1. Yáo disse: “O Shùn, è giunto per te il momento stabilito dal Cielo. (1) Mantieni sempre il giusto equilibrio. (2) Se fame e miseria colpissero il paese, perderesti per sempre il Mandato Celeste.”(3)
Nello stesso modo Shùn ,trasferì il potere a Yú. (4)
Tāng (5) disse: “Io, Lǚ, insignificante come un ragazzino, oso sacrificare un toro nero (6). Oso promettere all’Augusto Sovrano del Cielo che non mi permetterò di perdonare chi ha commesso un crimine e che non terrò in disparte i suoi servitori, conformemente alla sua volontà: (7) Sono pronto ad assumere su di me le colpe del popolo, ma non voglio che le mie colpe ricadano sul popolo.”(8) (9)
Il sovrano Zhōu (10) fu assai generoso (11) ed arricchì gli uomini perbene. (12) “ Il mio nemico ha molti parenti” egli diceva” ma essi non valgono gli uomini integri e capaci che mi sostengono. (13) Il popolo biasima me solo.”(14)
Fissò con cura i pesi e le misure, riformò le leggi, ristabilì le funzioni abolite dal tiranno e restaurò il buon governo in tutto il paese.
Ridiede vita ai principati che erano stati soppressi, costituì eredi alle famiglie che si erano estinte (15), richiamò in servizio coloro che si erano ritirati dalla vita politica e si guadagnò così l’amore del popolo.
Le sue maggiori preoccupazioni erano il benessere della gente, il cibo per la popolazione, il rispetto dei periodi di lutto e la celebrazione dei sacrifici. (16)
Con la sua magnanimità conquistò il cuore delle folle, con la sua sincerità si meritò la fiducia del popolo.
Con la sua diligenza fece grandi cose, con la sua giustizia fu la gioia dei sudditi.
2. A Zĭ Zhāng che gli domandava che cosa occorresse fare per governare bene, il Maestro rispose:”Basta possedere cinque qualità ed evitare quattro difetti”.
“Quali sono le cinque qualità?” domandò allora Zĭ Zhāng.
“Un buon principe” gli spiegò il Maestro” fà il bene senza sprecare risorse, realizza i lavori pubblici senza opprimere il popolo, è ambizioso senza essere avido, dignitoso senza essere arrogante, maestoso senza essere impressionante”
“Che cosa significa essere generoso senza sperperare?” fece Zĭ Zhāng.
“Adottare provvedimenti che favoriscano naturalmente il benessere del popolo non significa forse procurare benefici alla gente senza spese inutili? (17) gli rispose il Maestro ed aggiunse: “Chi si lamenterà di un sovrano che fa effettuare i lavori pubblici a tempo opportuno? (18) Chi riterrà avido un sovrano che persegue il fine del buon governo e riesce a raggiungerlo? (19) Un principe che è cortese sia quando è con i cortigiani sia quando è in mezzo alla folla, sia quando tratta con la gente comune sia quando tratta con i grandi dignitari, non mostrerà di essere degno senza essere arrogante? (20) Un principe, che porti con decoro i propri abiti ed il proprio copricapo e che si guardi intorno con dignità, non sarà considerato con rispetto? Non sarà ritenuto maestoso, senza bisogno di incutere paura? (21)
“Quali sono i quattro difetti?” domandò infine Zĭ Zhāng.
Il Maestro gli rispose:”Il primo è la crudeltà che consiste nel punire senza ragione (22). Il secondo è l’arbitrio che consiste nel pretendere ciò che non è dovuto. (23) Il terzo è la ruberia che consiste nell’esigere l’esecuzione di un obbligo prima della scadenza. (24) Il quarto è l’avarizia che consiste nel lesinare i pagamenti a coloro che hanno prestato un servizio. (25)”
3) Il Maestro disse: “Chi non rispetta la volontà del Cielo non può essere un galantuomo. Chi non conosce i riti non può essere un uomo di carattere. Chi non capisce il senso delle parole non può conoscere gli uomini.”
NOTE
(1) I primi due paragrafi del Capitolo XX illustrano le doti del buon sovrano. Troviamo anzitutto, nel paragrafo 1. una descrizione delle qualità degli antichi imperatori che rappresentarono, secondo la tradizione, il modello dei buoni governanti: Yáo, Shùn, Yú, Tāng ,il fondatore della dinastia Shāng, e Wŭ, il fondatore della dinastia Zhōu. Nel paragrafo 2. troviamo invece l’enumerazione delle doti che il buon principe dovrebbe possedere e dei difetti che dovrebbe evitare.
