ARDUO È IL CAMMINO DI SHŬ
Una suggestiva tradizione, seguita da alcuni antichi commentatori, vuole che la poesia di Lĭ Bái intitolata “Arduo è il cammino di Shŭ”
( 蜀 道 難 “Shŭ dào nán”) sia stata composta nel 756 d.C. per dissuadere l’imperatore Xuánzōng 玄 宗 dal fuggire verso il Sìchuān
四 川 quando l’avanzata delle truppe ribelli, comandate da Ān Lúshān 安 廬 山, lo costrinse ad abbandonare la capitale Cháng’Ān
長 安. Studi più approfonditi hanno però rivelato che questa poesia appare già in un’antologia pubblicata nel 743 d.C. Si tratterebbe
dell’opera che indusse il famoso letterato Hé Zhīzhāng 賀 知 章 a definire Lĭ Bái”Immortale della poesia”( 詩 仙“Shī xiān”) ed a presentarlo a
Xuánzōng, dando così inizio alla breve esperienza del poeta presso la corte imperiale.
Per rendere più scorrevole la versione italiana, ho rinunciato ad una traduzione letterale e mi sono preso alcune libertà,ampliando qualche verso, senza modificarne la sostanza.
ARDUO È IL CAMMINO DI SHŬ
Ahimè, che vista! Quanto sono alte e pericolose quelle montagne!
Arduo è il cammino di Shŭ, difficile inerpicarsi fino al cielo azzurro.
Cán Cóng e Yú Fú furono i pionieri,ma un tempo enorme trascorse (1) (2)
prima che il fumo degli uomini potesse varcare la frontiera di Qín. (3)
Dal Tàibái un ripido sentiero conduce a ovest passando per l’Ėmei. (4) (5)
La terra smotta, la montagna frana travolgendo i valorosi guerrieri. (7)
Ecco una scala che si arrampica in alto come a raggiungere il cielo;
ganci metallici infissi nella roccia ne sorreggono i gradini di legno. (8)
In cima, un’insegna che indica la vetta: sei draghi muovono il sole. (9)
In basso si frangono e si accavallano le onde di impetuosi torrenti.
Nemmeno la gialla gru riesce a levarsi in volo fino a quell’ altezza,
la scimmia rossiccia vorrebbe salire fin lassù, ma non ne è capace.
Innumerevoli spire si attorcigliano intorno alle pendici del Qīngní, (10)
ogni cento passi nove tornanti per avvicinarsi alla punta scoscesa.
Siamo al livello dei Tre Astri, abbiamo superato le Stelle del Pozzo, (11) (12)
ma continuiamo a salire e guardiamo ancora in su, tutti ansimanti.
Il petto ci scoppia; ci mettiamo a sedere, tiriamo un lungo sospiro.
Amico che sei diretto verso occidente, quando ritornerai indietro?
Spaventoso è il cammino, le pareti a picco non si possono scalare.
Soltanto il triste lamento degli uccelli riecheggia tra i vecchi alberi.
Sui boschi il falco insegue la femmina in larghe ruote concentriche
mentre ripetutamente odi suonare il malinconico canto del cuculo (13)
che piange, nelle notti di luna, l' aspra solitudine delle montagne.
Arduo è il cammino di Shŭ, difficile inerpicarsi fino al cielo azzurro.
A sentirne parlare, impallidisce di angoscia il volto del viaggiatore.
Si susseguono senza fine le cime che svettano a un passo dal cielo (14)
e pini disseccati si chinano, piegati e contorti, sull’orlo dell’abisso.
Fra voli e turbinio d’acque precipitano giù le cascate con rumorosi
urti di lotta e, crack, rotolano a valle per gli immani dirupi i massi, (15)
mentre le innumerevoli gole rimbombano di un fragore di tuono.
Passiamo incessantemente e senza tregua da un pericolo all’altro.
Ahi, tu che abiti così lontano, quale follia ti ha mai spinto fin qui?
Alto, scosceso, torreggiante fra gli strapiombi, il Passo della Spada. (16)
Un uomo solo può bloccarlo e diecimila non vi si aprono un varco. (17)
La sentinella che si rivolta vi diventa come un lupo fra gli sciacalli. (18)
Il mattino occorre evitare le feroci tigri e la sera i lunghi serpenti.
