Wáng Zhīhuán 王 之 渙 , noto anche sotto lo pseudonimo di Wáng Jìlíng 王 季 淩 , nacque nel 688 d.C. a Bíngzhōu 并 州 presso Tàiyuán 太 原 nello Shānxī 山 西 .
Di lui si sa poco.
Le fonti disponibili ci dicono soltanto che, in gioventù, si trasferì da Bíngzhōu 并 州 a Jiàngzhōu 絳 州 , oggi Jiàngxiàn 洚 縣 nello Shānxī. 山 西 .
Fu poi nominato contabile distrettuale (主 簿 “zhŭbù”) a Héngshuĭ 衡 水 nel Jìzhōu 冀州 , ma fu calunniato per i suoi presunti rapporti con le figlie del governatore della città, Lĭ Dí 李 滌, e venne costretto a dimettersi.
Visse in povertà.
Verso la fine della sua vita, ricoprì le funzioni di capo della polizia (縣 尉 “xiànwèi”) nella contea di Wén’ān 文 安 ( prefettura di Lángfáng 廊 坊 nel Hébĕi 河 北 ).
Un aneddoto ci lascia pensare che, ai suoi tempi, godesse di una certa popolarità
Si racconta che una volta, in compagnia di due altri poeti, Wáng Chānglíng 王 昌 齡 e Gāoshì 高 適, assistesse ad uno spettacolo musicale in cui venivano eseguite le canzoni dei poeti più conosciuti. All’inizio, non venne presentata nessuna poesia di Wáng Zhīhuán. Preso in giro dagli amici, il poeta li invitò ad attendere con calma. Quando, al termine della serata, apparve in scena la cantante più celebre, questa si mise a gorgheggiare precisamente una poesia di Wáng Zhīhuán.
Scrisse molte poesie relative alla vita dei soldati nelle zone di frontiera, ma solo sei ci sono pervenute. Una di esse è quella che segue.
OLTRE IL CONFINE (1)
Il Fiume Giallo si perde lontano,
in alto, tra le candide nuvole. (2)
Una piazzaforte solitaria
in mezzo ad altissime montagne.(3)
Che bisogno c’è che il flauto dei Qiāng (4)
ci suoni il “Rametto di Salice”? (5)
La primavera non supera mai
il passo della Porta di Giada.(6)
出 塞 chū sài
黃 河 遠 上 白 雲 間 huáng hé yuán shàng bái yún jiān
一 片 孤 城 萬 仞 山 yī piàn gū wàn rèn shān
羌 笛 何 須 怨 楊 柳 qiāng dí hé xū yuàn yáng liŭ
春 風 不 度 玉 門 關 chūn fēng bù dù yù mén guān
NOTE
1) Questa poesia è nota anche come “La Canzone di Liángzhōu” ( 涼 州 詞 “liángzhōu cí”).
2) Il Fiume Giallo 黃 河 (“huáng hé”) nasce sulle montagne del Bayan Har ( 巴 颜 喀 拉 山 脉 ”bāyán kālā shānmài”) nel Qīnghăi 青 海 , attraversa varie regioni della Cina, tra cui il Gānsù 甘 肅, e si getta nel golfo di Bóhăi 渤 海 a qualche centinaio di chilometri da Pechino. Chi ne risalga il corso fin quasi alla sorgente può avere l’impressione che esso si perda tra le nuvole.
3) Ho reso l’espressione 萬 仞 (“wàn rèn” “diecimila rèn”) con l’aggettivo “altissimo”. II ”rèn” 仞 è un’antica misura dell’altezza pari a 2,33 metri circa.
4) Il "qiāngdì" 羌 笛 ("flauto dei Qiāng") è un flauto verticale, formato da due canne di bambù lunghe 15-20 centimetri, legate insieme da fili di seta. Originariamente aveva quattro fori. Un quinto foro, per gli acuti, sarebbe stato aggiunto nel 1° secolo a.C. da Jīng Fáng 京房. Un sesto foro è stato aggiunto in tempi più recenti.
Tale flauto è tipico del popolo dei Qiāng 羌 , piccola minoranza etnica di stirpe tibetana stabilita nel Sìchuān 四 川.
Il suono del flauto si presta particolarmente bene ad esprimere sentimenti di malinconia e di nostalgia.
5) Il poeta si riferisce qui ad un antico canto popolare intitolato “Spezzando un rametto di salice”(折 杨 柳 ”zhéyángliŭ”), che esprime la tristezza di chi deve allontanarsi dalla propria casa e dalla propria famiglia. Spezzare un rametto di salice e offrirlo a chi partiva per augurargli di ritornare presto era una consuetudine , nata già all’epoca della dinastia Qín 秦 朝 , che giocava probabilmente sull’assonanza fra il sostantivo “liŭ” 柳 (”salice”) e il verbo “liú” 留 (”stare”,”rimanere”).
Una melodia di questo genere poteva solo accrescere la nostalgia di chi era lontano dal proprio paese.
6) Yùménguān 玉 門 關 ("il valico della porta di giada") è il nome di un passo situato ad ovest di Dūnhuáng 敦 煌 nell’attuale provincia del Gānsù 甘 肅 . Lo Yùménguān costituiva il posto di frontiera sulla Via della Seta che collegava la Cina all’Asia Centrale.
Il riferimento alla primavera che non supera mai il valico dello Yùménguān può anche essere preso alla lettera, viste le condizioni climatiche particolarmente dure di una zona situata ai margini del deserto, ma va, soprattutto, interpretato come una metafora delle gioie della vita, che non giungono mai all’estrema periferia dell’impero, in un’area dove imperversa costantemente la guerra.