2) Il principio enunciato nell’espressione 執 其 中 (“zhí qí zhōng””tieni il mezzo”) corrisponde all’”aurea mediocritas” della nostra antichità classica, intesa come rifiuto di tutti gli eccessi e ricerca del “giusto mezzo”, cioè di un comportamento equilibrato e moderato.
3) Il termine 天 禄 (“tiān lù”, “ricompensa celeste”) sembra essere, in questo dialogo, un equivalente di 天 命 (“tiān mìng”, “Mandato del Cielo”), perché il sovrano che governa male, esponendo il proprio popolo a miseria e disgrazie, la perderà per sempre. La dottrina del Mandato del Cielo, mandato che giustifica il governo dei buoni sovrani e che viene tolto ai tiranni ed agli incapaci, privandoli quindi di ogni legittimità, fu elaborata dai Zhōu per dare un fondamento etico-legale alla loro rivolta contro i Shāng. Ci si può domandare perché anche le calamità naturali venissero viste come segnali del fatto che la dinastia regnante stava perdendo il Mandato del Cielo. A questo riguardo, si può osservare che un legame logico abbastanza evidente poteva essere stabilito perlomeno tra il malgoverno e le grandi inondazioni, che distruggevano i raccolti provocando terribili carestie: la regolazione del corso dei fiumi dipendeva infatti dalla costruzione ed dal mantenimento in efficienza di un enorme sistema di dighe e di canalizzazioni, a cui era in grado di provvedere solo un’amministrazione competente, preparata, ben organizzata ed attenta ai bisogni della popolazione.
4) Le frasi attribuite a Yáo ( 執 中 “zhí zhōng” cioè “tieni il giusto mezzo” e 四 海 困 窮 天 祿 永 終 “sì hăi kùn qióng tiān lù yŏng zhōng” cioè “ se ci sarà miseria e povertà tra i quattro mari, la ricompensa del cielo sparirà per sempre”) figurano in effetti in bocca a Shùn nel terzo capitolo del Shūjĭng (書 經 “Il Libro dei Documenti”) , intitolato 大 禹 謨 (“dà yú mó” “I consigli di Yú il Grande”).
5) Tāng 湯 , il cui nome personale era Lǚ 履 , fondò la dinastia Shāng 商 朝 , cacciando dal trono Jié 桀, l’ultimo sovrano della dinastia Xià 夏 朝 . Avrebbe regnato dal 1675 a.C. al 1646 a.C.
6) Il colore della dinastia Xià era il nero. L’imperatore Xià sacrificava perciò alla divinità animali di color nero. Dichiarando che osa sacrificare un toro nero, Tāng comunica perciò al Signore del Cielo che è lui, ora, a rivestire la dignità imperiale. Successivamente però, Tāng scelse come colore della dinastia il bianco e cominciò a sacrificare animali di color bianco.
7) Tāng sembra ricordare due dei compiti fondamentali di un buon sovrano: amministrare la giustizia e promuovere il rispetto della religione. Questo passo è però alquanto oscuro ed alcuni commentatori lo hanno interpretato con riferimento alla campagna militare condotta da Tāng contro il sovrano della dinastia Xià: Tāng si impegnerebbe solennemente a non nascondere( 蔽 “bì”) né perdonare (赦 “shè”) le malefatte di quest’ultimo, che sarebbe indicato con l’espressione 帝 臣 “dì chén”, cioè “servitore del sovrano (del Cielo)", uno dei titoli imperiali.
8) Troviamo qui traccia di tradizioni remote, largamente diffuse ( le riscontriamo anche, per fare due soli esempi, nelle antiche tribù germaniche e nelle popolazioni africane),che vedevano nel sovrano colui che mediava tra il Cielo e la Terra, tra gli dei e gli uomini. La funzione del re era originariamente quella di attirare sui propri sudditi le benedizioni del Cielo, assicurando loro , grazie ai suoi rapporti privilegiati con gli dei, prosperità e buoni raccolti. Il rovescio della medaglia era purtroppo che, in caso di calamità naturali, di cattivo raccolto, di fame e di carestia, chi ne era ritenuto responsabile era il re stesso, colpevole di non aver saputo conservare, a causa delle propri e colpe, l’amicizia delle divinità. Per ristabilire un buon rapporto con il Cielo era allora necessario che il re offrisse agli dei il più prezioso dei sacrifici : la propria vita.
Un esempio di questo tipo è riportato, proprio con riferimento a Tāng,in un’altra fonte, il Lǚshì Chūnqiū 呂 氏 春 秋 (“Le primavere e gli autunni del Maestro Lǚ”),che, nel suo nono libro, intitolato 季 秋 記 (“jì qiū jì” “Annali del terzo mese d’autunno”) 順 民 (“shùnmín” “Il rispetto della volontà popolare”), racconta come, in occasione di una terribile siccità, l’imperatore stesso si fosse offerto quale vittima sacrificale per impetrare la pietà degli dei, che, commossi dalla sua generosità, inviarono subito sulla terra un’abbondante pioggia.
