento, da cui partiva un breve corridoio lungo il quale erano situate le singole stanze, la cucina ed il bagno. Mentre i due agenti armeggiavano con la porta della stanza, il commissario rimase un attimo nel salotto con Vera. La sua attenzione fu subito attirata da un paio di fotografie, incorniciate alla buona, che erano esposte sulla mensola di una commode. Nella prima, sullo sfondo verde di un giardino o di un parco, si vedevano tre ragazze in tuta blu da ginnastica, alte, bionde e sorridenti, che tenevano in braccio, come fosse un tappeto da srotolare o un pacco di roba vecchia da buttare, un’altra ragazza anch’essa in tuta, mingherlina, un po’ imbronciata, che sembrava non apprezzare affatto la sua scomoda posizione.
“E`una foto che ci siamo fatte scattare da Giandomenico qualche mese fa durante una gita” gli spiegò Vera che aveva notato come l’attenzione del commissario fosse stata attirata dalla fotografia.
“Quale delle tre è la vittima?” le domandò il commissario “ Con lo stesso berretto a visiera e la stessa tuta sportiva sembrate tutte uguali”.
“Questa sono io”” rispose Vera indicandosi col dito, questa qui in mezzo è la povera Malgorzata e quest’ultima ragazza è Monika, che lei non ha avuto occasione di conoscere, perché è in Inghilterra per una settimana di vacanze…Dalla faccia di Irina, si vede bene che non è un tipo da apprezzare gli scherzi… Cara Irina, in fondo non è cattiva, ma è così seria, così noiosa..”.
“ E questa foto?” chiese con interesse il commissario, indicando una seconda foto di gruppo in cui comparivano accanto alle quattro ragazze anche due uomini, in uno dei quali, sulla trentina, Van Kampenhout riconobbe Nikos Papageorgios, mentre l’altro, un uomo dall’aria distinta, vestito con cura ed eleganza, ma più anziano, già sui quaranta, che dava il braccio da una parte a Malgorzata e dall’altra a Monika, gli era completamente sconosciuto”.
“È un’altra foto presa da Giandomenico” rispose Vera” ma non nella stessa occasione.
Qui, eravamo un gruppo formato da noi ragazze, da Giandomenico, da Nikos e da Joaquín, il ragazzo – chiamiamolo così anche se ha almeno una dozzina d’anni più di noi- che esce con Monika. Monika vorrebbe trasformare questo rapporto in qualcosa di più serio, ma lui attende ancora le istruzioni della madre”. “Sa, questi mediterranei” aggiunse con un sorriso di compatimento “ sono degli eterni mammisti”.
“Ed il signor Stevenson non faceva parte del gruppo? “ domandò con una certa impertinenza Van Kampenhout.
“No” rispose con semplicità Vera, la quale sembrò non accorgersi che la domanda era del tutto fuori luogo “ Alistair ritiene che queste riunioni di ragazzotti, come le chiama lui, non siano altro che l’occasione di fare sciocchezze e di dire un sacco di banalità e mi ha addirittura rimproverata di partecipare a queste escursioni. Povero Alistair, è un ragazzo simpatico ed un perfetto gentiluomo, ma qualche volta mi annoia. È bello parlare sempre di letteratura, di musica e di teatro, mangiare nei migliori ristoranti, vestire solo abiti su misura..ma ogni tanto ho bisogno anch’io di mangiare un hamburger, di dire qualche parolaccia, di vestire in modo un po’ stravagante e di fare qualche sciocchezza. Ho solo ventisei anni, ho ancora tempo per diventare la dama imbalsamata e concettosa che piacerebbe a lui”.
Van Kampenhout ascoltò con una certa sorpresa questa risposta che gli diceva molto di più di quanto lui avesse inteso domandare.
Nel frattempo gli agenti erano riusciti ad aprire la porta della stanza senza provocare alcun danno e chiamarono il commissario, che chiese a Vera se volesse assistere alla perquisizione. La ragazza rispose che non avrebbe potuto comunque essere di alcun aiuto, ma sarebbe rimasta in salotto, a disposizione per fornire qualsiasi chiarimento che potesse essere necessario.
La ricerca metodica effettuata dal commissario e dai suoi due collaboratori tra le cose della vittima non portò alla luce nulla di particolarmente interessante. Furono rovistati con cura ogni armadio, ogni comodino, ogni cassetto Si guardò nelle tasche dei soprabiti, dei jeans. Si frugò nelle borsette. Furono spostate e controllate pile di sottovesti, di fazzolettini bianchi e colorati, di collant, di mutandine, tutta biancheria piuttosto anonima, che aveva l’aria di essere stata comprata al supermercato e Van Kampenhout non poté fare a meno di pensare alla frase impietosa di Stevenson sulla volgarità di molte ragazze che si davano delle arie. Anche la povera Malgorzata non sembrava aver fatto eccezione: cappelli eleganti, foulard griffati, borse di Vuitton e poi, per l’intimo, roba dozzinale, di serie.
Nonostante la minuziosità della perquisizione, non fu trovato alcun documento relativo alla questione di successione di cui aveva parlato il signor von Waldenburg. La ragazza doveva aver nascosto per prudenza il testamento in una cassetta postale o in una cassetta di sicurezza di cui teneva le chiavi in borsa, e la sua borsetta era sparita con tutto il resto del suo abbigliamento. In un tiretto furono però trovate varie tessere di abbonamenti a spettacoli teatrali, a cineforum e a palestre, nonché le tessere di iscrizione ad alcune associazioni culturali. L’attenzione del commissario si risvegliò improvvisamente quando fra le varie tessere comparve anche quella dell’Associazione per l’Appoggio alla Palestina Libera, con sede presso la Moschea del Boulevard du Cinquantenaire a Bruxelles. La tessera era firmata dallo stesso imam della moschea, il dottor Rafik Al Ramzani, di cui il commissario aveva spesso sentito parlare in occasione delle varie polemiche che si accendevano regolarmente intorno agli immigrati musulmani in Belgio e delle numerose inchieste dell’antiterrorismo che puntualmente finivano per coinvolgere qualche frequentatore della moschea.
Van Kampenhout sentì che era capitato su una pista calda che era opportuno non trascurare.
...
“Salam aleikum” disse il dottor Rafik Al Ramzani, imam della moschea di rue du Cinquantenaire, invitando con un largo sorriso il commissario a prendere posto nel suo ufficio, le cui pareti erano ornate da numerosi quadri che riportavano ciascuno qualche versetto del Corano nei più diversi stili calligrafici. “ Sono lieto di aver potuto trovare un momento per riceverla subito, perché in questi giorni, con tutte le polemiche che sono sorte sul velo musulmano, il “burka”, il “chador”, il “hijab”, non ho più un attimo libero, tutti vogliono conoscere il mio parere, tutti mi vogliono intervistare.
Lei è un giornalista, signor Van Kampenhout?”.
“La ringrazio della sua gentilezza, dottore, e mi dispiace deluderla “ fece Van Kampenhout , accomodandosi su una poltrona del salottino accanto alla scrivania “ ma sono il commissario di quartiere di rue de la Loi”.
Il sorriso dell’imam si attenuò un poco. “Noi abbiamo ottimi rapporti con tutte le istituzioni dello Stato e rispettiamo attentamente tutte le leggi” scandì lentamente.“In che cosa posso esserle utile?”.
“Ecco “tossicchiò Van Kampenhout “Desidererei ottenere da lei qualche informazione sulla signorina Malgorzata Dombrowska. Sappiamo che era iscritta all’Associazione per l’Appoggio alla Palestina Libera, di cui lei è il responsabile locale qui a Bruxelles”.
Ogni traccia di sorriso scomparve dal volto del dottor Al Ramzani. “Ecco “ fece duramente “ Basta che qualcuno si impegni per la libertà di un popolo oppresso e per voi è già un bieco terrorista. Che cosa ha fatto questa signorina? Ha fatto saltare l’ambasciata americana? Sta reclutando volontari per la guerra santa in Afghanistan? Pensate che si sia rifugiata nella mia moschea? Prego, dia pure ordine di perquisire tutto. Troverà solo persone che pregano e giovani che studiano o che si occupano di attività sociali. Faccia, faccia pure”.
Van Kampenout capì subito che il dottor Al Ramzani non leggeva i giornali belgi né ascoltava la televisione. Era vero che, trattandosi di un delitto che coinvolgeva un’istituzione delle Comunità europee, la polizia aveva gentilmente chiesto ai mezzi di informazione di non dare troppo risalto all’avvenimento, ma la notizia era comunque stata pubblicata anche se non in prima pagina o in apertura dei telegiornali.
Il commissario si chiese come il dottor Al Ramzani avesse potuto frequentare un’università belga ed ottenervi un titolo di studio senza mostrare il minimo interesse per la società in cui viveva. Forse – pensò – il dottor Al Ramzani era stato da giovane molto più aperto ed aveva avuto una di quelle conversioni tardive che sono sempre le più radicali.
“No, no” non mi fraintenda “ si affrettò a dire Van Kampenhout “La signorina Malgorzata Dombrowska è stata vittima di un omicidio negli uffici di un’istituzione europea. Nell’ambito delle indagini che stiamo conducendo su questo delitto, stiamo controllando tutte le frequentazioni della vittima ed abbiamo scoperto che faceva parte di un’associazione con sede in questa moschea. È nostro dovere controllare tutte le tracce per giungere il più presto possibile alla soluzione del caso”.
“E naturalmente, non appena avete trovato la “ islamic connection”, questa è diventata per voi la pista privilegiata. C’era da aspettarselo” borbottò con evidente malumore Al Ramzani.
“Posso garantirle che non è così , dottore” replicò con fermezza Van Kampenhout”. Le assicuro che noi non siamo mossi da alcun pregiudizio nei confronti della comunità musulmana, ma devo al tempo stesso chiederle di collaborare con noi a chiarire alcuni elementi che sembrano mettere in rapporto la vittima con la moschea di cui lei è l’imam”.
“Va bene” fece di malavoglia Al Ramzani “ Non c`è motivo per cui dei cittadini rispettosi delle leggi come noi siamo non debbano collaborare onestamente con la polizia. Mi dica che cosa desidera sapere”.
“ Potrebbe dirmi se la signorina Dombrowska frequentava la moschea e se partecipava a determinate attività religiose, sociali o politiche organizzate in questa sede? Lei la conosceva personalmente?”.
“Sì “ rispose Al Ramzani “ Le donne di origine europea che partecipano ad attività religiose, sociali o culturali nell’ambito della moschea non sono molto numerose e quindi me le ricordo abbastanza bene. In genere si tratta di ragazze che hanno sposato un musulmano e che frequentano corsi di istruzione religiosa per imparare a vivere conformemente ai principi del Corano. Ma la signorina Dombrowska non rientrava in questa categoria e non mi sembra di ricordare che mi abbia mai manifestato una seria intenzione di convertirsi all’Islam. Quando mi si presentò qui alla moschea mi disse che aveva un forte interesse per la civiltà e la religione islamica nonché per la lingua araba e che inoltre si sentiva moralmente in dovere di sostenere in modo concreto la causa palestinese …Le risposi che qui da noi avrebbe potuto rendersi utile alla causa palestinese ed inoltre approfondire i suoi interessi linguistici e culturali”. “ “Contrariamente a quello che voi pensate e scrivete” continuò polemico” il Profeta – la pace e la benedizione di Allah siano su di lui - non ha mai affermato che le donne non sono in grado di studiare o di operare per il bene della società e quindi le attività che noi svolgiamo sono aperte alle donne senza discriminazioni”.
“Posso permettermi di domandarle a quali delle attività organizzate dalla moschea partecipava la signorina Dombrowska ?” chiese Van Kampenhout.
“Certamente” fece l’imam “ Tutte le nostre attività sono legittime e si svolgono alla luce del sole. Anzi, per poterle rispondere con precisione, vado a prendere i registri che riportano le iscrizioni ai vari corsi di istruzione religiosa e di lingue, alle attività sociali ed all’azione politica.”.
Si avvicinò ad uno scaffale accostato alla parete e ne trasse un grosso registro, che cominciò a consultare con attenzione.
“Ecco, ora che mi ricordo meglio, la signorina Dombrowska era una persona per così dire molto irrequieta. Ha cominciato iscrivendosi ad una classe di studio dell’arabo e contemporaneamente ad una classe di istruzione religiosa, ma dopo un po’ ha abbandonato entrambi i corsi affermando che la lingua araba era troppo difficile per lei e che il corso di istruzione religiosa, che implicava lo studio del Corano, era impossibile senza una conoscenza approfondita della lingua. Allora è passata alle attività sociali che richiedono di entrare in contatto con le famiglie musulmane dei diversi quartieri di Bruxelles per apportare loro aiuto materiale e sostegno morale.
I nostri gruppi di aiuto sociale erano formati da uomini e donne e le capitava spesso di accompagnare degli uomini nell’esercizio di queste attività. Ma mi ricordo di aver dovuto ascoltare molte lamentele da parte di questi uomini particolarmente pii perché spesso si presentava in pantaloni e senza mettere un velo sui capelli. Noi non siamo retrogradi – sia ben chiaro – ma consideriamo ancora la modestia ed il decoro delle donne un bene particolarmente prezioso. Dopo queste lamentele, di cui dovetti farle parte, la signorina Dombrowska decise di lasciar perdere le attività sociali e di dedicarsi piuttosto all’opera di sostegno alle organizzazioni palestinesi….Negli ultimi tempi è stata molto attiva in questo settore, partecipando all’organizzazione di proteste e dimostrazioni, distribuendo volantini, collaborando alla redazione di circolari. Sembrava che finalmente , dopo aver girato tutti i nostri settori d’attività, avesse trovato dei compiti che la soddisfacevano pienamente, che le facevano sentire di star compiendo una missione giusta e santa…”.
Il commissario Van Kampenhout si distrasse un attimo seguendo un pensiero che gli era improvvisamente balenato nella testa e, quando guardò di nuovo in faccia l’imam, vide che questi lo stava osservando in silenzio con aria interrogativa.
“Mi scusi “ si affrettò a dire “ l’accenno all’azione politica mi ha fatto pensare alle polemiche in cui è stata coinvolta la moschea…molto spesso è stata accusata di fornire un asilo agli estremisti ed ai terroristi, a coloro che predicano la guerra santa ed a coloro che reclutano volontari per la guerriglia in Afghanistan e molte indagini di polizia sono spesso arrivate fin qui intorno..”.
“Finora” lo interruppe seccamente Al Ramzani “ queste indagini hanno perso il tempo che trovavano. Le ho detto e le ripeto che noi siamo musulmani coerenti con il Corano, totalmente alieni da ogni estremismo , salvo che si consideri tale l’adesione sincera all’insegnamento del Profeta – la pace e la benedizione di Allah siano su di lui- ed estranei ad ogni violenza. La persecuzione che subiamo a causa dei vostri pregiudizi renderà più forte la nostra fede e farà brillare ancora di più la nostra innocenza. Se per caso qualche malintenzionato dovesse essersi mescolato ai nostri fedeli, sarebbe assurdo ed ingiusto darne la colpa a me ed ai miei colleghi. Noi siamo i responsabili di un istituto religioso ed esercitiamo tutta la sorveglianza che possiamo…ma non abbiamo né i mezzi, né gli obblighi, né la mentalità di un corpo di polizia”.