Bramano sangue, azzannano gli uomini , li falciano come canapa.
Raccontino pure, o Jĭn Chéng, che sei una città gioiosa ed allegra. (19)
A mio parere, non v’ è nulla di meglio che ritornare subito a casa.
Arduo è il cammino di Shŭ, difficile inerpicarsi fino al cielo azzurro.
E, con lo sguardo rivolto verso occidente, io continuo a sospirare. (20)
NOTE
1) Cán Cóng 蠶 叢 fu uno dei leggendari fondatori del Regno di Shŭ 蜀, legato alle origini della civiltà cinese e alla leggenda di Huáng Dì 皇
帝, l’Imperatore Giallo, che, secondo la tradizione, sarebbe salito al trono nel 2697 a. C. Il nome può essere interpretato come“cespuglio di bachi da seta” e permette di pensare che questo personaggio fosse in qualche modo collegato alla scoperta del metodo di allevamento dei bachi da seta. Secondo i Huáyángguó Zhì 華 楊 國 志 “Annali dei Paesi a sud del Monte Huá”, Cán Cóng avrebbe avuto gli occhi “sporgenti
dalle orbite”.Curiosamente, gli scavi archeologici condotti alcuni anni fa a Sānxíngduì 三 星 堆 nel Sìchuān hanno portato alla luce i resti di una cultura fiorita intorno ai secoli XII°-XI° a C., la cui statuaria è caratterizzata proprio da teste di bronzo con gli occhi sporgenti.
2) Yú Fú 魚 鳧, un altro dei primi colonizzatori di Shû, richiama probabilmente negli elementi del nome ( yúfú= cormorano) la pratica della pesca. Si potrebbe, con un ragionamento un po’ audace, pensare che il mito di Yú Fú si riferisca ad una prima colonizzazione del Sìchuàn da parte di gruppi nomadi che vivevano di caccia e di pesca, mentre il mito di Cán Cóng si riferisce evidentemente all’apparizione di popolazioni più progredite già in grado di esercitare l’agricoltura e l’allevamento.
3) La cifra di quarantottomila anni, che figura nell’originale, intende significare il passaggio di un periodo di tempo estremamente lungo prima che nel Sìchuān si formasse una comunità civilizzata in grado di instaurare rapporti con il regno di Qín. In realtà , un’organizzazione statale è già menzionata per Shŭ nell’XI° secolo a.C., visto che il “Il Libro dei Documenti” 書 記 “shūjì” ricorda il re di Shŭ come uno degli alleati che aiutarono il re Wŭ di Zhōu 周 武 王 a sconfiggere l’esercito della dinastia Shāng 商 朝 nella battaglia di Mùyĕ 牧 野 (1046 a.C.) Se si considera che le prime organizzazioni statali più o meno storiche in territorio cinese si possono far risalire al XX°secolo a. C., il ritardo nello sviluppo di Shŭ rispetto alle regioni più progredite non sembra enorme.
5) Il Tàibai 太 白, letteralmente il Grande Bianco o il Grande Nevoso, è un monte della catena del Qínlíng 秦 嶺, alto 3.767 metri, che si trova a circa 100 km dall’antica capitale Xī’ān 西 安 nello Shănxī 陝 西.
6) L’Ėméi 峨 嵋, letteralmente Sopracciglio Torreggiante, è un monte del Sìchuān alto 3.099 metri sul livello del mare. L’Ėmei è fin dall’antichità una delle quattro montagne sacre del Buddhismo.