Tanto nel Lǚshì Chūnqiū quanto nei Dialoghi la generosità del sovrano è evidenziata dalla sua disponibilità a sacrificarsi non solo per le proprie colpe, ma anche per le colpe del popolo. Analoga generosità è attribuita dai Dialoghi al re Wŭ dei Zhōu.
9) Alcune delle parole qui riportate si trovano nel capitolo 12 del Shūjĭng 書 經 , intitolato “Il proclama di Tāng”( 湯 誥 “tāng gào”), in cui si legge: “Io, il ragazzo... non oso perdonare il criminale. Oso sacrificare un toro nero. Oso comunicare al Signore del C ielo...”. ( 小 子 不 敢 赦 敢 用 玄 牡 敢 昭 告 于 上 天 神 帝 “xiăo zĭ... bù găn shè... găn yŏng xuàn mŭ... găn zhāo gào yú shàng tiān shén dì”).
10) Il testo cinese reca soltanto il termine 周 Zhōu, che va ovviamente riferito a Wŭ Wáng 武 王, il fondatore della dinastia Zhōu.
11) Ho reso con “fu generoso” l’espressione 大 賚 “dà lài” (fece“grandi doni”,conferì ”grandi benefici”), che è ripresa dal Shūjĭng 書 經 (“Libro dei Documenti”), 武 成 Wŭchéng (“Fine vittoriosa della guerra”), par. 3.
12) Una diversa interpretazione potrebbe essere “abbondarono gli uomini eccellenti”. In un altro passo dei Dialoghi (8. 2) si ricorda in effetti che i Zhōu poterono disporre di numerosi ottimi ministri.
13) Il buon principe affida gli incarichi importanti agli uomini competenti e virtuosi, non ai parenti ed agli amici per quanto questi possano essere numerosi. Il passo è ripreso dal paragrafo 2 della “Grande Dichiarazione”泰 誓 (“qín shì”), il discorso programmatico che il re Wŭ dei Zhōu fece ai principi suoi alleati quando si accingeva a muover guerra contro l’imperatore della dinastia Shāng. Esso recita: “Sebbene (il tiranno) abbia intorno i suoi parenti, essi non sono come gli uomini virtuosi”.(雖 有 周 親 不 如 仁 人 “sūi yŏu zhōu qīn bù rú rén rén”).
14) Alcuni commentatori interpretano questo passo come una rivendicazione da parte del re Wŭ della propria responsabilità di fronte al Cielo per le colpe del popolo. Il passo originale della Grande Dichiarazione, che i Dialoghi riprendono solo in parte, non sembra giustificare tale conclusione. Vi si legge infatti quanto segue: “Il popolo biasima me solo. Ora devo andare avanti” (百 姓 有 過 在 予 一 人 今 朕 必 往 “băi xíng yŏu guò zài yú yī rén jīn zhèn bì wăng”). In altre parole, il re Wŭ dichiara di sentirsi stimolato dal popolo che lo biasima perché non ha ancora agito contro il tiranno. La citazione potrebbe dunque essere interpretata nel senso che è una dote del buon principe l’impazienza di lottare contro l’ingiustizia.
15) Risulta dal Lǚshì Chūnqiū, 呂 氏 春 秋, “shèndà lăn”慎 大 覽 (“Riflessioni sull’attenzione richiesta da uno Stato di ampie dimensioni”) ,“shèndà”, 慎 大 (“Cura di un grande Stato”) , par.3, che il re Wŭ di Zhōu conferì ai discendenti di antichi sovrani ( Shén Nóng 神 農 , Huáng Dì 黄 帝, Yáo 堯, Shùn 舜 , Yú il Grande 大 禹 ) alcuni feudi nell’ambito dell’impero Zhōu ( rispettivamente Jiāo 焦, Zhù 祝, Jì 薊, Chén 陳 e Qĭ 杞 ) Questo atto, che nel dialogo è riferito con la frase “fece rifiorire Stati scomparsi, perpetuò generazioni estinte”( 興 滅 國, 繼 絕 世, “xīng miè guò jì jué shì”), fu tramandato come un gesto di grande magnanimità ed umanità. In una certa misura fu anche un gesto di realismo politico, in quanto il sovrano si rese conto di non poter governare direttamente, con le sue sole forze, i territori, immensi e densamente popolati, che aveva conquistato. Il pragmatismo di Wŭ si spinse fino al punto di affidare a membri della dinastia Shāng, da lui rovesciata, il principato di Sòng 宋 .