Van Kampenhout preferì non cogliere la provocazione e rinunciare ad ogni polemica sugli obblighi d’attenzione dell’imam e dei suoi collaboratori, anche se personalmente nutriva qualche dubbio sull’impegno con cui Al Ramzani dichiarava di opporsi agli estremisti.
“Sarebbe interessante “ proseguì” sapere se anche altri colleghi della signorina Dambrowska partecipavano alle attività della moschea”.
“Noi non abbiamo segreti “ osservò Al Ramzani “ Vediamo pure insieme i registri”.
Invitò Van Kampenhout a prendere posto accanto a lui e cominciò a sfogliare il registro.
“Vediamo… Ecco,al corso di primo livello di lingua araba Rodolfo Vasquez Blanco, Mary Callaghan, professione indicata: funzionari della Commissione, Malgorzata Dombrowska nota: ha abbandonato il corso dopo un mese e mezzo... al corso di quarto livello di lingua araba, Jessica Powell e Bruno Liberati, al corso di quinto livello, Yussuf al Faransi, funzionario della Commissione… poi altri del Consiglio,
del Parlamento, del Comitato delle Regioni ecco, di nuovo uno della Commissione,
al corso di approfondimento del Corano…Pierre de Laval de la Vigerie …altri del Parlamento…ed al corso di approfondimento in poesia e letteratura arabe….Irini
Daskalopoulou e Nikos Papageorgios, della Commissione……..nei gruppi di attività sociale e di aiuto ai poveri Fatma al Jazairi e Zainab Labbani, della Commissione,
Malgorzata Dombrowska nota: è uscita dal gruppo dopo due mesi….nei gruppi di sostegno al popolo palestinese…ecco c`è un bel gruppo di funzionari delle Comunità… vediamo per la Commissione: Ulrich Meinecke, James Blackburn, Clarissa Kent, Malgorzata Dombrowska, Pekka Rantanen, Lisa Lundholm, Ekaterini Kavafi, Nikos Papageorgios e Vladimiro Russo” “
“Che mi può dire del signor Nikos Papageorgios” domandò Van Kampenhout.
“Tutto il bene possibile” fu la risposta” È una persona estremamente intelligente, capace e determinata. Ha seguito con assiduità e grande profitto tutti i corsi di arabo ed ha conseguito una padronanza della lingua che gli consente ora di approfondire la poesia e la letteratura araba. Non ha alcuna intenzione di convertirsi all’Islam, ma ci siamo sempre trovati sulla stessa lunghezza d’onda per quanto riguarda la lotta all’oppressione ed all’ingiustizia, anche se Nikos la inquadra piuttosto nell’ottica della lotta generale contro il capitalismo e l’imperialismo, mentre noi la vediamo invece come un obbligo che ci viene imposto dai valori religiosi fondamentali che ci ha insegnato il Profeta – la pace e la benedizione di Allah siano su di lui. Collabora con tutti i gruppi che operano per la difesa del popolo palestinese, conosce tutti, è attivo, dinamico, sempre pronto ad aiutare. Sono sicuro che questo basta per classificarlo tra i cattivi soggetti che frequentano questo covo di terroristi e di criminali, come del resto tutti gli altri funzionari della Comunità che hanno simpatia per noi “ terminò con palese sarcasmo il dottor Al Ramzani.”.
“Non mi sono mai permesso di dubitare dell’onestà dei frequentatori di questa moschea” replicò, con un pizzico di ipocrisia, Van Kampenhout “ e la ringrazio, dottor Al Ramzani, della sua collaborazione, che ci sarà molto utile per il buon esito delle indagini. Salam aleikum”.
“Wa aleikumu –ssalam” rispose l’imam, mentre lo accompagnava verso la porta senza troppo preoccuparsi di nascondere la soddisfazione di essersi finalmente liberato di quell’importuno visitatore.
Ritornando a casa, Van Kampenhout riflettè sull’idea che gli era venuta durante il colloquio con Al Ramzani. Da quanto gli risultava dalle indagini finora compiute Malgorzata Dombrowska non sembrava il tipo suscettibile di essere colto da una improvvisa crisi mistica né di impegnarsi, senza precisa necessità, in uno studio lungo e difficile come quello della lingua araba né di dedicarsi anima e corpo ad una causa sociale o politica. Del resto, anche nell’ambito della moschea, i suoi entusiasmi erano stati di breve durata ed era passata da un’attività all’altra senza mai rimanervi a lungo e senza ottenere grandi risultati…A meno, appunto, che il risultato perseguito non fosse proprio quello di inserirsi in un determinato gruppo. Visto in questa prospettiva il comportamento della vittima sembrava improvvisamente significativo..
Il commissario sapeva bene che la moschea era sospettava di essere un centro d’incontro e di attività di estremisti e di terroristi, o almeno di fiancheggiatori dei terroristi, anche se questi sospetti non erano mai stati provati e che cosa c’era di meglio, per scoprire finalmente qualcosa, che infiltrare in quell’ambiente una persona apparentemente innocua, assolutamente insospettabile?..Ma se così fosse stato- si chiese Van Kampenhout – avrebbe già dovuto trovarsi tra i piedi l’antiterrorismo ed i servizi segreti. Ci pensò su un momento e concluse che non era necessariamente il caso: poteva darsi che i servizi stessero già occupandosi della cosa, senza aver ritenuto necessario informarlo o poteva anche darsi che, non essendoci a priori nessun motivo di pensare che un delitto avvenuto all’interno della Commissione fosse di matrice islamica, stessero aspettando di vedere i risultati delle prime indagini, riservandosi di intervenire solo ove non fosse stato accertato che si trattava di un crimine “comune” quale un omicidio per gelosia, un tentativo di violenza conclusosi tragicamente o cose del genere.
Se gli eventuali terroristi – continuò a ragionare il commissario- si erano accorti di essere spiati da vicino e di essere in pericolo, avrebbero potuto decidere di eliminare l’infiltrato, facendolo sopprimere da una persona fidata ed insospettabile, in un luogo e secondo modalità che non permettessero in alcun modo di risalire alla pista della moschea..
Nikos Papageorgios, funzionario della Commissione, stimato, intelligente, in contatto quotidiano con la vittima, sarebbe stato la persona ideale per svolgere tale compito senza lasciare tracce.
Il commissario si accorse che la lista di coloro che avrebbero avuto valide ragioni di sopprimere la vittima si stava allungando sempre di più.
Capitolo XXII
UNA MEMORIA FOTOGRAFICA
Il venerdì mattina, mentre si recava alla Commissione, il commissario Van Kampenhout si imbatté in una persona che lo salutò cordialmente con uno squillante“Come va, signor commissario?”.
Il commissario guardò l’individuo che gli stava di fronte con aria stupita, non riuscendo a ricordarsi subito di chi si trattasse. Non era certamente uno dei funzionari sospettati, con ciascuno dei quali aveva parlato a lungo e che avrebbe riconosciuto subito. Doveva trattarsi di una persona che aveva incontrato per caso, brevemente, durante le giornate trascorse alla Commissione, ma chi poteva ben essere?
Lo sconosciuto non gli diede il tempo di pensarci su e gli domandò subito: “Non mi riconosce, signor commissario?. Sono Eleuterio Aragón Quiroga. Abbiamo avuto insieme un’interessantissima discussione sulla storia della Slesia l’altro giorno”.
Van Kampenhout capì allora chi fosse il suo interlocutore, anche se non si trovava d’accordo con lui sul fatto di aver partecipato ad una discussione sulla storia della Slesia. A suo parere, più che una discussione, era stata una lezione non richiesta, per quanto piena di dottrina e, tutto sommato, utile per lo sviluppo delle indagini. Ma, per cortesia, si astenne dal farglielo rilevare.
“Mi scusi” disse “ Non l’avevo riconosciuta. Ci siamo incontrati l’altro giorno per un paio di minuti. Ma lei come ha fatto ha riconoscermi, qui in mezzo alla gente, per di più con il berretto e l’impermeabile?”.
“ Non c`è nessun problema” affermò, orgoglioso di sé, Eleuterio Aragón Quiroga “Io ho una memoria fotografica. Non c’è nessun particolare di tutto ciò che vedo o sento durante la giornata che mi sfugga e sono in grado di ricordarmi dettagli anche minimi addirittura settimane dopo”.
“Ci sarebbe stato molto utile” commentò tristemente Van Kampenhout “se si fosse trovato al Berlaymont la sera del delitto. Chissà quanti dettagli avrebbe ricordato che potrebbero essere rilevanti ai fini delle indagini se quella sera avesse incontrato la vittima”.
“Non l’ho incontrata quella sera, ma l’ho vista qualche giorno prima in città” replicò piccato Eleuterio Aragón Quiroga “ e lei mi insegna, commissario, che in un’indagine penale anche la ricostruzione dei movimenti della vittima nei giorni precedenti il delitto può costituire una tessera importante per il completamento del mosaico che ci fornirà una visione globale della situazione e quindi la soluzione del caso”
“Lei non ha del tutto torto” ammise controvoglia Van Kampenhout” ma mi dica, che cosa le fa pensare che quello che lei ha visto qualche giorno prima del delitto possa essere rilevante ai fini delle indagini ?”.
“Questo non lo so e non tocca a me dirlo” rispose Eleuterio Aragón Quiroga “Ma è una questione di metodo. Se io fossi commissario di polizia, non trascurerei nessuna testimonianza che abbia un qualche collegamento con l’oggetto delle indagini, anche se apparentemente priva di importanza. Ma il commissario è lei e può fare quello che vuole”.
“Va bene” si rassegnò Van Kampenhout” mi dica che cosa ha visto in città qualche giorno prima del delitto”.
“Era il giovedì della settimana scorsa. Stavo attraversando la Grand-Place per recarmi nella Galerie Albert a ritirare dal mio libraio un’edizione originale di “Les fleurs du mal”, che aveva scoperto per caso qualche giorno prima, quando gli eredi di un’anziana signora gli avevano offerto senza alcun rimpianto l’intera biblioteca di famiglia, e che mi aveva subito proposto conoscendo il mio interesse per l’antiquariato librario. Ad un certo punto, il mio sguardo fu attirato da una bella ragazza bionda, che sedeva con altre persone ad un tavolo all’aperto della Chaloupe d’Or. Credo di averla notata, perché mi ricordavo di averla incrociata alcune volte al Berlaymont e nei corridoi della Direzione della Traduzione. Sembrava di ottimo umore ed ascoltava con particolare interesse quanto le stava dicendo una signora un po’anziana, ma molto distinta ed elegante, con un’aria decisa e sicura di sé. Accanto a loro stava seduto un uomo, abbastanza giovane, ma comunque intorno alla quarantina, anche lui vestito con cura ed eleganza, che ascoltava con interesse ciò che le due donne stavano dicendo. C’era anche una coppia sulla cinquantina, elegante, ed una ragazza adolescente che poteva essere la figlia della coppia. Qualche giorno dopo, guardando sui giornali la fotografia della vittima, mi son ricordato che era proprio quella ragazza che avevo visto sulla Grand Place ”.
“Bene” fece Van Kampenhout , un po’scettico “Lei potrebbe aiutarci a fare un identikit delle persone che erano con la vittima e potremmo distribuirlo in giro, ma sarebbe davvero l’”ultima ratio”, lo strumento a cui in genere ricorriamo per la cattura di pericolosi criminali e mi sembrerebbe piuttosto controproducente usarlo per individuare un paio di persone che, con tutta probabilità, sono assolutamente oneste ed incensurate”.
“Mi sembra che si possa fare un’altra cosa” suggerì Eleuterio Aragón Quiroga” Lei sa, commissario, che, gira e rigira, i comunitari finiscono sempre per ritrovarsi fra di loro. Io direi quindi che ci sono almeno 90 probabilità su 100 che le persone che ho visto sulla Grand Place siano funzionari della Comunità, se non addirittura della Commissione. Ogni istituzione prende, per preparare la tessera di identificazione, il cosiddetto “badge”, la foto di ciascuno dei suoi dipendenti. Lei faccia in modo che le diverse amministrazioni mi facciano avere sul computer l’archivio delle foto ed io le assicuro che, se si tratta di dipendenti delle istituzioni, li riconoscerò subito”.
“Non mi pare una cattiva idea” osservò Van Kampenhout , improvvisamente interessato. “ Se lei mi permette, potremmo però per cominciare, restringere un po’il campo della ricerca. In prima battuta, io escluderei la signora anziana, che, in considerazione dell’età, anche se avesse lavorato alle Comunità, probabilmente sarebbe già in pensione. Inoltre, sempre in base al calcolo delle probabilità, comincerei con i dipendenti della Commissione, riservandomi, solo in caso di insuccesso, di estendere la ricerca ai funzionari delle altre istituzioni. Lei, che cosa ne pensa?”.
“Sono pienamente d’accordo con lei” acconsentì Eleuterio Aragón Quiroga “ e, per fare più presto, suggerirei di prendere in considerazione solo i funzionari maschi tra i 40 e i 50 anni, visto che gli uomini della Grand-Place erano tra i quaranta ed i cinquanta. Escluderei dalla ricerca non solo la signora anziana, ma anche le altre donne, perché la signora più giovane era vestita come una persona che ha il tempo di passare tutta la sua giornata nelle boutique, e la ragazzina non poteva di certo essere una funzionaria della Comunità. La Commissione ha a Bruxelles 10.705 dipendenti , di cui 5.904 sono donne. Restano quindi 4.801 dipendenti di sesso maschile, di cui si può presumere che un po’meno del 30% siano nella fascia d’età compresa fra i 40 ed i 50 anni, il che ci darebbe circa 1.500 fotografie da esaminare.
Se Lei riesce a convincere l’amministrazione a trasmettere sul suo computer le foto dell’archivio dei dipendenti preselezionate secondo i criteri che abbiamo indicato e riesce a convincere il direttore della traduzione a lasciarmi libera la giornata di oggi perché io possa venire nel suo ufficio a visionare le foto, posso garantirle che, se uno dei due uomini lavora alla Commissione, entro stasera l’avrò identificato. Sono disposto a rimanere anche fino a notte, se fosse necessario”.
Van Kampenhout ringraziò Eleuterio Aragón Quiroga della sua offerta di aiuto, disse che avrebbe fatto tutto il necessario per rendere possibile la ricerca e si fece dare il suo numero di telefono per contattarlo.
Tre quarti d’ora dopo, Eleuterio Aragón Quiroga ricevette una telefonata dall’agente Pauwels che, per conto del commissario Van Kampenhout, lo invitava a recarsi nell’ufficio messo a disposizione di quest’ultimo per visionare con calma le foto dei funzionari della Commissione.
Nel frattempo il commissario aveva fatto il punto della situazione. Era sempre più convinto, per una sorta di convinzione intima, di intuizione, che prescindeva da ogni riscontro obiettivo, che il colpevole andasse ricercato all’interno delle mura del Berlaymont. Escludendo in un primo momento le donne delle pulizie , che terminavano abitualmente il loro lavoro un po’ prima dell’ora in cui era stato compiuto il delitto, ed i sorveglianti, che sembravano in linea di massima non avere avuto rapporti con la vittima e non aver quindi avuto alcun movente ( tolta, come sempre possibile seppur altamente improbabile, l’ipotesi di un atto di gelosia o di un tentativo di violenza finito male), i sospetti si appuntavano soprattutto sul gruppo di funzionari presenti nell’edificio la sera del delitto, nessuno dei quali aveva un alibi a prova di bomba, mentre molti avevano addirittura moventi più che plausibili per essere indotti ad un delitto. Era vero che per Vera Zadonskaya, Ursula Schönhofen, Alistair Stevenson, Irina Lupescu e Giandomenico Scannabue non erano emersi possibili moventi, ma il commissario si domandò sorridendo fra sé se un supplemento di interrogatorio non avrebbe portato anche questi personaggi nella cerchia privilegiata degli individui per cui i sospetti di colpevolezza erano diventati più consistenti.