7) L’episodio che Lĭ Bái cita per sottolineare la pericolosità della strada di Shŭ fa parte di una leggenda sorta intorno alla conquista di Shû da parte del regno di Qín nel 316 a. C. Il regno di Shŭ era particolarmente difficile da conquistare giacché era circondato da alte montagne e praticamente inaccessibile. Huì, re di Qín, 秦 惠 王, sarebbe allora ricorso ad uno stratagemma. Sapendo che al re di Shŭ piacevano moltissimo le donne promise di inviargli cinque bellissime fanciulle. Il re di Shŭ mandò allora cinque valorosi cavalieri a costruire, al posto dell’impraticabile sentiero allora esistente, una bella strada per accogliere degnamente il corteo delle fanciulle. Quando le fanciulle giunsero al confine tra i due regni, un grosso serpente attraversò la strada e si rifugiò in una fenditura della roccia. Uno dei cavalieri riuscì ad afferrarlo per la coda e cercò di tirarlo fuori dal suo rifugio, ma senza successo. Gli altri cavalieri si precipitarono ad aiutarlo, ma tirando con troppa forza, provocarono una frana che travolse tutti i presenti. Avevano però già costruito una comoda strada che permise al re di Qín di invadere e di conquistare facilmente il regno di Shŭ. Secondo un’altra versione della leggenda, i cinque cavalieri avrebbero costruito la strada per poter portare a Chéng Dū cinque giganteschi tori di pietra, che il re di Qín aveva fatto piazzare sul confine facendo subdolamente credere agli abitanti di Shŭ che tali statue cacassero oro. Per questa ragione la strada di Shŭ era un tempo chiamata “l’antica strada dei tori d’oro”.
8) Si racconta che il re di Qín per agevolare il percorso alle sue truppe fece costruire le cosiddette strade coperte ( 棧 道 “zhàndào”), vale a dire delle scale che si arrampicavano fra due pareti rocciose grazie ad una serie di gradini di legno che erano fissati alla roccia mediante ganci metallici.
9) Il verso potrebbe essere interpretato nel senso che chi giunge alla vetta, dopo gli ardui passaggi fra le rocce, rivede il sole rappresentato qui nella sua immagine mitologica come spinto da sei draghi, e che il sole è dunque il segnale che si è arrivati in cima. Mi sembra però ancor più logico pensare che la cima fosse indicata, come si usa fare anche nei nostri paesi, da una lapide di pietra o meglio ancora da un pennone con una bandiera su cui figurava , nel caso specifico, un sole circondato da sei draghi.
10) Qīng Ní 青泥, letteralmente Argilla Verde, è il nome di una montagna dello Shănxi.
11) La costellazione di Orione era indicata un tempo dai Cinesi con l’ideogramma Shēn Xiù 參 宿, che significa “La Casa dei Tre”, giacché essi attribuivano a tale costellazione solo tre delle sette stelle che le sono attribuite dall’astronomia occidentale, e precisamente le tre stelle della cosiddetta cintura di Orione. Essa è una delle 28 “case lunari” 宿 “xiù” dell’astronomia cinese.
12) La costellazione del Pozzo ( 井 宿 “jĭng xiù”) corrisponde, secondo l’astronomia occidentale, ad alcune stelle della costellazione dei Gemelli. Essa pure è una delle 28 case lunari dell’astronomia cinese.
13) Il termine 子 規 “zĭguī” indica una specie di cuculo presente in Cina (“cuculus sparveroides”) normalmente conosciuto come 鷹 鵑 “yīng juān”. La menzione di questo uccello è molto suggestiva perché, secondo la tradizione popolare, il suo canto sembra ripetere ai viaggiatori la frase 不 如 歸 去 “ bù rú guī qù”, cioè “Non sarebbe meglio tornare indietro?”. Secondo una leggenda, il canto del cuculo fa seccare l’erba verde, vale a dire porta disgrazia e cattiva sorte a coloro cui capita di ascoltarlo.
14) Nella sua emozione Li Bái dimentica di aver detto che la strada di Shû sale al di sopra del cielo e della volta celeste. Seppure incoerente con le affermazioni precedenti, l’immagine è però vivissima: il sentiero attraversa una serie interminabile di cime montuose che sembrano toccare il cielo.
15) I Cinesi come i Giapponesi amano moltissimo l’onomatopea. Qui il rumore dei massi che precipitano rimbalzando fra le gole montane è reso con il termine “pīng” 砯 composto dagli ideogrammi che indicano roccia 石 e ghiaccio 冰. Si può quindi immaginare, agli inizi del disgelo
primaverile, il rumore sordo dei sassi che rimbalzano sul ghiaccio invernale e lo incrinano con un strepito secco.