16) Anche questa frase è ripresa, con qualche piccola omissione, dal Shūjĭng, Wŭchéng, par.3, in cui si legge: 重 民 五 教 惟 食 喪 祭 (“zhòng mín wŭ jiào wéi shí sāng jì”, “ si occupò di dividere il popolo in cinque classi nonché del cibo, dei funerali e dei sacrifici”).
17) Superate le difficoltà terminologiche, i concetti espressi nei Dialoghi sono chiari e pienamente accettabili anche oggi. La “generosità senza sperpero” non è infatti altro che la “buona amministrazione”. In uno Stato bene ordinato, nel quale siano garantiti la sicurezza dei cittadini, la certezza del diritto, la tempestiva e corretta realizzazione dei lavori pubblici, la prosperità dei sudditi è il frutto automatico del vivere e dell’operare nell’ambito di una società giusta ed armoniosa.
18) Il termine 勞 “láo” indica les “corvées”, cioè le prestazioni di lavoro non retribuite che il popolo era tenuto a fornire, anche durante periodi piuttosto lunghi, per l’esecuzione di opere pubbliche. Il buon principe cercherà di imporle soltanto per opere di evidente utilità. Farà inoltre tutto il necessario per realizzare queste opere nel modo migliore e con il minor aggravio possibile per la popolazione, ad esempio evitando di ricorrere alle “corvées” nei periodi di raccolto. Solo se ricorreranno queste condizioni, la gente si renderà conto di contribuire al benessere comune e non si sentirà vittima di un’ingiusta oppressione. Analogo discorso si potrebbe fare per le tasse e le imposte, per il servizio militare obbligatorio e per qualsiasi altro obbligo che uno Stato imponga ai propri cittadini.
19) Confucio distingue qui la “buona ambizione”, che è il legittimo desiderio di svolgere con successo la propria attività ( nel caso del principe, il desiderio di governare bene), dalla “cattiva ambizione”, che degenera inevitabilmente in “avidità” ( avidità di potere, di ricchezze, di gloria, di piaceri).
20) Confucio osserva giustamente che la “dignità”di un principe non coincide con l”orgoglio” e con l’”arroganza”. Chi si mostra schifato dal contatto con la folla e si comporta in modo sprezzante con la gente comune non è “degno”, ma semplicemente “borioso”.
21) Avrei voluto tradurre con “pomposo” l’aggettivo 猛 “mĕng” usato nei Dialoghi, ma mi sono reso conto che questa traduzione avrebbe posto l’accento solo sul lusso dell’abbigliamento e la solennità del comportamento, mentre il termine cinese trasmette soprattutto il senso di “fiero”,”terrificante”, “che incute paura”. Il Maestro, comunque, ritiene che la “maestà” derivi semplicemente da un comportamento corretto e sereno e da una cura dell’abbigliamento consona alle alte funzioni del sovrano .Il rispetto del popolo verso il principe nasce dal vederlo svolgere don dignità e coscienza il proprio ruolo, non dal fasto che lo circonda né dalla paura che il suo fiero cipiglio può incutere ai sudditi.
22) Il testo cinese dice precisamente che la crudeltà è “punire di morte senza avere istruito” (不 教 而 殺 “bù jiào ér shā”). Questa frase si può interpretare, in maniera generale, nel senso che non si deve punire il popolo se non gli si è prima insegnato a distinguere ciò che è giusto da ciò che è ingiusto. La si può però anche intendere, in senso stretto, come un riferimento al principio di irretroattività della norma penale: non si può punire qualcuno per un atto che la legge non considerava reato nel momento in cui è stato compiuto.
23) Il testo cinese dice che è tirannia “pretendere che sia fatto ciò che non è stato richiesto a tempo debito”(不 戒 視 成 “bù jiè shì chéng”). Usando un linguaggio moderno potremmo dire che è arbitrio esigere dai cittadini prestazioni che non sono previste dalla legge. Ampliando ancora un po’ potremmo aggiungere che è arbitrio anche imporre ai cittadini obblighi sempre più gravosi a scadenze sempre più ravvicinate.
24) Che cosa direbbe il povero Confucio se venisse a sapere che nei civilissimi Stati moderni il reddito è talvolta tassato prima ancora di essere ottenuto?
25) Ai tempi di Confucio il mancato pagamento dei servizi resi allo Stato poteva essere imputato all’avarizia del principe. Oggi, il mancato pagamento delle imprese che hanno lavorato per lo Stato deriva da un insieme di norme “virtuose”, che perseguono unicamente il bene della pubblica amministrazione e dei cittadini, senza che i vari legislatori si accorgano mai dei disastrosi “effetti collaterali” di tutte queste leggi bene intenzionate.