Sempre sorridendo, prese la cornetta del telefono e compose il numero di Alistair Stevenson. Qualcuno sollevò il ricevitore dall’altra parte, ma prima che potesse rispondere il commissario sentì nella cornetta gli strilli acutissimi di una voce femminile apparentemente fuori di sé. “ Alistair Stevenson, chi parla?” rispose una voce calma ed educata, mentre sullo sfondo si moltiplicavano le urla in una lingua sconosciuta, di cui il commissario riuscì ad isolare, pur senza comprenderle, alcune parole ripetute con rabbia che suonavano come “ sobáka” e “ciört vasmí”.
“ Avrei bisogno di parlarle ancora per chiarire qualche dettaglio della sua testimonianza, signor Stevenson. Quando sarebbe disponibile?” domandò gentilmente il commissario facendo finta di non sentire il baccano infernale che imperversava proprio alle spalle del compassato gentiluomo.
“Sono disponibile anche subito e, se lei è d’accordo, mi sembrerebbe più comodo venire subito da lei” propose Alistair Stevenson con una voce in cui al commissario parve di cogliere un dissimulato, ma evidente senso di sollievo, ed aggiunse, con un understatement tutto britannico: “Interrompo la conversazione in corso e sono da lei tra un paio di minuti”.
Quando il signor Stevenson apparve, alcuni minuti più tardi, sulla soglia dell’ufficio del commissario, tutto il suo atteggiamento mostrava la più assoluta serenità d’animo ed al commissario parve che qualsiasi domanda con riguardo a ciò che aveva appena sentito sarebbe stato del tutto sconveniente.
Fece dunque accomodare il suo ospite e gli spiegò che aveva ritenuto opportuno incontrarlo ancora per chiarire un punto che era rimasto oscuro nella precedente conversazione. Risultava infatti dalla registrazione sul foglio di uscita che Alistair Stevenson aveva lasciato il Berlaymont alle ore 23.35 e dalla testimonianza della signorina Vera Zadonskaya che era arrivato poco prima di mezzanotte al suo appartamento di Square Ambiorix. Se si teneva conto del fatto che nessuno aveva visto il signor Stevenson dal momento del suo arrivo al Berlaymont alle 21.25 fino al momento in cui aveva lasciato il Berlaymont, se ne doveva dedurre che il signor Stevenson non aveva alcun alibi per tutta la serata del delitto.
Alistair Stevenson non batté ciglio di fronte a questa constatazione e rispose con noncuranza: “ Credo , se non vado errato, che anche per i sistemi di diritto del Continente valga il principio che non tocca al libero cittadino provare la propria innocenza, ma alla polizia provare la responsabilità di colui che è sospettato di un delitto”.
“Non desidero intavolare con lei una discussione sui principi del diritto e sull’onere della prova, signor Stevenson” replicò pazientemente il commissario Van Kampenhout “ Vorrei solo farle osservare che lei, essendosi trovato all’ora del delitto nello stesso edificio in cui la vittima è stata uccisa , ha interesse a fornire una spiegazione convincente del modo in cui ha trascorso quel periodo e di dove precisamente lo ha trascorso”.
“Questo significa” rispose serafico Alistair Stevenson “che siccome ero vicino al luogo del delitto ne sarei io il responsabile. La sua logica giuridica è ineccepibile, signor commissario.”Post hoc ergo propter hoc “ o meglio, nel caso di specie” apud hoc ergo propter hoc”. Se uno cade dalla finestra mentre io passo accanto alla porta del suo ufficio, non c`è bisogno di compiere indagini approfondite sul fatto, il responsabile sono io perché ero il più vicino. Credevo che i diritti degli Stati del continente si fossero evoluti dal tempo del Codice di Autari e della Lex romana Wisigothorum, ma evidentemente mi sbagliavo”.
“Non sono uno storico del diritto e non mi interessa sapere se i codici degli Stati europei si sono evoluti o no dal tempo delle invasioni barbariche” rispose spazientito Van Kampenhout “ Vorrei solo farle osservare che, fornendo quello che possiamo chiamare con parole povere un “alibi” lei allontanerebbe da sé ogni rischio di essere sospettato dell’assassinio della signorina Dombrowska, mentre non facendolo non può evitare di rientrare nella cerchia dei possibili colpevoli”.
“E come fate a decidere chi è il colpevole quando, per vostra disgrazia, ci sono, come in questo caso, cinque o sei persone che si trovavano tutte vicino al luogo del delitto” continuò Alistair Stevenson ormai scatenato “ Io proporrei il ricorso ad un sistema antico, che mi pare perfettamente consono al vostro modo di ragionare. Vada alle cucine del Berlaymont e si faccia dare un pentolone pieno di acqua bollente. Poi convochi tutti i sospetti e faccia loro immergere un braccio nel pentolone. Chi non si scotta è innocente. Questo si chiama “giudizio di Dio” o “ordalia” ed è un metodo che è senz’altro più efficiente dei vostri ragionamenti. Se poi si scottano tutti, meglio ancora, vuol dire che sono tutti colpevoli e per l’investigatore sarà un successo formidabile aver assicurato alla giustizia tanti delinquenti in un colpo solo”.
“La prego, signor Stevenson “ lo interruppe Van Kampenhout, più divertito che irritato dalla tirata dell’inglese “Non aggravi la sua situazione, non rischi in aggiunta al resto anche una denuncia per vilipendio di pubblico ufficiale. Per concludere, Lei non è disposto a spiegare il modo in cui ha trascorso le ore che vanno dalle 21.00 alle 24.00 della sera del delitto o non è in grado di farlo?.
“Non sono disposto” spiegò calmo Alistair Stevenson” È mia ferma convinzione che, in presenza di un delitto, sia la polizia a dover trovare il colpevole e non l’onesto cittadino a dover provare la sua innocenza. È una questione di principio, e sui principi io non transigo” e detto questo, si alzò con grande dignità, fece un cortese cenno del capo al commissario e si allontanò a passi lenti e misurati.
Appena uscito Alistair Stevenson, si presentò sulla soglia Eleuterio Aragón Quiroga.
Il commissario gli indicò il computer dinanzi al quale sedersi e gli augurò buon lavoro.
Gli venne in mente che , per ragioni di confidenzialità, non sarebbe stato opportuno interrogare Vera Zadonskaya ed Irina Lupescu, che si era ripromesso di incontrare subito dopo Alistair Stevenson, nel proprio ufficio, in presenza di un estraneo.
Telefonò quindi a Vera Zadonskaya per chiederle se potesse riceverlo un quarto d’ora nel suo ufficio. La voce che gli rispose era flebile e scossa ogni tanto da qualche singhiozzo, ma Vera gli rispose che poteva riceverlo, anche se non si sentiva tanto bene. Il commissario le disse che era senz’altro possibile procrastinare l’incontro, ma Vera insistette perché venisse subito.
Quando entrò nell’ufficio il commissario notò subito che la bella ragazza aveva gli occhi lacrimosi, lo sguardo spento ed un aspetto particolarmente abbattuto.
Si scusò di disturbarla e e propose ancora una volta di rimandare a più tardi la conversazione, ma Vera lo pregò di restare e gli disse con una voce d’oltretomba:
“Non si preoccupi, commissario. È solo colpa mia se mi sono ridotta in questo stato. Non avrei dovuto accordare alcuna fiducia a quel farabutto. Altro che “ufficiale e gentiluomo”, “bandito e traditore” ecco che cos`è veramente.Mentre io gli credevo ciecamente, lui stava già facendosela con un’altra…L’avevo già notato quella sera che l’ho aspettato invano davanti a casa sua…..è arrivato con grande ritardo, ha mormorato qualche scusa poco plausibile, quando siamo stati insieme sembrava distratto, stanco… a pensarci bene, mi scusi se entro in questi dettagli personali, anche sul piano fisico mi è sembrato meno soddisfacente del solito e, poi, nei giorni scorsi, ha cominciato a diventare sfuggente, ad evitare gli appuntamenti, a farmi strani discorsi a dirmi che dovevamo riflettere sul nostro rapporto, che io ero bella, vivace, simpatica ma che questo non era tutto, che per creare un vero rapporto ci voleva qualcosa di più profondo…che l’apparenza fisica non è tutto, che stavamo bene insieme fisicamente ma che quando si scopre una consonanza di interessi intellettuali e di ideali … allora è un’altra cosa”.
Il commissario la ascoltava con vivo interesse e gli sembrava, chissà perché, che certi dettagli non gli giungessero del tutto imprevisti, che ci fosse in quello che quella povera ragazza sconvolta dalle pene d’amore gli stava raccontando qualcosa che gli appariva, in modo contraddittorio, confusamente chiaro.
“Ho capito subito che c’era dietro qualcosa di losco” proseguiva intanto la povera Vera” Quel farabutto sta semplicemente cercando di scaricarmi...perché ne ha trovato un’altra e, per giustificarsi, vuol farmi passare per scema…vuol farmi credere che mi lascia perché non sono alla sua altezza culturale ed intellettuale Chissà chi avrà trovato quel cane? Sono sicura che fra qualche giorno lo vedrò al braccio di qualche maggiorata con due misure in più di reggiseno..ecco tutta la superiorità culturale che cerca quel vigliacco altro che affinità intellettuali… Crepi..che il diavolo se lo porti!”
Il commissario cercò invano di consolare la povera ragazza, che singhiozzava ormai, senza alcun ritegno.
“Che cosa voleva chiedermi, commissario” gli domandò Vera tra le lacrime.
“Nulla, nulla di importante” rispose in fretta Van Kampenhout ed uscì dalla stanza.
Rientrò nel suo ufficio e chiese ad Eleuterio Aragón Quiroga se avesse scoperto qualcosa. “Non ancora” rispose lo spagnolo “ ma ho già controllato più di un migliaio di foto. Ora devo interrompere per andare a pranzo, ma ricomincerò nel pomeriggio e sono sicuro che per questa sera, se il nostro uomo è qui, l’avrò trovato”.
Van Kampenhout gli augurò buon appetito e decise di andare anche lui a fare uno spuntino. Prima tuttavia telefonò ad Irina Lupescu e concordò con lei un appuntamento nel primo pomeriggio.
Cinque minuti prima dell’orario convenuto, Van Kampenhout stava tranquillamente bevendo un caffè, vicino agli ascensori , prima di avviarsi verso l’ufficio della signorina Lupescu , quando la vide comparire nella hall d’entrata vestita di una tuta da ginnastica ed avvicinarsi agli ascensori. Quando lo vide lo salutò e la pregò di scusarla se era in tuta, ma aveva approfittato della pausa pranzo per fare un po’ di jogging. Pensava di avere ancora qualche minuto per cambiarsi, ma evidentemente aveva sbagliato i calcoli.
La ragazza appariva energica e tonica. Van Kampenhout ammirò gli effetti prodigiosi dell’esercizio fisico che erano riusciti a darle un aspetto sereno e disteso che non le aveva visto in precedenti occasioni nelle quali gli era sembrata tesa ed aggressiva.
“Sa” disse Irina sorridendo” Io indosso la tuta veramente per fare ginnastica e la tolgo non appena rientro in ufficio. Non come le mie amiche che la portano in ufficio per far vedere ai colleghi le loro forme e che, di ginnastica, a dire la verità ne fanno poca.
Monika forse ne fa un po’di più, che va spesso in palestra. Ma Vera e la povera Malgorzata- che riposi in pace- si mettono..no , si mettevano... non so più come dire…insomma la tuta gli serviva o gli serve solo per mettere in evidenza il seno o il sedere. Povere ragazze, creme e reggiseni, collants e minigonne, labbra dipinte e coppette di gomma per mostrare forme più prosperose…e non s’accorgono che molte volte non gli serve proprio a niente” Qualche volta un po’ di cervello serve molto di più” e si mise a ridere allegramente.
“Viene nel mio ufficio?” chiese al commissario quando vide aprirsi la porta di uno degli ascensori da cui uscì un gruppetto di funzionari.
“Non so se sia necessario” rispose Van Kampenhout “ Pensavo di chiederle dov’era stata tra le le 22.30 e le 23.40 della sera in cui fu compiuto il delitto, visto che in quel lasso di tempo, nessuno l’ha incontrata, sebbene lei fosse certamente presente al Berlaymont, ma, a dire il vero, non sono più tanto convinto dell’utilità di questa domanda. Mi dica rapidamente, senza che ci scomodiamo ulteriormente, se lei può provarmi dov’era nelle ore in cui presumibilmente fu compiuto il delitto”.
“Come lei sa, sono stata a parlare con il signor Papageorgios fino alle 22.30. Purtroppo, per quanto riguarda l’ora successiva, non posso provarle nulla, commissario” rispose Irina, guardandolo diritto negli occhi con uno sguardo di sfida “Ma posso assicurarle che ci sono, in questo immenso palazzo, una quantità che lei non si immagina di angoli tranquilli, dove con un po’ di fantasia ed un minimo di adattamento si possono passare un’ora o due in modo molto più piacevole che in ufficio. Viene su con me?”.
“No “disse il commissario “ Ma voglio ancora farle una domanda”.
Irina mise la mano davanti alla cellula fotoelettrica dell’ascensore per impedirgli di partire e rispose: “Sì, ma in fretta, c`è anche altra gente che vuole usare questo ascensore”.
“Che cosa aveva nella sacca da ginnastica che portava in mano quando è uscita dal Berlaymont.?”
“Il mio vestito. Avevo messo la tuta e le scarpe da ginnastica perché fuori c’era un acquazzone e non volevo rovinarmi il vestito e le scarpe belle. Non tema che ci fossero i vestiti della vittima. Se lei ha controllato le immagini della cinepresa piazzata nella hall, avrà certo notato che la sacca non è gonfia come sarebbe se dentro ci fossero due vestiti e due paia di scarpe. E lei sa benissimo che non posso aver nascosto i vestiti da qualche parte qui al Berlaymont, perché i suoi collaboratori hanno già frugato in ogni buco del palazzo e non hanno trovato niente.”
.”Diavolo d’una ragazza” pensò Van Kampenout “ È veramente in gamba”. Infatti la prima cosa che aveva ordinato di fare ai suoi uomini, il sabato stesso in cui era stato scoperto il corpo seminudo di Malgorzata Dombrowska, era stato proprio di effettuare una perquisizione accuratissima in tutti gli uffici e gli altri locali del palazzo, approfittando del fatto che l’edificio era vuoto. Aveva distribuito a ciascuno di loro un’istantanea della cinepresa che aveva fissato l’uscita della vittima dal Berlaymont, istantanea da cui risultavano tutti i dettagli del suo abbigliamento. Gli agenti avevano trovato negli armadi, nei tiretti o addirittura sotto le scrivanie, le poltrone o i divani una notevole quantità di ombrelli, parecchie paia di scarpe o di scarponi, un numero assai elevato di tute e di scarpe da ginnastica (alcune contenute nelle apposite sacche,
altre semplicemente riposte nei tiretti degli armadi), due combinazioni da judo, parecchi guanti in paio o spaiati, qualche camicetta, una camicia da uomo, due giacche, un paio di pantaloni, un numero indefinito di sciarpe, foulards e fazzoletti, e tre paia di mutandine, di cui un paio in fondo al cassetto della scrivania di un amministratore principale alla Direzione della concorrenza. Di tutto questo materiale, gli agenti avevano attentamente notato l’ubicazione, ma gli abiti ricercati non erano saltati fuori.