16) Il “Passo della Spada” 劍 門 關(“Jiàn Mén Guān) è l’unico valico che collega lo Shănxi con il Sìchuān, attraversando una zona in cui si
addensano ben 72 picchi della catena del Qínlín. La strada scende in seguito verso il paese di Jiàn Gé 劍 閣 ( “La Torre della Spada”), che era in origine una località fortificata a difesa del valico e che ha dato il nome a tutto il territorio circostante. In prossimità del valico il cammino si restringe ad un passaggio di meno di 50 metri, chiuso tra due ripide pareti rocciose, il Dàijiàn 大 劍 o Grande Spada e lo Xiăojiàn 小 劍 o Piccola Spada, e bloccato da una torre di guardia chiamata Gŭguán 古 關. La “Torre della Spada” ( “Jiàn Gé”), che controllava l’unica via d’accesso al Sìchuān, era chiamata per la sua importanza strategica “gola del Sìchuān, chiavistello della porta di Shŭ”. Chi fosse mai riuscito a prenderla si sarebbe infatti visto spalancare l’entrata di tutta la regione. A Jiàn Gé l’imperatore Xuánzōng fece tappa nella sua fuga verso Chéngdū e pianse la morte della sua concubina Yáng Yùhuán 楊 玉 環 , come ricorda il poeta Han Xiaohuang, vissuto all’epoca dei Qíng, nella sua lirica : “Ascoltando il suono delle campane a Jiàn Gé”.
17) “Il Passo della Spada” era famoso in Cina quanto le Termopili in Grecia ed intorno ad esso si moltiplicarono le leggende degli eroi che da soli o con una piccola schiera di valorosi avevano tenuto testa a grandi eserciti. La frase riportata da Lĭ Bái doveva essere proverbiale perché figura con le stesse parole anche in un poema di Dù Fŭ. A titolo di curiosità possiamo ricordare che il proverbio appena citato fu smentito per la prima volta in occasione della battaglia dello Jiànménguān, combattuta tra le truppe nazionaliste del Guómíndăng 國 民 當 e le truppe comuniste
dell’Esercito Popolare Rivoluzionario dal 14 al 18 dicembre 1949. Infatti mentre due battaglioni di truppe rivoluzionarie attaccavano frontalmente le fortificazioni del passo, un terzo battaglione fu incaricato di sorprendere i difensori alle spalle dopo aver scalato le pareti rocciose che fiancheggiavano la strada. L’impresa, che era generalmente considerata impossibile, riuscì ed i nazionalisti, attaccati da due parti, furono sconfitti e costretti ad abbandonare lo Jiànménguān.
18) Il termine “láng” 狼 (“lupo”) ed il termine “chái” 豺 (“sciacallo, cane selvatico”) non hanno lo stesso radicale. Infatti , mentre l’ideogramma che designa il lupo si rifà alla radice “quăn”犬 (“cane”), l’ideogramma che indica lo sciacallo si rifà alla radice “zhū” 豬 (“maiale”), in quanto il lupo è un animale da preda, lo sciacallo invece è, come il maiale, un animale che si nutre di rifiuti. Questa differenza mette in evidenza che, se le sentinelle si ribellassero ed occupassero il posto di guardia del passo, si troverebbero di fronte ai loro precedenti commilitoni in una posizione di forza, come un lupo in mezzo ad un branco di sciacalli.
19) Jĭn Chéng 錦 城 vale a dire “La città del broccato” era, ai tempi dei Táng, il nome dell’attuale capitale del Sìchuān, Chéngdū. I
Táng vi avevano infatti installato delle fabbriche di broccato, poste sotto il controllo di un apposito ufficiale chiamato Jĭn Guān 錦 官.
20) Lĭ Bái guarda verso occidente, perché si trova evidentemente a Cháng’Ān, mentre la meta del terribile viaggio da lui descritto e sconsigliato, Chéngdū, è situata ad ovest della capitale, nella regione del Sìchuān.
Fai clic qui per effettuare modifiche.