Mentre pensava a tutto ciò; Van Kampenhout era giunto senza accorgersi quasi dinanzi alla porta del suo ufficio. Ebbe un sobbalzo quando vide corrergli incontro, raggiante, Eleuterio Aragón Quiroga.
“L’ho trovato, commissario “ gli urlò con voce gioiosa “.È proprio come noi pensavamo: uno dei due uomini della Grand Place è un funzionario della Commissione.Son dovuto arrivare alla milleduecentocinquantaseiesima foto, ma l‘ho trovato”.
Van Kampenhout lo guardò ammutolito dallo stupore. Non poteva crederci, ma era assolutamente sicuro che, se avesse mai avuto il tempo e la voglia di controllare, il volto dell’uomo sarebbe saltato fuori esattamente alla milleduecentocinquantaseiesima foto.
“L’uomo sulla cinquantina non è un funzionario della Commissione” aggiunse un po’ deluso Eleuterio Aragón Quiroga”Ho controllato tutte le millecinquecento foto, ma non l’ho trovato”.
“Potremmo controllare anche le foto dei funzionari delle altre istituzioni” proseguì speranzoso.
“Per il momento abbiamo già ottenuto un ottimo risultato” lo disilluse Van Kampenhout ”Potremo estendere le indagini se sarà necessario”.
Capitolo XXIII
UNA TESTIMONIANZA INCONGRUENTE
Il commissario Van Kampenhout prese nota dei risultati della ricerca compiuta da Eleuterio Aragón Quiroga, lo ringraziò sobriamente e riuscì, con molto tatto, ad interrompere una di quelle interminabili divagazioni enciclopediche in cui lo spagnolo si lanciava così volentieri approfittando del minimo pretesto.
Rimasto solo, fece il punto della situazione. Era ormai passata quasi una settimana dalla scoperta del delitto e l’indagine aveva indubbiamente fatto dei progressi. S’erano già delineate, più o meno nettamente alcune piste, ed il commissario sentiva che i pezzi del puzzle stavano a poco a poco trovando il loro giusto posto e che la soluzione del caso non poteva più tardare troppo. La sua naturale prudenza, rafforzata da lunghi anni di esperienza, gli consigliava però di non lanciarsi subito su una pista, anche se questa poteva apparire a prima vista la più probabile, ma di verificare ancora una volta, in ogni dettaglio, tutte le risultanze dell’inchiesta per accertare con assoluta sicurezza che non vi fossero falle nel ragionamento.
Riesaminando per l’ennesima volta il dossier, si accorse che non aveva ancora approfondito la posizione di Giandomenico Scannabue e di Ursula Schönhofen.
Con riguardo a quest’ultima gli era giunta proprio in mattinata una segnalazione che meritava di essere vagliata non appena avesse avuto un po’di tempo.
Quanto a Giandomenico Scannabue, il commissario provava un’istintiva simpatia per questo ragazzone romagnolo, il gigante buono che era stato così chiaramente abbindolato dalla scaltra ragazza polacca, ma proprio per tale ragione si rendeva conto che doveva soffermarsi con particolare attenzione sugli elementi che lo riguardavano e non lasciarsi accecare da un sentimento irrazionale che rischiava di falsare il suo giudizio.
Si mise quindi a rileggere con cura la testimonianza di Scannabue e, ad un certo punto, fece un balzo sulla sedia, o meglio l’avrebbe fatto se non fosse stato freddo e razionale come deve essere ogni buon commissario di polizia. Perciò, invece di fare un balzo sulla sedia, si limitò a tirar fuori dal fascicolo la testimonianza di Nikos Papageorgios e la confrontò attentamente con quella di Scannabue. Alla fine, non gli rimase alcun dubbio. Il ragazzone dallo sguardo sincero aveva mentito, mentito spudoratamente come un bugiardo matricolato.
Nikos Papageorgios aveva infatti dichiarato che, quando aveva visto Malgorzata Dombrowska infilarsi precipitosamente in uno degli ascensori al tredicesimo piano del Berlaymont, si era gettato avanti di corsa per vedere se ci fosse un altro ascensore fermo al piano, ma aveva dovuto constatare che tre ascensori erano fermi al piano terra, come risultava dalle tabelle di chiamata, e che uno era fermo al quinto piano. Papageorgios aveva subito chiamato quest’ultimo per lanciarsi all’inseguimento di Malgorzata Dombrowska. Tra il momento in cui Malgorzata Dombrowska era uscita dal Berlaymont e quello in cui Nikos Papageorgios era sbucato nella hall d’entrata non doveva essere trascorso molto più di un minuto.
Come avrebbe potuto Giandomenico Scannabue, senza alcun ascensore a disposizione, scendere dal sedicesimo piano proprio nell’intervallo tra l‘uscita di Malgorzata e l’arrivo di Nikos? Doveva già trovarsi nella hall d’entrata ed in questo caso non avrebbe potuto non vedere la vittima. Certo, c’erano altre batterie di ascensori a metà di ciascuno degli altri lati dell’edificio, ma il ragazzo aveva detto di essere uscito dal proprio ufficio, situato quasi di fronte alla batteria d’ascensori, con due dei quali erano scesi Malgorzata Dombrowska e Nikos Papageorgios, e non si vedeva per quale motivo avrebbe dovuto farsi qualche centinaio di metri per andare a prendere un ascensore da un altro lato dell’edificio.
Ma allora, rimuginò tra sé il commissario, perché la telecamera aveva inquadrato Giandomenico Scannabue davanti al bancone dei sorveglianti proprio all’ora esatta che lui aveva dichiarato? C’era senza dubbio qualche angolo della immensa hall che la telecamera non inquadrava ed in cui Giandomenico Scannabue doveva essersi trovato per qualche minuto prima di avvicinarsi al tavolo dei sorveglianti.
Ma se Giandomenico Scannabue aveva mentito- e non poteva essere altrimenti- su questo punto, chissà quante altre menzogne poteva aver infilato nella sua testimonianza. Diventava allora un personaggio completamente inaffidabile e quindi automaticamente sospetto, anche se non si era finora potuto appurare un possibile movente.
Van Kampenhout pensò che l’unica cosa da fare fosse convocarlo immediatamente ed esigere subito una spiegazione.
Giandomenico Scannabue era in ufficio e disse che si sarebbe presentato nel giro di pochi minuti.
Quando arrivò, il commissario lo invitò a sedersi, poi guardandolo severamente in faccia, gli domandò in tono secco: “Signor Scannabue, l’ho fatta venire, perché ho riscontrato nella sua testimonianza un’incongruenza che non riesco a spiegarmi. Lei ha dichiarato di essere arrivato nella hall d’entrata, scendendo dal sedicesimo piano, in un momento in cui, dal registro delle presenze, risultava che la signorina Dombrowska era uscita meno di un minuto prima. Il signor Papageorgios, ha dichiarato di esser sceso dal tredicesimo piano meno di un minuto dopo la signorina Dombrowska e di averla già visto accanto al banco dei sorveglianti.
Come ha potuto lei, in meno di un minuto scendere dal sedicesimo piano al piano terra quando gli unici ascensori che non fossero fermi al piano terra erano già stati chiamati dalla signorina Dombrowska e dal signor Papageorgios?”.
Contrariamente a quanto s’era aspettato, Giandomenico Scannabue non fece una piega, sfoderò un largo sorriso e rispose con calma: “ È semplicissimo, signor commissario. Io non ho mica preso l’ascensore per scendere dal sedicesimo piano. L’unica volta che ho preso l’ascensore è stato il venerdì sera per salire perché la povera Malgorzata mi aveva scongiurato di fare in fretta. Ma quando sono venuto giù, sono sceso a piedi, scendendo per le scale di servizio. Uso sempre le scale per fare un po’di esercizio sia quando vado al lavoro sia quando esco dall’ufficio. È l’unico modo che ho per mantenere un po’di forma fisica quando passo tutta la giornata seduto ad una scrivania. Naturalmente ci metto più di un minuto, anche se la discesa è più rapida. Quattro o cinque minuti…ecco, per arrivare al pianoterra alle 22.36 sarò sceso alle 22.30 . Verosimilmente sono sbucato nella hall quando la povera Malgorzata era appena uscita”.
Il commissario lo guardò sbalordito. Giandomenico Scannabue non poteva essere colpevole di un omicidio. Era troppo spontaneo, troppo genuino, troppo “innocente”.
Poi, vedendo sulla scrivania la testimonianza di Nicos Papageorgios, che aveva appena letto, si ricordò di un punto che aveva sollevato in lui alcuni interrogativi che forse Giandomenico Scannabue poteva aiutare a chiarire.
“ Il signor Papageorgios ha dichiarato che, nel momento in cui sbucava nel corridoio della divisione polacca, ha visto la signorina Dombrowska avvicinarsi all’ascensore provenendo dal’altra estremità del corridoio. La signorina Dombrowska deve addirittura averlo visto un attimo prima che lui si accorgesse di lei, perché nello stesso istante in cui lui l’ha chiamata, stava già premendo il pulsante di apertura di un ascensore che per caso era fermo proprio al tredicesimo piano. Il signor Papageorgios è rimasto un po’stupito, perché la signorina sembrava arrivare da una direzione diversa da quella del proprio ufficio ed anch’io devo ammettere che la cosa mi ha lasciato perplesso.
Lei ricorda, per caso, se la signorina Dombrowska le abbia detto di dover incontrare qualcuno in un’altra divisione?”.
“No, non ne ha proprio parlato. Però mi ricordo che mi ha pregato di accompagnarla fin dinanzi alle toilette che stanno di fronte agli ultimi uffici della divisione ungherese, prima dell’angolo che segna l’ingresso alla divisione francese, perché le luci delle toilette vicine alla divisione polacca non funzionavano. Ricordo con precisione che mi disse.”Quelli del servizio interno sono dei veri disgraziati. È da ieri mattina che li abbiamo avvisati che l’illuminazione delle toilette non funziona, ma non si sono ancora mossi. Evidentemente pensano che di giorno non ci sia bisogno di luce nelle toilette e che di sera qui non ci sia mai nessuno.” A mio parere, Malgorzata aveva ancora fatto un salto alla toilette prima di uscire per controllarsi dinanzi allo specchio e vedere che non ci fossero sbuffi di rossetto sul viso o cose del genere… ci teneva molto ad essere sempre in ordine, sa?”.
Per quanto riguardava Ursula Schönhofen, uno degli agenti che era andato in giro a mostrare nei pressi dell’appartamento di rue du Sablon alcune foto dei sospettati, che il commissario si era procurato dalle rispettive autorità gerarchiche, aveva trovato un cameriere di un caffè che si era ricordato di aver visto passare quella ragazza pressappoco nello stesso momento in cui il suo collega, il barista, aveva dichiarato di aver visto passare una ragazza che aveva tutta l’apparenza di Malgorzata Dombrowska. La coincidenza era troppo strana per essere dovuta al puro caso e la questione doveva essere approfondita, ma si era ormai nel pomeriggio avanzato del venerdì ed il commissario sapeva che non era più possibile organizzare un incontro con la signorina Schönhofen prima della settimana successiva. Tuttavia decise di telefonare per vedere se fosse possibile ottenere già subito qualche precisazione.
Per sua fortuna la signorina Schönhofen era ancora in ufficio, ma aveva ormai concluso il suo lavoro e stava riordinando la scrivania. Si dichiarò dunque disposta a rispondere alle domande del commissario e precisò che si trovava in quella zona, perché, dopo aver perso di vista il signor von Waldenburg, aveva pensato che, per non sprecare l’intera serata, sarebbe stato bene andare a fare un po’di ginnastica in una palestra che rimaneva aperta sino ad un’ora molto tarda..
Quando il commissario le chiese perché non avesse con sé la sacca da ginnastica, rispose che aveva in palestra una cassetta personale in cui depositava abitualmente la tuta e le scarpe. Il commissario le domandò allora se potesse chiedere ai gestori della palestra di confermare la dichiarazione e la signorina Schönhofen rispose, senza scomporsi, che purtroppo non era possibile perché, proprio al momento di entrare in palestra, si era ricordata che il suo “personal trainer” era partito in vacanza la sera prima ed aveva quindi rinunciato all’idea di fare ginnastica.
Il commissario rimase perplesso. Nemmeno la signorina Schönhofen aveva un alibi e, quindi, dopo un’intera settimana di indagini, nessuno dei sospettati iniziali aveva potuto essere depennato dall’elenco dei possibili colpevoli, anche se per l’ineffabile Giandomenico Scannabue il commissario Van Kampenhout sarebbe stato disposto a mettere la mano sul fuoco.
Ma Van Kampenhout sentiva che questa mancanza di progresso era solo apparente, che gli era ormai necessario solo un piccolo sforzo, una piccola spinta per mettere in ordine tutti gli elementi di cui disponeva e giungere alla soluzione del caso.
Capitolo XXIV
IL COMMISSARIO FA IL PUNTO DELLA SITUAZIONE
Il commissario Van Kampenhout stese sulla scrivania la piantina del Berlaymont e cominciò a riflettere.
Il tredicesimo piano dell’edificio era tutto occupato dalle divisioni della traduzione.
Se ci si poneva idealmente di fronte alla facciata che dava sul grande piazzale antistante, all’estremità destra del lunghissimo corridoio anteriore, dal lato interno del corridoio, si trovava la divisione polacca (dove l’ufficio della signorina Dombrowska stava più o meno in mezzo). Le toilette del lato destro erano situate subito dopo l’angolo. A sinistra della divisione polacca, cominciavano gli uffici delle divisioni estone, lituana e lettone, che giungevano sino alla metà del corridoio. L’ultimo ufficio della divisione lettone, sul lato interno del corridoio, era quello della signorina Vera Zadonskaya. A sinistra della divisione lettone, stava una batteria di cinque ascensori, dopo la quale veniva la divisione francese, che giungeva sino al termine del corridoio. L’ultimo ufficio della divisione francese, esattamente prima dell’angolo era quello del signor Lopazcynski. Svoltato l’angolo, dalla parte esterna, si trovavano le toilette del lato sinistro. Di fronte, gli uffici della divisione ungherese, il primo dei quali apparteneva alla signorina Szegedyi. Subito dopo gli uffici della divisione ungherese, sul lato esterno, si aprivano il vasto ufficio del direttore della traduzione, le cui ampie vetrate offrivano una magnifica vista sul panorama di Bruxelles, e gli uffici del suo segretariato. Seguivano la divisione tedesca e dopo un’altra batteria di ascensori, la divisione greca e quella finlandese. Proprio sull’angolo, dal lato interno, si incontrava l’ufficio del capo divisione inglese, uno spazioso locale di due moduli, con vista sul cortile interno. In occasione di uno dei suoi incontri con Van Kampenhout, Alistair Robert Stevenson, M.Phil., non aveva infatti mancato di spiegargli che aveva rinunciato ad un ufficio con vista sull’esterno perché le ville liberty disegnate da Horta –l’unica cosa che meritasse di essere guardata- non erano visibili a causa degli alti edifici che le circondavano ed il resto del panorama era assolutamente ripugnante.
Dopo aver esaminato con attenzione la piantina del tredicesimo piano, Van Kampenhout passò ad esaminare quella del quattordicesimo piano. Gli uffici di Nikos Papageorgios e di Irina Lupescu, si trovavano, l’uno di fronte all’altro, sul corridoio che correva lungo il lato destro dell’edificio (guardando dal piazzale) . Poco lontano da essi si trovava l’ufficio di Elio de Gubernatis.
L’ufficio del Direttore Generale René Paleron, al quindicesimo piano, si trovava invece sul lato sinistro, proprio al di sopra della divisione francese.
L’ufficio della rappresentanza permanente della Repubblica federale tedesca era situato al quinto piano, nel corridoio di sinistra.
Giandomenico Scannabue aveva l’ufficio al sedicesimo piano, lungo il corridoio anteriore, all’altezza della batteria degli ascensori.
Il commissario non mancò di notare come, per un curioso scherzo del caso, molti dei sospettati avessero i loro uffici a poca distanza da quello in cui era stato ritrovato il corpo della vittima o potessero raggiungerlo in brevissimo tempo utilizzando le scale interne, situate all’angolo del corridoio.
“Ed ora facciamo il punto della situazione” si disse, dopo aver scritto scrisse sul margine destro della piantina in alto la cifra 1.
Poi rilesse attentamente la deposizione del signor Papageorgios, sottolineò con cura alcune righe e scrisse sul margine in alto la cifra 2.
Andò a ricercarsi le note degli agenti che avevano perquisito tutti gli uffici del Berlaymont alla ricerca degli abiti della vittima, verbalizzando tutto ciò che avevano trovato, sottolineò ciò che era scritto su uno dei fogli e segnò sul margine in alto a destra la cifra 3.
Prese le note che aveva scritto dopo il breve colloquio con Irina Lupescu all’ascensore, sottolineò due distinte frasi e scrisse sul margine la cifra 4.
Tirò poi fuori il verbale delle conversazioni che aveva avuto con Alistair Stevenson e Vera Zadonskaya e, con un leggero sorriso, scrisse a margine la cifra 5.
Il numero 6 fu assegnato alla perizia del Laboratorio della polizia scientifica in cui erano riportate le risultanze dell’autopsia.
Successivamente, tirò fuori le due istantanee, ricavate dai filmati delle telecamere, che mostravano rispettivamente Vera Zadonskaya e Malgorzata Dombrowska mentre entravano al Berlaymont e la seconda mentre ne usciva ( le stesse istantanee che erano state date agli agenti incaricati di ricercare i vestiti della vittima) e scrisse a margine la cifra 7.
Infine, come punto 8, aggiunse un’ultima cifra :1256, seguita dall’osservazione “da verificare”.
Ricontrollò ancora una volta il tutto, poi ritirò i documenti in una nuova cartella su cui scrisse: Omicidio di Malgorzata Dombrowska – Elementi determinanti dell’inchiesta.
Sorrise. C’era ancora qualcosa che non tornava, qualche pezzo che non si incastrava perfettamente nella ricostruzione degli eventi, ma sentiva che era ormai molto vicino alla soluzione del caso, che gli sarebbe bastato poco per capire chi era l’assassino.
Capitolo XXV
UN TÈ A RUE DES SABLONS
Il commissario Van Kampenhout suonò al n. 16 di Rue du Sablon verso le cinque del pomeriggio del venerdì.
“Chi è?” chiese al citofono una voce femminile, chiara e decisa, che il commissario non ebbe difficoltà a riconoscere come quella di Irina.
“Sono il commissario Van Kampenhout” rispose “ Avrei ancora qualche piccola domanda da farle a proposito della sua testimonianza e, visto che passavo di qui, ho pensato che, se l’avessi trovata a casa, avremmo potuto fare una piccola chiacchierata informale ed evitare di convocarla ufficialmente lunedì. Spero di non disturbarla”.
“Non mi disturba affatto. Salga pure, Commissario. Lei è fortunato. Siamo tutte a casa. Stavamo preparando il té delle cinque e la invito cordialmente ad unirsi a noi. Non mi costa niente mettere una tazza in più. C’è anche Vera e così potrà guadagnar tempo se ha qualche cosa da domandare anche a lei”.
“Grazie. Approfitto volentieri dell’occasione. Salgo subito” rispose il commissario.
Irina venne ad aprirgli la porta e lo introdusse nell’appartamento, che Van Kampenhout già conosceva. Nel soggiorno, accanto al tavolo su cui erano disposti una teiera, alcune tazze ed un vassoio con biscotti, sedevano Vera, che parve al commissario un po’ immalinconita e depressa, ed un’altra ragazza bionda, di alta statura, il cui aspetto sano ed energico dimostrava una pratica regolare di attività sportiva, o perlomeno una frequentazione regolare delle palestre di ginnastica. Anche questa ragazza aveva un’aria triste ed abbattuta.
Lei conosce già la nostra Vera” fece Irina “ Posso presentarle l’altra nostra coinquilina, Monika Szegedy?. Lei non l’ha incontrata perché era a Londra fin da sabato scorso. È rientrata non più di un’ora fa con l’Eurostar”.
“Lieto di fare la sua conoscenza, signorina” disse il commissario, stringendo la mano a Monika, che si era alzata a salutarlo. “ Ha visto che brutta fine ha fatto la sua povera coinquilina mentre lei era in vacanza? Deve essere stato un brutto colpo per lei . Eravate molto amiche, non è vero?”.
“Sono terribilmente scossa “ rispose Monika, i cui occhi si velarono di pianto “ Eravamo così affiatate, io e la povera Malgorzata, ed adesso, improvvisamente, se n`è andata per sempre. Che tristezza! Me la ricorderò sempre, con il suo entusiasmo, con la sua gioia di vivere”.
Il commissario si sedette sull’unica sedia libera, accanto ad Irina.
“Come preferisce il suo tè?” fece questa dopo aver versato la bevanda in una tazza “Con il latte o con il limone? Vuole dello zucchero?”
“Niente zucchero e niente limone, e neppure latte, grazie” rispose Van Kampenhout, che era un igienista” Ho letto che non va aggiunto nemmeno latte perchè annulla le proprietà antiossidanti del tè. Ma veniamo alla ragione per cui sono qui. È risultato da alcune testimonianze che la vittima sarebbe stata vista in prossimità di questo appartamento la sera stessa dell’assassinio verso le ore 22.50 , cioè circa un quarto d’ora dopo essere uscita dal Berlaymont. Mi interesserebbe sapere se qualcuna di voi ha notato qualcosa che possa eventualmente confermare che la vittima è rientrata anche solo per qualche minuto nell’appartamento”.
“Io non posso dire niente perché ho cenato fuori con Malgorzata e poi l'ho accompagnata al Berlaymont, dove tutte e due avevamo del lavoro d'ufficio arretrato da sbrigare con urgenza. Dal Berlaymont sono poi andata all’appuntamento con quel disgraziato di inglese senza ripassare da rue des Sablons” rispose tetra Vera “ ma sono sicura che non può essere rientrata a casa. A quell’ora a casa c’era già certamente Irina, che rientra sempre verso le dieci di sera, e se avesse visto la povera Malgorzata me l’avrebbe certamente detto”.
“ A dire il vero...” rispose un po’esitante Irina “ non potrei dire se Malgorzata è rientrata o no, perchè io non ero a casa”.
“Ma, se mi hai detto, il sabato mattina, che eri appena uscita a comprare latte e yoghurt per la colazione?” la interruppe, esterrefatta, la povera Vera.
“Sì, mia cara” replicò Irina, che aveva intanto ripreso la sua sicurezza” ero appena uscita a comprare il necessario per la colazione, ma, nonostante questo devo confessare che il venerdì sera sono stata fuori fin quasi a mezzanotte. Può capitare anche alle bruttarelle come me, non credi?”.
Vera rimase senza parole. Il commissario da parte sua non ritenne necessario precisare che Irina era rimasta fin oltre le 11 di sera al Berlaymont. Il modo in cui la gente occupava il suo tempo libero era un tema che rientrava nella privacy e che non lo interessava minimamente salvo che l’accertarlo apparisse assolutamente necessario per il buon esito di un’indagine, il che non era secondo lui il caso in questa occasione.
“ E lei, signorina Szegedy” fece il commissario rivolgendosi a Monica” non ha per caso visto la signorina Dombrowska quella sera? Lei ha preso l’Eurostar delle ore 0.13, non è vero?”.
“Sì “ rispose Monica” e sono uscita di casa qualche minuto prima per essere sicura di arrivare alla stazione prima delle 23.13, che è l’orario limite per la registrazione dei viaggiatori, e di avere ancora il tempo di comprare qualche giornale ed una bottiglia di acqua minerale. Non mi ricordo esattamente quando sono uscita, ma credo che fosse tra le 22.40 e le 22.45 al più tardi. Se la povera Malgorzata fosse rientrata verso le 22.50 non avrei potuto incontrarla”.
“Avrebbe potuto incrociarla per strada” suggerì Van Kampenhout.
“Forse sì” ammise Monika” Evidentemente può essere stata questione di qualche minuto. Ma le assicuro che non l’ho vista . Potrei anche non averla notata tra la gente. Ero agitata, ho i miei problemi”.
“Lo so e la capisco. Le sue amiche mi hanno detto qualcosa in proposito. Come vanno le cose adesso?”.
“Come vuole che vadano” rispose tristemente Monika” Joaquín è un ottimo ragazzo, una pasta d’uomo. Se fosse solo per noi due non avremmo mai un litigio, fileremmo il perfetto amore. Ma sua madre...Quella donna non m’ha mai potuto soffrire. Lui, poveretto, le parlava, le scriveva di me, le descriveva tutti i miei gesti, raccontava tutti i nostri incontri. E lei a dirgli di stare bene attento, di lasciarmi perdere, che non andavo bene per lui, che ero troppo libera ed indipendente, che non sapevo cucinare, che non avevo il senso della famiglia ( perché m’ero rifiutata di passare due settimane di vacanze al mare insieme con lui e l’inseparabile mammina), che ero mancina ( che orrore!) e chi più ne ha più ne metta. Alla fine aveva deciso di venire a Bruxelles per conoscermi meglio (diceva lei), ma in realtà per convincere suo figlio a scaricarmi, se non addirittura per scaricarmi lei direttamente. Durante una decina di giorni ci siamo incontrati almeno cinque o sei volte tutti e tre ( lui da solo non potevo più incontrarlo) ed è stato ogni volta un inferno. Alla fine non ne potevo più, ho deciso di scappare una settimana a Londra per non vederli più, nè lui nè sua madre. Doveva riaccompagnare sua madre a Santander questo venerdì e stare con lei tre o quattro giorni. Non so cosa faremo quando ci rivedremo né se riusciremo ad andare ancora avanti...Temo che non abbia abbastanza coraggio per disubbidire a sua madre...”.
Gli occhi le si inumidirono e, per nascondere l’emozione ed il turbamento che questa idea stava suscitando in lei, tirò fuori dalla borsetta un delicato fazzolettino ricamato con le sue iniziali e si soffiò il naso.
“Che peccato!” osservò il commissario “ Scusate, c`è ancora qualcosa che vorrei domandarvi. È risultato dalle nostre indagini che la vittima frequentava corsi di cultura araba alla moscheadi rue du Cinquantenaire. Ne ha mai parlato con voi? Ne eravate al corrente?”.
“Poveretta” sorrise Irina” Non so che cosa potesse ricavarne. Non aveva né la costanza né il metodo per seguire un insegnamento serio. Sì, me ne aveva parlato, ma non ho mai approfondito la cosa. Ho sempre ritenuto che frequentasse quei corsi solo perché appagavano il suo desiderio di esotismo.”
“Avete mai pensato che potesse avere altre ragioni per frequentare la moschea?”.
“Penserà mica che fosse una terrorista, Commissario?” intervenne preoccupata Vera “Io lo escluderei nel modo più assoluto. Non l’ho mai sentita parlare di politica e, meno che mai, era interessata ai problemi del Medio Oriente. In quanto agli uomini che avrebbe potuto incontrare in quell’ambiente, i barbuti non la interessavano proprio. Le piacevano piuttosto i tipi alla Rambo, con il look da “marines”. Non mancava un film di Schwarzenegger o di Van Damme”.
“ E la bellezza classica, di tipo greco, la interessava?” domandò Van Kampenhout.
“ Non mi dica che anche Nikos frequentava la moschea. Non ci posso credere.” fece ridendo Irina “Non lo pensavo capace di convertirsi addirittura all’Islam pur di seguirla dovunque.”
“Ma tu la prendi così sul ridere?” intervenne stupita Vera “ Fino a poco tempo fa ti infuriavi al solo pensiero che lui cercasse di starle insieme”.
“Beh” replicò Irina “ Ormai la poveretta è morta. A che servirebbe farsi cattivo sangue per il passato. E poi quel ragazzotto irriflessivo non è l’unico uomo che c’è in giro. Ce ne sono anche altri più maturi e capaci di ragionare che possono dare maggiori soddisfazioni ad una donna intelligente”.
Il commissario si chiese se un barlume di sospetto non cominciasse ad affacciarsi nella mente un po’troppo ingenua della destinataria di queste continue provocazioni, ma non toccava a lui immischiarsi di cose che non lo riguardavano affatto.
“Tu esageri, Irina” osservò Monika “ Nikos non è affatto quel giovinotto stupido che tu stai dipingendo. Ha delle idee precise anche in politica e l’ho sentito molte volte prendere decisamente posizione a favore dei diritti dei Palestinesi in discussioni, anche accalorate, con dei colleghi. Se frequentava la moschea, non era certo solo per correre dietro a Malgorzata”.
“Magari Malgorzata gli serviva da copertura o addirittura è stata lei a seguirlo alla moschea, visto che le piacevano i bei ragazzi “ suggerì con finto candore il commissario Van Kampenhout.
“Lei sta traendo delle conclusioni affrettate” concluse Irina, che si era fatta seria “Sono disposta ad ammettere che Nikos è un ragazzo preparato ed intelligente, anche se il suo comportamento con la povera Malgorzata – che riposi in pace- sembrerebbe dimostrare il contrario. Si vede che ha avuto un momento di obnubilazione. Lavoro con lui da parecchio tempo ed ho potuto constatare che sa affrontare i problemi con metodo e raziocinio”
“Ancora un’ultima domanda e poi vi lascio in pace. Sapete se la vittima avesse dei rapporti con il direttore generale Paleron, con il direttore Lopez Garrido o con il signor de Gubernatis?”.
“Non saprei” rispose per prima Vera “ Del signor Paleron sanno tutti che è sempre a caccia di ragazze. Una volta Malgorzata mi domandò se sapevo come chiamava sua moglie. Risposi naturalmente di no. “Bobonne”, “La chiama Bobonne, non è divertente?” mi disse lei mettendosi a ridere. Mi sembrò un po`strano che conoscesse un nomignolo come questo che il direttore generale non doveva certo mettersi ad urlare sui tetti, ma non approfondii, perché Malgorzata era molto riservata sulle sue frequentazioni e si irritava facilmente di fronte a troppa curiosità. Quanto al signor Lopez Garrido, è un uomo molto cauto e prudente, che sembra molto più interessato ad una rapida e brillante carriera che a conquiste femminili. Se ha delle relazioni extraconiugali, le ha certamente molto lontano dalla direzione della traduzione in modo da evitare pettegolezzi e possibili ricatti. Del signor de Gubernatis non so niente, perché lavora in un altro servizio.”
“Ne so qualcosa io “ intervenne decisa Irina “ Pensate che, nei primi tempi in cui lavoravo al servizio giuridico fece l’occhiolino persino a me. Si crede un seduttore irresistibile. Corre voce che abbia addirittura un pied-a- terre in cui riceve le sue conquiste. Però ha una paura folle che qualcuno riferisca qualcosa alla moglie e perciò sta sempre molto attento a non farsi mai vedere in giro con una ragazza”.
“Per quanto mi riguarda” fece Monika “ c`è solo una cosa che mi ha un po’stupita. La settimana scorsa , mentre passavo davanti all’ufficio del direttore, per recarmi da un collega della divisione inglese, cui volevo chiedere una spiegazione terminologica, ho visto Malgorzata che entrava direttamente dalla porta personale del direttore, anziché farsi annunciare dalla segretaria. La cosa mi è parsa un po’strana sia perché il direttore riceve pochissimo i suoi subordinati e li smista sempre ai due vicedirettori, salvo casi eccezionali, sia perché, anche nei rari casi in cui riceve qualcuno, occorre sempre passare attraverso la segretaria. Mi ricordo che avevo pensato di chiederle, scherzosamente, che cosa le permettesse di avere un trattamento privilegiato da parte del direttore, ma poi ho avuto i miei problemi e questa sciocca idea mi è passata di testa”.
“Vi ringrazio signorine e vi prego di scusarmi per il disturbo. Vi auguro un buon weekend” fece il commissario alzandosi. “Anche questo incontro” pensò tra di sé” non è stato inutile”.
Capitolo XXVI
C'È SEMPRE UN DETTAGLIO
Il commissario Van Kampenhout si era ormai formato un’idea abbastanza precisa della serie di avvenimenti che avevano portato alla morte la povera Malgorzata, ma non osava giungere ad una conclusione definitiva, perché la ricostruzione mentale che se ne era fatta gli pareva ancora lacunosa e non se la sentiva di prendere decisioni estremamente importanti sulla base di un ragionamento che non fosse perfettamente logico e coerente.
Era però intimamente sicuro che le cose dovevano essere andate proprio come aveva immaginato e che, se non riusciva ancora a ricomporre per filo e per segno tutta la dinamica del delitto, era semplicemente perché, nonostante la sua eccezionale capacità d’osservazione, doveva essergli sfuggito, confondendosi nella massa degli indizi, un particolare d’importanza determinante, un dettaglio insignificante che avrebbe immediatamente potuto far luce su tutto il caso.
“C’è sempre un dettaglio” rimuginava fra sè, “un dettaglio minimo al quale non si è fatto attenzione, ma che è rimasto impresso nel subcosciente, e che aspetta solo di essere riportato alla memoria perché si senta subito il click e si realizzi il collegamento risolutivo. Questo dettaglio c’è anche qui e sento di averlo avuto dinanzi a me e di averlo recepito, pur senza rendermene conto. Devo ripercorrere con la calma tutto lo svolgimento delle indagini, punto per punto, rivedere i filmati, rileggermi i verbali, ricordarmi tutto ciò che mi è stato detto non solo negli interrogatori, ma anche nei colloqui che ho avuto a proposito di questa vicenda, e non potrà sfuggirmi”.
Si ripresentò al Berlaymont, si chiuse nell’ufficio che gli era stato assegnato e cominciò a rileggersi gli atti dell’indagine. Poi si trasferì nella saletta di proiezione, con i filmati che aveva già esaminato qualche giorno prima, e cominciò a visionarli.
Ripassarono di fronte a lui le immagini filmate la settimana precedente , le riprese dell’arrivo delle diverse persone al Berlaymont. Ecco l’arrivo di Vera e di Malgorzata. La poveretta era raffreddata. Si soffiava il naso in continuazione. Poi, per una decina di minuti, l’arrivo dei diversi sospettati, e poi, una dopo l’altra, le uscite. Ed ecco di nuovo Malgorzata. Sempre più raffreddata, con il fazzoletto che le copriva praticamente il volto ed ecco, ad un certo, si scorgeva sul fazzoletto un pezzettino di ricamo, una mezza M. Quel particolare non si era notato mentre entrava anche se aveva quasi sempre il fazzoletto sul naso. Forse aveva rigirato il fazzoletto, forse lo aveva cambiato, forse...Un lampo improvviso attraversò la mente del commissario, che rivide nitidamente, come l’aveva vista qualche ora prima senza farci caso, l’immagine di Monika che teneva in mano il fazzoletto ricamato con le sue iniziali M.S., Monika Szegedyi. Forse la persona che usciva non era la stessa che era entrata anche se portava gli stessi abiti ed aveva la stessa corporatura. Era poco probabile che il fazzoletto ricamato ripreso dalla telecamera potesse appartenere a Malgorzata, visto che la perquisizione effettuata nella sua stanza di rue des Sablons non aveva permesso di ritrovare nessun fazzoletto di quel tipo. Ma, se la persona che usciva era Monika, tutto si spiegava.
Monika non era stata segnalata nel registro delle entrate perché evidentemente si trovava già nel suo ufficio durante il pomeriggio. Se era lei ad aver ucciso Malgorzata, aveva avuto il tempo di farlo con comodo, di indossare i panni della vittima e di uscire sotto le spoglie di quest’ultima. Tra il momento in cui il direttore Adalberto Lopez Garrido dichiarava di aver accompagnato la signorina Dombrowska all’ascensore del quindicesimo piano (ore 21.48) e quello in cui Nikos Papageorgios dichiarava di averla vista all’altro capo del corridoio del tredicesimo piano ferma dinanzi all’ascensore (ore 22.34) erano infatti trascorsi più di tre quarti d’ora durante i quali nessun altro aveva più visto la vittima. Dopo essere scesa dal quindicesimo al tredicesimo piano, Malgorzata doveva passata dinanzi all’ufficio di Monika e le due dovevano essersi incontrate, anche se l’incontro aveva avuto un esito tragico. L’ufficio del signor Lopaczinsky era a pochi passi.
Monika doveva avere, con qualche pretesto, indotto la vittima ad entrarci e poi l’aveva strangolata, oppure l’aveva strangolata nel proprio ufficio, e le erano bastati una decina di secondi per trascinare il cadavere della vittima nell’ufficio del traduttore belga.
Aveva poi indossato gli abiti della vittima, ma, per qualche inspiegabile ragione (o per semplice distrazione), aveva tenuto in mano il proprio fazzolettino anziché quello di Malgorzata.
Uscita fortunosamente, Monika era corsa a casa a cambiarsi d’abito, sapendo che non vi avrebbe trovato nessuno . Il cameriere del bar l’aveva scambiata per Malgorzata. Poi, senza farsi notare da nessuno, era uscita di casa e si era avviata verso la Stazione Nord per prendere il treno per Londra. L’alibi che si era così creata doveva esserle parso perfetto. Gli abiti di Malgorzata dovevano poi essere stati fatti sparire da qualche parte a Londra. Quanto al movente del delitto, Van Kampenhout s’era già fatta una sua idea al riguardo.
Riflettendoci su, il commissario si rese però conto che tutta la sua ricostruzione del delitto riposava su un indizio piuttosto fragile ed appariva giustificata solo assumendo come presupposto che la povera Malgorzata non avesse mai posseduto un fazzolettino con le iniziali ricamate. Non sarebbe certamente stato in grado di fornirne la prova e, senza una prova inconfutabile, tutte le sue ipotesi sarebbero franate.
Capitolo XXVII
IL TELEFONO SUONA IL SABATO
Monika Szegedy fu molto sorpresa, quando, la mattina del sabato, il telefono squillò nell’appartamento ed Irina, che aveva risposto, l’avvertì che il commissario Van Kampenhout desiderava parlarle. Il commissario, dopo essersi scusato del disturbo, spiegò a Monika che avrebbe voluto ancora domandarle qualche dettaglio sulla sua conoscenza con la vittima, nella speranza di trovare qualche elemento che lo aiutasse a procedere nelle indagini. Poiché gli uffici di polizia erano chiusi, le proponeva di bere insieme un caffé nella Grand-Place.
Quando Monika si presentò il commissario l’attendeva già seduto ad un tavolino di fronte al Municipio. Il tempo era bello e la piazza era occupata soprattutto da turisti che ammiravano le facciate rinascimentali delle vecchie case dei mercanti. Anche ai tavoli si sentivano parlare lingue straniere. I brussellesi erano ovviamente quasi tutti andati a passare il weekend nelle loro casette di campagna o sul Mare del Nord.
“Sono veramente spiaciuto di doverla ancora disturbare, signorina” esordì il commissario”, ma mi sono accorto che le indagini sull’assassinio della sua amica si stanno dimostrando molto più difficili di quanto pensassi e vorrei quindi approfondire la conoscenza della vittima attraverso le testimonianze dettagliate delle sue più intime amiche per cercare di scoprire qualche elemento che mi aiuti ad andare avanti”.
“Avrei piuttosto immaginato che le indagini fossero relativamente semplici” sorrise Monika” La povera Malgorzata è stata uccisa all’interno del Berlaymont e può quindi essere stata uccisa solo da qualcuno che si trovava all’interno dell’edificio nelle ore in cui il medico legale ha fissato il momento della sua morte. Una volta accertato con esattezza chi erano le persone presenti, il colpevole non può essere che una di queste...Potrà essere laborioso accertare chi è stato, ma il campo delle persone sospette è necessariamente limitato e questo mi sembra già un notevole vantaggio per le indagini...”.
“Senz’altro” riconobbe il commissario” a condizione che si conoscano esattamente tutti i possibili sospetti..”.
“Non mi sembra difficile “osservò Monika ”I controlli all’entrata ed all’uscita, come lei sa, sono molto rigorosi e tutti i movimenti fuori orario sono registrati, come lei ha potuto certamente constatare”.
“È vero” ammise il commissario, sorseggiando il suo caffè” ma, come lei giustamente ha detto, sono registrati i movimenti fuori orario. Chi entra ed esce durante l’orario d’ufficio, deve farsi identificare dai sorveglianti all’entrata ed all’uscita, ma non viene registrato”.
“Ciò non ha molta importanza” disse Monika” Tutti i punti d’entrata e d’uscita sono controllati dalle telecamere e perciò è senz’altro possibile verificare, per ogni singolo funzionario, l’entrata e l’uscita. Di certo l’avete già fatto.”
“Lei sopravvaluta i nostri mezzi signorina“ fece Van Kampenout “Considerate le migliaia di persone che entrano ed escono ogni giorno dal Berlaymont, un controllo su ogni singola persona, come quello a cui lei pensa, richiederebbe molto tempo e non avremmo comunque la certezza del risultato. L’uscita dei funzionari avviene in massa ed anche le telecamere possono non individuare chiaramente le singole persone in un folto gruppo di funzionari che escono in uno stesso momento.”
“Ma allora, come pensa di procedere, commissario?” domandò Monika.
“Purtroppo” cominciò Van Kampenhout” gli interrogatori che io ho già condotto mi hanno obbligato ad escludere l’idea che il colpevole sia qualcuno di coloro che risultano presenti al Berlaymont nella serata del venerdì. Un’indagine parallela sui sorveglianti e sulle donne di servizio non ha messo in rilievo alcun indizio che possa collegare uno di loro al delitto. Mi sono perciò convinto che, anche se non risulta in alcun modo, l’assassino doveva già trovarsi nell’edificio.”.
“In questo caso” obiettò Monika “sarebbe dovuto uscire dopo aver compiuto il delitto, mentre nella notte dal venerdì al sabato le telecamere non hanno ripreso nessuna altra uscita ed a partire dalla mattinata del sabato nessuno avrebbe potuto ancora nascondersi nell’edificio che è stato perquisito a fondo dai sorveglianti e dalla polizia”.
“Lei ha ragione?” concordò il commissario “Che cosa dobbiamo pensare?”.
“In verità,non lo so proprio”confessò Monika “Mi sembra che il colpevole possa essere solo uno di coloro che erano ufficialmente presenti, visto che chiunque altro si trovasse nell’edificio non avrebbe potuto uscire senza esserne notato”.
Van Kampenhout pensò che fosse venuto il momento di giocare l’unica carta di cui disponeva.
“Devo dirle signorina che , sulla base degli indizi finora raccolti, io ho finito per sospettare di lei. Lei può benissimo non essere uscita dal Berlaymont nel pomeriggio del venerdì, anche se noi non abbiamo alcuna certezza di poterlo provare, visto che le uscite prima delle 19.00 non sono registrate, e che un simile accertamento richiederebbe un controllo a posteriori dell’uscita dal lavoro di migliaia di funzionari. Ho avuto tuttavia modo di constatare che la corporatura della vittima era molto simile a quella di Vera ed alla sua ed ho saputo che talvolta vi scambiavate abiti e cappelli. È certamente ciò che lei potrebbe aver fatto la sera del delitto. C’è infatti un elemento che mi permette di affermare con certezza che la persona uscita dal Berlaymont alle 22.25 non era la vittima. Sul filmato ripreso dalla telecamera che controlla la hall del Berlaymont, si vede nettamente che il fazzoletto con cui questa persona si soffia costantemente il naso, celando così il proprio volto, porta un ricamo di cui s’indovina l’iniziale M. Malgorzata Dombrowska non possedeva fazzoletti ricamati. Appare quindi molto probabile che Il fazzoletto con l’iniziale M appartenga a lei: Monika Szegedy. Ci sarebbe anche anche il movente: gelosia d’amore”.
Monika non batté ciglio. “Come lei ha giustamente ammesso, Commissario” osservò imperturbabile” gli elementi da lei addotti sono ben lontani dal costituire fosse pure soltanto un inizio di prova. Il fatto che non abbiate trovato nella camera di Malgorzata alcun fazzoletto ricamato con le sue iniziali non dimostra in alcun modo che non potesse possederne uno. Lei ritiene, in sostanza, che la persona uscita alle 22.35 dal Berlaymont non fosse Malgorzata Dombrowska per il solo motivo che teneva in mano un fazzoletto sul quale si poteva indovinare che era ricamata la lettera M, cioè l’iniziale del nome Malgorzata. Mi scusi, ma un simile argomento mi sembra una vera acrobazia logica. C’è, d’altra parte, un piccolo particolare che smonta tutte le sue congetture. Tutte le mie amiche ed i miei conoscenti potranno confermarle che fino alla settimana scorsa non mi hanno mai vista usare un fazzoletto ricamato. Quello che lei mi ha visto in mano ieri sera, appartiene ad un set di fazzoletti ricamati che ho acquistato a Londra, qualche giorno fa. Se vuole, posso farle vedere la fattura. Mi dispiace per lei, ma, come vede, s’è lanciato su una pista completamente falsa”.
Quanto all’eventuale movente, sono sicura dell’amore di Joaquín e non avevo perciò alcun motivo di sopprimere una presunta rivale”
Il commissario dovette convenire che questa conclusione non faceva una grinza. Si alzò e prese rispettosamente congedo.
Per risolvere il caso ci voleva una prova inconfutabile di colpevolezza.
Capitolo XXVIII
L’eleganza dei fazzoletti ricamati
Avendo ormai sprecato gran parte della mattinata, Van Kampenout pensò che tanto valeva sprecare anche il resto della giornata e si diresse verso il Berlaymont.
Ririratosi nell’ufficio che gli era stato messo a disposizione, nel palazzo deserto, ricominciò ancora una volta ad esaminare gli atti ed i verbali nella speranza di trovare finalmente una prova inconfutabile.
Mentre rifletteva sulla difficoltà apparentemente insuperabile a cui si trovava di fronte, Van Kampenhout sentì l’urgente bisogno di andarsi a prendere una tazza di caffé. Concentrato com’era nei suoi pensieri non si guardò nemmeno intorno. Del resto, chi avrebbe potuto incontrare? Era sabato e nell’immenso edificio non c’era assolutamente nessuno, tranne un paio di sorveglianti che facevano di tanto in tanto un giro di ronda.
Il caffè rischiò quindi di andargli di traverso quando, proprio mentre portava il bicchiere di carta alla labbra, sentì alle proprie spalle una voce squillante : “Hola, senôr comisario, che cosa ci fa ancora qui?”.
“Che cosa ci fa lei?” replicò il commissario, voltandosi di scatto, senza cercare di nascondere la sorpresa che gli aveva provocato quell’improvvisa ed inaspettata domanda. “ Credevo che il sabato non fosse giorno lavorativo per i funzionari comunitari”.
“Non lo è infatti “rispose sorridente Eleuterio Aragón Quiroga “Ma trovo che il sabato il Berlaymont sia l’unico posto in cui uno può trascorrere qualche ora nel più assoluto silenzio, dedicandosi alla meditazione, lontano dalle folle di turisti che involgariscono la città con il loro chiasso e la loro maleducazione. “Odi vulgus profanum et arceo”.
Van Kampenhout non sembrò apprezzare la dotta citazione o, forse, nemmeno la capì. Non aveva fatto studi classici. Rimase zitto, sperando che il silenzio inducesse il suo ciarliero interlocutore a ritornare donde era venuto, ma Eleuterio Aragón Quiroga aveva evidentemente deciso di rinunciare alla sua meditazione sabbatina.
“Come va con la sua indagine?” domandò al commissario con espressione di grande interesse.
Van Kampenhout fece buon viso a cattivo gioco e, visto che c’era, anche per confidarsi con qualcuno, gli raccontò gli ultimi sviluppi dell’inchiesta ed il vicolo cieco in cui si era venuto a trovare con quell’indizio, che gli era parso così promettente .
“Sembrerebbe una probatio diabolica” sentenziò solenne Eleuterio “In effetti come si potrebbe provare, in circostanze normali, che la povera Malgorzata non possedeva nemmeno un solo fazzolettino ricamato con le sue iniziali e come si potrebbe dimostrare che la M sul fazzoletto della persona ripresa all’uscita dal Berlaymont era l’iniziale di Monika e non quella di Melissa, Miranda, Melisenda, Maria, Margherita, Melania, Matilde, Muriel, Marta, Marinella e via dicendo?. Eppure, un caso fortuito straordinario mi permette di servirle su un piatto d’argento la prova di cui Lei ha bisogno. Si figuri che, ieri pomeriggio, mentre passeggiavo con un amico sulla Grand-Place, ho incontrato il nostro n.1256, alias il signor Joaquín Ibarra Gonzalez, che, a quanto pare, lei non ha ancora sentito il bisogno di interrogare, ed ha fatto male. Ora, comunque non è più necessario, perché tutto ciò che quel signore avrebbe potuto raccontarle posso dirglielo io.
L’amico di cui ero in compagnia ieri conosce molto bene il signor Ibarra e, dopo aver scambiato due convenevoli, gli ha proposto di accompagnarci a prendere un caffé alla Chaloupe d’Or. Ci siamo seduti ed abbiamo cominciato a parlare. Era naturale che, presto o tardi, la conversazione scivolasse sulla triste fine della povera Malgorzata. “È stato un duro colpo per mia madre” ci ha raccontato il signor Ibarra” Era venuta a Bruxelles un paio di settimane fa per conoscere personalmente la mia ragazza, Monika, ma devo confessare che avevo avuto l’impressione che fin dall’inizio ci fosse stato poco feeling tra le due. Una volta, avevamo incontrato Monika in compagnia di Malgorzata, avevamo bevuto un caffè tutti insieme e fatto un po’ di conversazione, e mia madre ne era rimasta subito colpita. “Che brava ragazza !” mi aveva confidato”non appena eravamo rimasti soli “Femminile! studiosa! senza grilli per la testa! gentile! elegante, senza essere provocante!modesta! rispettosa! legata alla famiglia! tutto il contrario di quella donnaccia stupida, ignorante, presuntuosa e volgare, con cui stai perdendo il tuo tempo. Ed aveva insistito perché invitassi qualche volta Malgorzata ad uscire con noi, senza la presenza di quell’antipatica-così diceva lei- di Monika. Parlavamo –cioè io ascoltavo- di cucina, di vestiti, di cura della casa, di famiglia e mia madre non faceva che lodare il gusto, la discrezione e l’ eleganza di Malgorzata. Solo una volta, il giovedì della settimana scorsa, parlando di fazzoletti, mia madre si stupì che Malgorzata, così fine e così naturalmente elegante come era, non possedesse qualche fazzolettino ricamato con le proprie iniziali e Malgorzata, arrossendo delicatamente promise che sarebbe subito corsa a farsene ricamare qualcuno e che glielo avrebbe mostrato al nostro prossimo incontro”. “Sono sicuro, caro commissario,” concluse Eleuterio Aragón Quiroga” che un’indagine presso le ricamatrici della città proverebbe che lo ha fatto veramente”.
“Straordinario!” confessò il commissario, piuttosto sconcertato da questa incredibile rivelazione” ma ciò non risolve affatto le mie difficoltà. Al massimo, servirebbe a provare che la persona uscita alle 22.35 dal Berlaymont era veramente la vittima e mi metterebbe di nuovo nella necessità di scoprire come abbia potuto rientrare di nascosto al Berlaymont e farsi ritrovare il mattino dopo seminuda ed ormai cadavere sulla poltrona dell’ufficio del nostro amico Lopaczynski”.
“Non si affretti nelle sue conclusioni, caro commissario” proseguì Eleuterio imperterrito” Come dice Confucio, se vuoi far bene, evita di far le cose in fretta. La conversazione che le ho riferito è stata per il sottoscritto una inesauribile fonte di notizie. Sono infatti anche venuto a sapere che Monika aveva l’abitudine di usare soltanto dei fazzolettini di carta. “Il giorno dopo, venerdì, all’ora di pranzo “ha continuato il nostro Joaquín” avevamo appuntamento con Monika e mia madre, vedendo che Monika usava dei fazzolettini di carta, le ha gentilmente chiesto se non avesse dei fazzolettini di seta. Monika ha risposto che i fazzolettini di carta le sembravano molto più confortevoli ed igienici e che era quindi da moltissimo tempo che non comprava più fazzoletti di seta. “Che volgarità!”ha osservato mia madre, rivolgendosi a me con voce ben chiara”Guarda come risponde questa qui e paragonala alla finezza della signorina Malgorzata, al gusto che ha dimostrato per le cose belle ed eleganti”. Quindi è provato che, appena qualche ora prima del delitto, la signorina Szegedy non possedeva alcun fazzoletto di seta e, considerato che ha trascorso tutto il pomeriggio in ufficio, non aveva più alcuna possibilità di procurarsene uno ricamato con le proprie iniziali”.
“Molto bene” riconobbe il commissario, sempre più stupito” ma, a questo punto, la situazione è ancora più confusa: tutto ciò che è provato è che la persona potrebbe essere sia Malgorzata Dombrowska, che aveva comprato il giorno prima un fazzoletto ricamato, sia Monika Szegedy, che poteva averglielo sottratto al momento del delitto, sia, al limite, qualunque altra donna che si trovasse nell’edificio la sera del venerdì.”
“ È vero, Commissario.” osservò ridendo Eleuterio Aragón Quiroga”, ma, alla luce di quanto sappiamo, l’ipotesi di un’altra donna sconosciuta mi sembra piuttosto scolastica e fantasiosa. Partiamo invece dall’alternativa più probabile: la donna che è uscita dal Berlaymont venerdì sera alle 22.35 poteva soltanto essere Malgorzata Dombrowska o Monika Szegedy. Se lei fosse così gentile da farmi vedere i filmati e consultare un attimo gli atti dell’inchiesta, sono sicuro che saprò dirle con assoluta precisione e senza ombra di dubbio chi era quella donna.”
Capitolo XXIX
L’articolazione delle sibilanti
“A sua completa disposizione, mio dotto amico” sbottò il commissario, incredulo. “Vediamo i filmati, diamo un’occhiata agli atti, e poi lei mi dirà con assoluta precisione e senza ombra di dubbio chi era la donna che è uscita dal Berlaymont il venerdì sera alle ore 22.35.”
Lo accompagnò nella saletta e riproiettò le due scene, che aveva già visto un paio di volte.
Finita la proiezione, Eleuterio Aragón Quiroga, si alzò con atteggiamento solenne, si riassettò la giacca, si aggiustò gli occhiali, si schiarì la gola e decretò: “ Non è più necessario che lei mi lasci consultare gli atti dell’inchiesta, signor commissario. Gli elementi che ho dedotto dal filmato mi consentono già di darle una risposta. Come lei ha certamente osservato, signor commissario, la persona che è entrata è entrata quasi di corsa, mentre la persona che è uscita è uscita camminando lentamente. Perchè? Perché non era a suo agio in un paio di stivali che erano forse un numero in meno o un numero in più rispetto al suo. Non si tratta assolutamente della stessa persona. La persona che è uscita alle 22.35 è, con assoluta certezza e senza ombra di dubbio, una persona diversa da quella che è entrata alle 19.45 È d’accordo, con me?.”.
“Sì.” concesse di malavoglia il commissario” Su questo sono d’accordo. Durante l’indagine, ho in effetti potuto accertare che le ragazze di Rue des Sablons, con la sola eccezione di Irina, si scambiavano spesso camicette e cappelli, e talvolta anche le scarpe, sebbene avessero un mezzo numero di taglia in più o in meno l’una rispetto all’altra, ma questo può essere solo un indizio. Non è affatto una prova inconfutabile che si trattasse di una persona diversa da Malgorzata Dombrowska, in particolare di Monika Szegedy”.
“Infatti, non ho ancora terminato con le mie osservazioni” rispose serafico Eleuterio Aragón Quiroga.
“Continui, la prego” disse secco il commissario, che la calma e la sicurezza dello spagnolo irritavano sempre di più..
“Lei ha certo osservato con molta attenzione, signor commissario” proseguì tranquillo Eleuterio Aragón Quiroga” il momento in cui la ragazza uscita alle 22.35, della quale abbiamo ormai almeno un valido indizio per sospettare che non fosse Malgorzata Dombrowska, si è avvicinata al bancone dei sorveglianti per ritirare il suo badge. Allora, non dovrebbe esserle sfuggito un dettaglio che può apparire insignificante solo ad un osservatore superficiale. Se analizziamo bene la scena, vediamo infatti che la ragazza, che tiene il fazzoletto premuto sul naso con la mano sinistra, lo porta un attimo in avanti e poi lo riporta precipitosamente sul naso. Lei che cosa ne deduce?”.
“Ne deduco” rispose Van Kampenhout un po’seccato” che la ragazza ha starnutito, come del resto hanno ben confermato i sorveglianti, dalle cui dichiarazioni risulta che la ragazza ha starnutito più volte” e si rese subito conto che la sua risposta era proprio quella di un osservatore superficiale. Se si ammetteva, come si era appena fatto, che la ragazza potesse non essere Malgorzata Dombrowska, non si poteva certo dare per scontato che anche la persona che aveva assunto le sue sembianze fosse raffreddata e, se così era, una sola conclusione si imponeva: gli starnuti erano quasi certamente finti.
“Errore!”lo incalzò infatti Eleuterio Aragòn Quiroga senza dargli il tempo di correggersi “Gli starnuti erano finti. E sa perché la ragazza ha dovuto starnutire. È vero che doveva imitare anche in questo la povera Malgorzata. Ma perché ha dovuto starnutire nel momento preciso in cui si apprestava a riprendere il badge? Me lo saprebbe dire il perché?
Van Kampenout lo guardò allibito. Aveva difficoltà a seguire il ragionamento dello spagnolo.
“Ha dovuto starnutire per riportare il fazzoletto sul naso e sulla bocca. Se avesse allontanato la mano dal volto, il sorvegliante a cui si era rivolta avrebbe potuto veder bene la forma del naso e della bocca e magari ricordarsi più tardi, quando gli fosse stata sottoposta una fotografia della povera Malgorzata, che il naso e la bocca visti in quel momento non corrispondevano a quelli della vittima”.
“Ma perché ha dovuto starnutire?” domandò perplesso Van Kampenhout” Avrebbe potuto continuare a tenere il fazzoletto premuto sul viso.”.
“E qui casca l’asino” esclamò trionfante lo spagnolo, ma si accorse istantaneamente dell’enormità che aveva appena detto ed arrossì fino alla radice dei capelli. “ Mi scusi, mi scusi moltissimo, signor commissario. Non volevo offendere. È solo un modo di dire. Un modo di dire che si usa per indicare che la soluzione di un problema non è così semplice come sembra. Perché, invece di continuare a tenere il fazzoletto premuto sul viso, che sarebbe stata la soluzione più semplice, la ragazza ha sollevato un istante la mano e poi l’ha riportata in gran fretta sul naso fingendo uno starnuto? Perché istintivamente voleva prendere con la mano sinistra il badge che il sorvegliante le porgeva, ma nello stesso momento s’è accorta che così facendo si scopriva il volto. La ragazza che è uscita alle 22.35 era mancina. Abbiamo appena visto Signor Commissario che la ragazza che è entrata ha consegnato il badge con la mano destra. Dunque la ragazza che è uscita non era Malgorzata Dombrowska.”
“Monika Szegedy mi ha detto, nella conversazione di ieri che era mancina” borbottò di malagrazia Van Kampenhout” ma ciò non prova ancora che quella donna fosse lei. Chissà quante ragazze mancine lavorano al Berlaymont. Forse lei che sa tutto, mi saprebbe dire anche questo. Io attendo ancora che lei mi dimostri con assoluta certezza e senza ombra di dubbio che la persona uscita dal Berlaymont alle 22.35 era Monika Szegedy”.
“Non abbia fretta , signor commissario. Il ragionamento logico esige tempo. I matematici ci hanno messo 375 anni a risolvere il problema di Fermat, ma io le prometto che farò più in fretta a risolvere il problema di Szegedy. Però, per andare, avanti, adesso dobbiamo ritornare un attimo indietro.
Lei ha certamente notato che i badge non erano ammucchiati alla rinfusa sul bancone, ma erano allineati, l’uno dietro l’altro, andando dal bordo esterno del bancone verso il bordo interno. Possiamo ragionevolmente supporre che il sorvegliante li avesse allineati in ordine alfabetico per poterli individuare con maggiore facilità. I badge dovevano essere disposti in quest’ordine”. Ciò dicendo, Eleuterio Aragón Quiroga aveva preso dalla scrivania un foglio bianco e aveva cominciato a scriverci sopra la seguente lista:
Dombrowska
Lopes Garrido
Lupescu
Paleron
Papageorgios
Scannabue
Stevenson
“Siamo d’accordo?” domandò a Van Kampenhout.
“D’accordo “ rispose il commissario con voce atona.
“Allora” fece lo spagnolo” rivediamo la scena del ritiro del badge, che sarà durata non più di una decina di secondi, come è stata ripresa dalla telecamera situata un po’più in alto, immediatamente dietro il bancone dei sorveglianti, e immaginiamo di scandirla in singoli fotogrammi isolati. Mi segua con attenzione, per favore!” e cominciò, con quel tono saccente e pedantesco che indisponeva molto il commissario:
“Primo fotogramma: La ragazza si avvicina al bancone; uno dei sorveglianti si alza in piedi.
Secondo fotogramma: La ragazza stacca dal volto la mano che tiene il fazzoletto.
Terzo fotogramma: La ragazza sembra cominciare a dire qualcosa.
Quarto fotogramma:La ragazza fa una smorfia e riporta di scatto il fazzoletto dinanzi al volto. Nello stesso momento il sorvegliante volge lo sguardo verso gli ultimi badge della fila.
Quinto fotogramma: La ragazza starnutisce. Il sorvegliante sta guardando perplesso gli ultimi badge della fila.
Sesto fotogramma: La ragazza sposta il fazzoletto in modo da lasciar libera la bocca, pur continuando a tenere coperti il labbro superiore ed il naso. Il sorvegliante la guarda, come se attendesse di sentirla parlare.
Settimo fotogramma: La ragazza dice qualcosa.
Ottavo fotogramma: Il sorvegliante prende il primo badge in alto e glielo porge.
Nono fotogramma: La ragazza, sempre tenendo il fazzoletto premuto sul volto con la mano sinistra, posa per terra il sacco da ginnastica e porta avanti la mano destra per prendere il badge.
Decimo fotogramma: La ragazza si allontana.
Lei converrà con me, signor commissario, che tutta la sequenza ammette una sola spiegazione logica.
La ragazza ha cominciato a rivolgersi al sorvegliante, ma si è subito accorta che stava commettendo un doppio errore: stava per scoprirsi il volto e stava per pronunciare il proprio nome, come faceva abitualmente ogni volta che doveva ritirare il badge. Allora, ha subito finto uno starnuto, ma il sorvegliante che aveva già udito un suono sibilante ( la “esse” iniziale del cognome Szegedy), ha guardato istintivamente verso gli ultimi badge ed è rimasto chiaramente perplesso nel vedere che non c’era fra di essi il badge di una donna. Dopo essersi riportata il fazzoletto sul volto, la ragazza lo ha leggermente sollevato per scoprire la bocca ed ha pronunciato il nome “Dombrowska”.A questo punto il sorvegliante, come abbiamo visto bene nel filmato, ha preso il primo badge in alto e glielo ha porto.”.
Van Kampenhout s’accorse, con irragionevole soddisfazione, che il ragionamento dello spagnolo per quanto ineccepibile urtava contro un dettaglio apparentemente marginale di cui non aveva ritenuto necessario mettere a conoscenza il povero Eleuterio. Nel corso delle indagini, il sorvegliante gli aveva infatti spiegato che, per rendere ancora più facile la ricerca dei badge, aveva ulteriormente perfezionato lo schema, creando due distinte liste alfabetiche: dei maschi e delle femmine. Normalmente piazzava in alto la lista dei maschi e in basso quella delle femmine. La sera del venerdì, per un’inspiegabile distrazione, aveva fatto il contrario ed era poi rimasto perplesso quando, vista avvicinarsi una donna, aveva istintivamente cercato in basso, trovando però soltanto nomi maschili.
Era assurdo, pensò subito il commissario, rallegrarsi di veder naufragare malamente la perfetta dimostrazione di ciò che lui stesso aveva intuito, ma non c’era nulla da fare, era più forte di lui. Il piacere di poter spiegare a quell’indisponente primo della classe che si era sbagliato prevaleva in quel momento su qualsiasi altra considerazione.
“Mi dispiace , signor Aragón” osservò con atteggiamento compunto “perché il suo ragionamento era di una logica inappuntabile. Purtroppo, lei non è al corrente del fatto che il sorvegliante aveva predisposto due liste, una per gli uomini e una per le donne, piazzandole l’una dopo l’altra, e che la posizione dei singoli badge era dunque del tutto diversa da quella che lei aveva immaginato” e gli raccontò tutto ciò che il sorvegliante gli aveva spiegato.
Eleuterio Aragòn Quiroga accusò visibilmente il colpo. Arrossì di dispetto e sentì che stavano per colargli le lacrime. Chiuse gli occhi, per non far notare al commissario il suo turbamento e biascicò, in modo appena udibile: “ Quel sorvegliante è un cretino, e, per giunta, uno smemorato. Come ha fatto a non ricordare dove aveva messo i badge delle donne, visto che appena un’ora prima era uscita un’altra donna, alla quale aveva dovuto riconsegnare il badge?”
“ Devo ammettere che ero veramente orgoglioso di aver risolto il caso con un ragionamento al tempo stesso semplice ed elegante.” continuò poi, sempre con gli occhi chiusi, ma con voce di nuovo chiara e sicura” Ora, quell’imbecille di sorvegliante e quel suo schema assurdo mi costringono a ripiegare su un’osservazione banale, di cui mi vergogno”.
“Come sarebbe a dire?” fece Van Kampenhout , che non capiva dove lo spagnolo volesse andare a parare.
“Sì” ammise Eleuterio Aragón Quiroga. “ In queste condizioni, per dimostrarle che la donna uscita dal Berlaymont era effettivamente Monika...non mi resta che ricorrere ad una constatazione che è veramente alla portata di tutti, anche dei più sprovveduti.”
“Che coosa?...” esclamò Van Kampenhout con voce strozzata.
“Sì.” continuò Eleuterio Aragón Quiroga, sempre con gli occhi chiusi, ma con voce decisa ” Prima dello starnuto, da sotto il fazzoletto sollevato si vedevano bene la bocca aperta e la punta della lingua e quando si vede muoversi la punta della lingua, è una cosa da ragazzi distinguere se chi parla sta pronunciando una “esse”, come l’iniziale di Szegedy, o una “di” , come l’iniziale di Dombrowska. L’articolazione delle sibilanti si distingue infatti da quello delle altre labiali per il fatto che...”.
Sconcertato da un improvviso rumore simile ad un rantolo, Eleuterio Aragón Quiroga spalancò gli occhi e non vide più nessuno al suo fianco.
Il commissario Van Kampenhout si era lasciato cadere su una delle poltrone che formavano una specie di salottino accanto alla macchina del caffè. Aveva lo sguardo spento, la bocca spalancata, il respiro affannoso. Le braccia pendevano inerti a toccare il pavimento. Tutto il suo aspetto ricordava quello di un pugile totalmente suonato.
Eleuterio Aragón Quiroga l’aveva messo k.o.
Capitolo XXX
Epilogo
Monika Szegedy confessò, dopo che numerosi altri elementi erano venuti a confermare l’intuizione del commissario Van Kampenhout, di aver strangolato Malgorzata Dombrowska al termine di una conversazione in cui l’atteggiamento di quest’ultima le aveva fatto perdere ogni controllo di sé.
Dopo l’esito disastroso del pranzo di mezzogiorno con Joaquín e sua madre, era ritornata, schiumante di rabbia nel suo ufficio pensando a ciò che doveva fare ed aveva concluso che l’unica soluzione fosse allontanarsi per una settimana da Bruxelles, per porre la maggiore distanza possibile tra sè e la “suocera”(già dimostratasi tale prima ancora di qualsiasi fidanzamento ufficiale), nella speranza che, ritenendosi ormai padrona del campo, l’energica signora considerasse inutile prolungare il soggiorno a Bruxelles. Era quindi passata un attimo a casa, aveva preparato una borsa con un pigiama ed un po’ di biancheria, ed aveva lasciato sul tavolo un biglietto per informare le colocatarie della sua intenzione di recarsi a Londra. Ritornata al Berlaymont, aveva chiesto una settimana di congedo ed aveva prenotato via Internet un posto sul treno della notte per Londra. Poi aveva deciso di rimanere in ufficio fin verso le dieci di sera per smaltire una parte dei carichi pendenti e non trovarsi al suo ritorno con una mole troppo pesante di lavoro sulle spalle. Aveva lasciato la porta semiaperta e, verso le 21.50 aveva visto passare davanti al suo ufficio Malgorzata Dombrowska che, incuriosita, s’era fermata a salutarla. Monika l’aveva fatta sedere di fronte alla scrivania ed avevano cominciato a parlare. Pensando alla loro amicizia, Monika l’aveva pregata di non prestarsi a fare il gioco della madre di Joaquín, ma Malgorzata, ridendo, le aveva detto che non si stava prestando ad alcun gioco, che in fondo Joaquín era un bell’uomo ed un ottimo partito e che,se aveva avuto la fortuna di risultare simpatica alla signora Ibarra Gonzalez, non vedeva proprio perché fosse scorretto approfittare di questo vantaggio. Monika l’aveva invitata a smettere di scherzare, ma la disgraziata l’aveva assicurata che non stava affatto scherzando e continuava a ridere. Improvvisamente, Monika aveva notato nelle mani di Malgorzata il fazzolettino ricamato ed aveva capito, in un attimo, che l’amica non aveva esitato a tradirla e che era dispostissima a lanciarsi in una battaglia senza esclusione di colpi. Questa terrificante constatazione l’aveva colpita con la forza di una mazzata in testa. Non riusciva più a connettere, né a formulare un pensiero coerente. Le era rimasta in corpo solo una rabbia folle, un rancore senza limiti, un odio bruciante verso la persona che, come se non fosse altro che uno scherzo, stava per distruggere, senza un briciolo di rimorso, tutti i suoi più bei progetti ed i suoi sogni più cari. Con un enorme sforzo era riuscita a dissimulare il suo turbamento ed a mantenere un’apparenza normale. Poi, alzandosi dalla scrivania, aveva finto di dover cercare qualcosa nell’armadio addossato alla parete di fondo, si era portata alle spalle di Malgorzata, completamente ignara delle sue intenzioni, e, afferrati i lembi del robusto cordoncino di cuoio che questa portava al collo per tenere la chiave di casa, aveva tirato a lungo con gran forza. Quando la povera Malgorzata non aveva più dato segni di vita, si era resa conto di ciò che aveva fatto ed aveva capito che doveva trovare in pochi minuti una via di salvezza. Ricordandosi dell’ufficio di Lopaczynski a pochi metri di distanza, aveva trascinato lì il corpo di Malgorzata e l’aveva spogliata, indossando poi i suoi abiti, il suo cappello ed il suo impermeabile. In seguito, aveva preso il proprio sacco da ginnastica e vi aveva messo dentro i propri vestiti. Nessuno l’aveva vista. Avvicinatasi all’ascensore, era stata scorta di lontano da Nikos Papageorgios. Arrivata a casa, s’era di nuovo cambiata, aveva messo nel sacco i vestiti di Malgorzata e si era recata alla stazione.
...
Monika Szegedy si vide riconoscere le circostanze attenuanti e fu condannata a quindici anni di prigione, ma fu liberata , per buona condotta,dopo aver scontato otto anni di carcere effettivo. Mentre era in prigione, fu amorevolmente visitata ed assistita da Joaquín, il quale aveva fatto credere alla madre che il delitto compiuto da Monika, aggiungendosi agli innumerevoli ed insopportabili difetti della ragazza, lo aveva convinto a lasciarla perdere definitivamente. Col passare degli anni e con l’incalzare della vecchiaia, la terribile signora perse a poco a poco carattere e lucidità e, quando, infine, Joaquín le annunciò il suo fidanzamento con Monika, ormai libera, la reazione fu molto meno tempestosa di quanto sarebbe stata qualche anno prima.
Per ciò che riguarda le amiche dell’appartamento di rue des Sablons, Irina s’accorse che neppure le affinità elettive bastavano a conservare l’affetto di un tipico rappresentante di uno dei popoli più lunatici ed imprevedibili che esistano al mondo. Alistair Stevenson, M.Phil., giunse da parte sua alla conclusione che le donne europee non sarebbero mai state in grado di coniugare armoniosamente la bellezza fisica ed una raffinata sensibilità spirituale. Irina, occorre darle merito, passò coraggiosamente oltre questa delusione, fece una splendida carriera nel Servizio giuridico della Commissione ed alla fine riuscì a recuperare un ottimo rapporto con Nikos Papageorgios, di cui condivideva l’impegno politico e di cui aveva abilmente fatto riaffiorare, da sotto il leggero strato di vernice mediterranea, la comune radice balcanica. Alistair Stevenson, da parte sua, fece uso della possibilità di chiedere il prepensionamento e da allora trascorre stagioni felici nella lontana Thailandia.
Vera, meno svanita di quel che credeva a torto il nostro buon Alistair, ripiegò sul generoso Giandomenico Scannabue, chiudendo ambedue gli occhi sul fatto che, se interrogato sulla scelta tra violoncello e contrabbasso, il nostro buon Giandomenico avrebbe certamente risposto “ questo o quello per me pari sono”.
Come finì l’epico scontro tra il Direttore Generale delle Infrastrutture ed il Direttore della Traduzione non risulta dalle cronache. Probabilmente volarono entrambi verso sempre più alte e gloriose mete.
Ulrika Schönhofen conseguì l’antiquato titolo di contessa e, con grande sorpresa del suo consorte, il signor Hans-Heinrich graf von Waldenburg, lo trovò improvvisamente assai meno ridicolo e buffo di quello di conte.
Il commissario Van Kampenhout continuò ad essere invitato, di tanto in tanto, a qualche party organizzato dai funzionari del Berlaymont ed imparò a rendersi quasi invisibile in mezzo alla folla dei presenti ogni volta che vedeva avvicinarsi la signora danese od Eleuterio Aragón Quiroga. Per quest’ultimo provava uno strano sentimento, un misto di ammirazione, di avversione, di invidia e di rancore, che non riusciva a giustificare razionalmente e del quale, da galantuomo qual era, si vergognava profondamente.
Jean Casimir Lopaczynski ottenne, in modo sorprendente ed inaspettato, la sua rivincita su Eleuterio Aragón Quiroga. Una volta che lo spagnolo gli stava domandando: “Sapresti dirmi l’ anno, il mese, il giorno, l’ora ed il minuto in cui Cristoforo Colombo scoprì l’America?”, il nostro Jean Casimir, quasi per ispirazione divina, gli ribatté: “E tu sapresti dirmi l’ anno, il mese, il giorno, l’ ora ed il minuto in cui hai scoperto il Berlaymont?”. Lo spagnolo lo guardò stralunato, strabuzzò gli occhi, cercò di concentrarsi mentre un’espressione di panico gli si dipingeva sul viso, borbottò un paio di parole senza senso, poi si voltò di scatto e si allontanò a grandi passi in direzione del suo ufficio. Quell’uomo straordinario, che aveva immagazzinato nella propria mente tutto lo scibile umano, non ricordava più da quanti anni si stesse aggirando senza costrutto nei corridoi del mastodontico edificio.
I vecchietti italiani si ritrovarono insieme a parlare degli avvenimenti e ad evocare la tragica fine della povera Malgorzata.
“Era così giovane, così bella e se n’è andata così in fretta “sospirò Elio de Gubernatis, sorseggiando il suo espresso, con gli occhi velati di lacrime.
“Sic transit gloria mundi” replicò saggiamente Aimone Belli Vicini.
“Quis lucidior sole? Et hic deficit” declamò Enrico Lo Cascio, mentre il generale Fernando Lucidi lo fissava astiosamente domandandosi stupito dove mai avesse potuto trovare una simile frase. E dove Enrico Lo Cascio, le cui citazioni raggiungevano assai raramente tale pindarica altezza, avesse scovato una simile frase, non l’ha saputo e non lo saprà mai nessuno.